di Enrico Zanette
18 marzo 1871, a Parigi cominciano i giorni della Comune. Anche quest’anno ci uniamo idealmente e con riconoscenza ai nostri compagni e alle nostre compagne che alla fine dell’Ottocento “rischiando il carcere, celebravano il 18 marzo in ricordo della Comune”. Con una nota su Natale Della Torre.
La sera del 18 marzo 1881 nella piazzetta della Lega ad Alessandria si trovarono in pochi. Era un venerdì. A quell’ora doveva essere un gran via vai di gente, chi rientrava dal lavoro, chi usciva per fare due passi; c’era anche chi si era fermato a osservare, attratto, forse, dalle voci che giravano sul singolare appuntamento. Giorni prima era circolato un biglietto anonimo, distribuito in alcune botteghe e società operaie, che invitava a festeggiare in piazza la Comune di Parigi. Era una specie di grande biglietto da visita nel quale si leggeva in un bel corsivo blu:
Copia del biglietto manoscritto di Natale Della Torre, in ASAL, Fondo tribunale, 2876, fasc. 704 relativo a DELLA TORRE NATALE, 24 marzo 1881, lettera al ministero dell’Interno sull’anniversario della Comune.
Chiarissimo, ma lo trascrivo comunque:
“Venerdì, 18 marzo, dalle ore 8 alle ore 9 di sera, il popolo alessandrino è convocato nella Piazzetta della Lega (Corso Roma) per celebrare l’anniversario della Rivoluzione comunale di Parigi nel 1871 – La glorificazione della Comune è la protesta del povero che lavora contro il ricco che lo dissangua; dell’oppresso contro l’oppressore. Gli operai e gli amici della giustizia sociale non manchino alla festa dei diseredati”.1
Il 18 marzo, si legge, è semplicemente la festa dei diseredati, degli ultimi, in particolare di chi lavora ma è povero e di coloro che a vario titolo sono oppressi. Il “popolo” invitato a festeggiare è formato dagli oppressi e dagli operai, forse appena un po’ meno poveri dei primi, e da tutti coloro che, anche se borghesi, aspirano a una società fondata sulla giustizia sociale.
A distribuire il biglietto erano stati gli internazionalisti della città. Un gruppo ristretto, meno di una decina quelli noti alla polizia, formato da soli uomini, nonostante l’apertura alle donne che si poteva leggere nello statuto del circolo che li riuniva2. Erano per lo più giovani operai, soprattutto cappellai della nota Borsalino e un paio di artisti. Il più noto era Natale Della Torre, pittore proveniente da famiglia ebraica benestante, quasi un secolo dopo ricordato ancora da Primo Levi e da Vittorio Foa nelle loro storie di parenti, studente all’Accademia di Brera e collaboratore della Plebe di Milano3. L’altro pittore, Achille Peretti, fu costretto pochi anni dopo all’esilio negli Stati Uniti, sorte che spettò anche a Natale Della Torre che emigrò in Francia4. Degli operai si sa molto meno, tra i più noti, tutti cappellai, c’erano Giacomo Fongi, Giuseppe Rognone e Francesco Pistarini detto Spartaco.
Alcuni di loro dovevano essere presenti quella sera nella piazzetta della Lega trovandosi loro malgrado da soli. La polizia s’intestava il merito di avere inibito la partecipazione grazie alla solerte attività investigativa dei giorni precedenti. Tuttavia, può ben essere, come si rallegrava lo stesso prefetto, che gli internazionalisti rappresentassero di fatto una piccola minoranza, isolata dal resto della popolazione: in fondo, non sarà certo la prima né l’ultima volta che a festeggiare il 18 marzo siano stati in pochi5.
Nota. A proposito di Natale Della Torre: i racconti del parentado
Da giovane era “alto e biondo, bellissimo”: così, e “con tenerezza e ammirazione”, la mamma descriveva a Vittorio Foa il prozio, più semplicemente lo zio, Natale. “Aveva studiato pittura a Milano, a Brera, e coi socialisti milanesi, fra cui il Bignami, aveva costituito un cenacolo rivoluzionario, passando da processo a processo, da carcere a carcere”.
È nelle prime pagine, sin dalle prime righe, della sua riflessione autobiografica Il cavallo e la torre, pubblicata nel 1991, che Vittorio Foa ricorda Natale Della Torre: “Per la scelta politica della mia vita credo di dover molto a mio padre. Dagli antenati non ho avuto suggestioni in quella direzione; solo nel caso dello zio Natale ho avuto una sollecitazione morale” (Vittorio Foa, Il cavallo e la torre. Riflessioni su una vita, Einaudi, Torino 1991, p. 3 e p. 10 per la citazione precedente).
Mentre scriveva, Foa aveva sotto gli occhi almeno una copia de La Miseria, il “giornale popolare” – così il sottotitolo – che Natale “visibilmente” scriveva tutto da solo. Era un numero datato novembre 1881; su questo sito è già stato citato, per una frase di Natale trascritta da Foa: “Non con la pazienza, ma con l’impazienza i popoli diventano liberi”.
A proposito di giornali: “Un giorno la polizia arrivò a fare una perquisizione in casa proprio quando Natale era arrivato col suo giornale appena stampato e messo lì per terra. Allora sua madre, Ester Sacerdote, la mia bisnonna di Chieri, finse di svenire e coprì, con la sua larga gonna, i giornali sul pavimento e rifiutò di rinvenire finché la polizia non fu partita” (Foa, Il cavallo e la torre cit., p. 11 anche per le citazioni precedenti).
