di Claudio Pasqual
Ripubblichiamo l'intervento comparso su "la Nuova di Venezia e Mestre" il 13 ottobre 2005, nell'ambito del dibattito sul Museo di Mestre.
Il museo di Mestre – la prudenza è d’obbligo, trattandosi di Mestre e visti i precedenti – finalmente si farà. Prima ancora aprirà i battenti l’attesa mostra “Mestre Novecento”, che il curatore Giorgio Sarto ha impostato, e per impianto metodologico-scientifico e per la ricca documentazione raccolta, come primo passo della costruzione del nuovo museo. I tempi sembrano maturi: entrambe le iniziative si faranno con il contributo determinante della Fondazione Venezia, dunque di una istituzione privata, ma soprattutto perché lo vogliono fermamente – il dibattito su “la Nuova” lo dimostra – le forze intellettuali e associative più sensibili e attive della città; si attende perciò una scelta finalmente responsabile da parte del Comune che in questi anni l’ha spesso dichiara ma mai realmente compiuta, come dimostrano le sconcertanti vicissitudini e gli ostacoli frapposti al progetto MestreNovecento.
Noi di storiAmestre siamo felici: fra i primi avevamo chiesto il museo con un dibattito pubblico nel 1996 [gli interventi di quell’incontro, insieme ad altri contributi successivi, sono stati raccolti nel libro “Un museo a Mestre? Per un museo del novecento, proposte di storiAmestre e dibattito”, a cura di Chiara Puppini e Fabio Brusò, Mestre 1997. Per l’associazione la proposta era stata illustrata da Alessandro Voltolina, Piero Brunello, Luca Pes; al dibattito erano intervenuti Gianfranco Mossetto, Gianfranco Bettin, Giandomenico Romanelli, Sergio Barizza, Sandra De Perini, Valeria Frigo, Gianguido Palombo, Carlo Rubini, Giorgio Sarto, Maria Teresa Sega, Luana Zanella, Studenti del Massari, Stefano Sorteni; ndr].
E doppiamente soddisfatti siamo per il generale favore verso la proposta di “Museo del Novecento” o “della città contemporanea” che era stata l’idea forte uscita da quell’incontro. Per origini e modalità di formazione, infatti, Mestre è senza dubbio città che appartiene per intero al ‘900 e alla contemporaneità. Una verità tanto evidente è stata tuttavia per decenni l’oggetto di una gigantesca rimozione, cui per prima attribuire l’anomalia di un grande centro urbano senza un museo civico. Mestre è stata “città invisibile” (titolo di un altro nostro convegno) anche ai suoi stessi abitanti, una città della cui esistenza si poteva persino dubitare, finché è durato il disegno volpiano della “Grande Venezia”, che relegava la terraferma a indifferenziata periferia abitativa e industriale. La forza di tale visione si è tradotta nell’incapacità per Mestre di sentire di avere un presente come città e quindi di sapersi raccontare e rappresentare.
Con queste premesse, il richiamo al passato non poteva che attingere a una dimensione radicalmente altra, a un “reperto archeologico”: il castello e il borgo medioevali, la guerra di Cambrai, il ’48 e l’eroica Sortita. StoriAmestre rivendica a sé parte del merito di avere rotto questo schema mentale, mentre il tempo e i processi reali sedimentavano da un lato un senso di appartenenza civica in ormai più generazioni di abitanti, e dall’altro modificavano la percezione e l’immagine della città dentro e fuori il territorio metropolitano. La città che, finalmente “visibile”, vuole rappresentare se stessa non può che mettere a tema le modalità e i processi della propria formazione e sviluppo. Gli ambiti di ricerca a cui pensammo nel ’96 corrispondono ai nodi fondamentali del discorso su Mestre e Marghera: in estrema sintesi, l’industrializzazione, la “crisi” postfordista, la terziarizzazione; l’urbanizzazione e l’inurbamento; gli stili di vita e i consumi urbani. In proposito, un’intuizione affacciatasi in quella discussione ci sembra ora un’indicazione feconda di risultati. Nel passaggio da campagna a centro urbano Mestre riproduce nel proprio specifico dinamiche e modalità di trasformazione che sono alla base della modernizzazione industriale e urbana novecentesca nel suo complesso, è un microcosmo che riflette il macrocosmo, la sua vicenda rappresentativa di processi generali. Da qui la proposta non di un “Museo di Mestre” nel ‘900 ma di un “Museo del Novecento” a Mestre, di un museo che – partendo dal luogo in cui si trova e dunque da un caso particolare – possa documentare e riflettere fenomeni generali che accomunano l’occidente industrializzato. Sarebbe per altro così scongiurata una proposizione in chiave municipalistica e identitaria dell’immagine di Mestre, avviando invece un’esperienza culturale di respiro nazionale e internazionale, che dialoghi con visitatori e istituzioni del mondo intero. Un tale museo deve bandire qualsiasi discorso celebrativo e retorico.
Fasti da officiare non ce ne sono. L’urbanizzazione mestrina, ogni osservatore onesto lo sa, è storia di una crescita dai tratti ampiamente squilibrati, consegnata troppo spesso alle logiche del profitto cieco, della speculazione, della rendita, del controllo sociale. Raccontare una città non esime dal fornire un’interpretazione dei fatti, anzi, e la chiave di lettura più adatta alla costruzione di un’immagine e di un’identità cittadine non mistificate ci sembra che sia la critica di un modello di sviluppo industriale e urbano per il quale prezzi assai salati hanno pagato l’ambiente, la salute, la qualità della vita dei cittadini. Sarebbe una forma di risarcimento, simbolica ma forte, per gli abitanti di questa città. Uomini e donne, singoli e in gruppi: pensiamo a un museo che abbia al centro le persone, “dei soggetti”, individuali e collettivi, e non “degli oggetti”, che racconti non la storia, ma le tante storie che fanno una città. Un museo che dia al visitatore, mestrino ma non solo, la possibilità di riconoscersi ma anche di riconoscere l’esistenza di tanti altri percorsi di vita; che ricostruisca l’intreccio dei molti fili di queste storie, mirando a ricomporre la frammentarietà delle immagini individuali in una visione che abbracci tutt’intera la complessità urbana. Un museo “dei soggetti” deve impegnarsi ad aderire alla vita reale, fatta non solo di oggetti ma anche di luci, colori, suoni, odori. Tutte le esperienze percettive andrebbero valorizzate: ovviamente la vista ma anche l’udito, il tatto e, se possibile, persino l’odorato. Si allestisca un museo multimediale, in cui i più moderni ritrovati tecnologici della comunicazione accompagnino il visitatore nel suo percorso di conoscenza.
Ci piace pensare infine a un museo “non autoritario”, non vetrina di una cultura “alta” elargita al popolo, della trasmissione gerarchica, ma luogo cordiale di confronto e scambio, uno spazio interattivo, concepito non come prodotto preconfezionato e finito ma come work in progress, laboratorio aperto agli stimoli, spunti, contributi di chiunque sappia ampliare e approfondire il nostro sguardo sulla città.
Ottobre 2005 a nome del direttivo di storiAmestre