Foa ripercorre rapidamente la biografia di Natale, per concludere: “morì a Parigi nel 1936. Non so se abbia mai saputo di avere un pronipote condannato e carcerato. Me lo sono chiesto in carcere con qualche vanità. […] Mi chiedo spesso che peso la leggenda dello zio Natale abbia avuto sulla mia formazione politica. Credo che l’influenza sia stata nulla sul piano dell’ideologia e degli indirizzi politici, sia invece stata grande sul piano morale, anche se non ho mai pensato di adottare il suo modello. Ma ho imparato il rispetto e l’amore per il versante esposto della società e la coerenza fra il pensiero e l’azione. In qualche misura la leggenda (che fu realtà) di zio Natale ebbe su di me un’influenza analoga a quella che ebbero i comunisti che ho incontrato nelle prigioni e nella resistenza; nessuna influenza reale nel campo delle idee, molta influenza nel campo dell’educazione morale, dello spirito di sacrificio, della militanza” (ivi, p. 12).
Come sempre, le genealogie si fabbricano a seconda delle fasi della vita: la scoperta dell’“antenato rivoluzionario” fu postuma. Incarcerato a Regina Coeli, Foa scriveva alla famiglia l’11 dicembre 1936: “Non mi ricordavo più dell’esistenza del defunto zio Natale: quanti anni aveva? Ho vagamente l’idea che da giovane avesse avuto qualche noia dall’autorità (una condanna a morte o qualcosa di simile). Se vi è possibile provate a mandarmi il ritaglio del «Lavoro» colla sua necrologia – o a copiarne i passi più interessanti. Sono vergognosissimo di ignorare i gloriosi precedenti famigliari”. Una corrispondenza carceraria ha i suoi tempi: il 5 febbraio 1937 Foa scriveva che la lettera della mamma, ricevuta il 31 gennaio, non rispondeva a tutte le sue domande: “Fra l’altro volevo sapere quali erano le accuse subite dallo zio Natale e in quale epoca: c’è ancora qualche tolstoiano nel mondo, ma probabilmente i pochi superstiti avranno tutti superata l’ottantina; scompaiono a poco a poco come i Mille di Garibaldi: quello che muove è sempre il penultimo o l’ultimo e ne saltan fuori dei nuovi” (Vittorio Foa, Lettere della giovinezza. Dal carcere 1935-1943, a cura di Federica Montevecchi, Einaudi, Torino 1998, p. 160 e p. 187 rispettivamente; salvo errori, nell’epistolario non ci sono altri riferimenti al tolstoismo di Natale Della Torre).
All’inizio del capitolo Argon, nel Sistema periodico – il libro considerato la sua autobiografia –, Primo Levi fa un’avvertenza in merito al termine “zio”: “Fra di noi, è usanza chiamare zio qualunque parente anziano, anche se lontanissimo: e poiché tutte o quasi le persone anziane della comunità, alla lunga, sono nostre parenti, ne segue che il numero dei nostri zii è grande” (Primo Levi, Argon, in Il sistema periodico, Einaudi, Torino 1994 [1975], p. 5). Ma come ricorda anche Vittorio Foa (Il cavallo e la torre cit., p. 8), Natale Della Torre era effettivamente uno zio/prozio anche di Primo Levi. In Argon compaiono dei Della Torre, ma non Natale, di cui Levi avrebbe parlato solo anni dopo ne Il fondaco del nonno, che fa parte della raccolta L’altrui mestiere. Siamo verso la fine del racconto, quando, spostando l’attenzione dal nonno materno Cesare Levi, ricorda anche la nonna materna Della Torre. Torino, anni Trenta, giorni di carnevale, “il nonno invitava tutti i nipoti ad assistere alla sfilata dei carri allegorici dal balcone del magazzino”, che dava su una via Roma “lastricata con deliziose mattonelle di legno”. Sul balcone usciva, “per eccezione”, anche la nonna: “Lei stessa proveniva da una sterminata famiglia di ventun fratelli, che si erano dispersi come i semi di tarassaco nel vento: uno era anarchico e profugo in Francia, uno era morto nella Grande Guerra, uno era un celebre canottiere e nevropatico, ed uno (si raccontava sottovoce e con raccapriccio) quando ancora era a balia era stato divorato in culla da un maiale” (Primo Levi, Il fondaco del nonno, in L’altrui mestiere, Einaudi, Torino 1998 [1985], pp. 215-218: 218).
- ASAL, Fondo tribunale, 2876, fasc. 704 relativo a DELLA TORRE NATALE, 24 marzo 1881, lettera al ministero dell’Interno sull’anniversario della Comune. [↩]
- Pubblicato ne “La Plebe”, 40, 13 ottobre 1878. [↩]
- Per approfondimenti rimando al mio «…col ferro e col fuoco!» Natale Della Torre internazionalista, «Quaderno di storia contemporanea», (2009), 45, pp. 8-35. [↩]
- Su Achille Peretti vedi la voce a lui dedicata in wikipedia. [↩]
- ASAL, Fondo tribunale, 2876, fasc. 704 relativo a DELLA TORRE NATALE, 24 marzo 1881, lettera al ministero dell’Interno sull’anniversario della Comune. [↩]