di Matteo Di Lucca
1. L’appuntamento con la Vale è verso le 19.00 di fronte al mio ufficio, che non dista molto dallo stadio Euganeo. Per noi unionisti che viviamo nella città del Santo, Padova-Unione non è una partita normale né un “semplice derby”: per tutta la settimana abbiamo aspettato freneticamente questo venerdì sera, tra canti in casa o in macchina e sfottò ai molti amici padovani.
Lei si presenta puntualissima con la nuova sciarpa di lana arancioverde fatta a mano da mia mamma come regalo di natale: uno spritz, un panino e saliamo in macchina. Per noi che siamo abituati ad andare allo stadio in vaporetto è strano arrivare in macchina al parcheggio dello stadio e trovarci di fronte dei parcheggiatori che, dopo averti indicato un posto libero che si vedeva benissimo, ti chiedono 2 euro.
Nonostante manchi ancora un’ora e mezza all’inizio della partita, il parcheggio è già bello pieno di macchine e di gente che con la sciarpa al collo si avvia verso l’ingresso della curva Nord dello stadio. Mentre sistemiamo la macchina, arrivano tre autobus di linea che accompagnano il primo gruppo di ultras sbarcati a Padova con il treno: ci sono Vecchi Ultrà, Brigata e GOC (Gruppo Oronzo Canà) che, dopo la recente divisione interna alla tifoseria unionista, occupano la curva Sud al Penzo. Ci affrettiamo a entrare allo stadio pensando che i ragazzi del gruppo con cui vogliamo seguire la partita – si chiama “A sostegno di un ideale” – siano già all’interno; ma una volta entrati ci accorgiamo che, non si sa per quale motivo, non sono ancora arrivati. Così, mentre sul campo quattro squadre di ragazzini del Padova stanno giocando una partitella, mi metto a osservare la preparazione del settore di curva che verrà occupato dai gruppi già arrivati, delimitato con due strisce di nastro da cantiere stradale. Di solito nelle curve viene usato per la preparazione di una coreografia, ma in questo caso risulterà essere, ahimè, solo il modo per dividere i due gruppi di ultras. I cori di sfottò contro i padovani si susseguono: “Salutate la capolista”, “Coccodè”, “Odio Padova”, “Non c’è provincia, non c’è regione, siete tutti sotto il cazzo del leone”. I padovani rispondono con altrettanto classici “Oh issa” e “Alta marea, portali via”. Per l’occasione, pare per motivi di ordine pubblico, i tifosi di casa non stanno nella curva ma nella fetta di distinti più lontana dalla nostra curva. Gli striscioni invece sono in gran parte dedicati alla diversa posizione in classifica tipo “C1 RESTATE A VITA”.
Tra una birra e l’altra la nostra preoccupazione si concentra sul fatto che i ragazzi del gruppo “A sostegno di un ideale” non sono ancora arrivati; ormai sono le 20.15 e le squadre sono già entrate in campo per il riscaldamento. Ci avviamo un paio di volte all’ingresso della curva per accoglierli, ma ancora non si vede nessuno. La Vale ipotizza che gli autobus messi a disposizione in stazione siano solo tre, ed in effetti, quando finalmente arrivano, mi accorgo che i veicoli sono gli stessi che avevamo incontrato all’arrivo degli altri gruppi.
Ci fermiamo all’ingresso per vedere gli ultras che entrano in curva: circa quattrocento persone, con la faccia un po’ rabbuiata per il ritardo ma comunque festanti e con una gran voglia di “fare merdón”.
2. Ci raggruppiamo un po’ frettolosamente nel nostro settore. Ora la curva è piena, saremo almeno in 2000. I capi ultras si affrettano a sistemare gli striscioni sulla rete metallica. Balza agli occhi subito quello arancioverde a strisce orizzontali con, scritte a caratteri cubitali, le lettere P I E R. In settimana avevo letto nel forum online della morte per infarto di Pier, un giovane ultras del gruppo dei Rude Fans, che seguiva ovunque non solo l’Unione ma anche la Reyer, la storica squadra di basket di Venezia che ora gioca a Mestre, al palasport Taliercio. Il clima nel settore è diviso tra la voglia che finalmente inizi questo derby che tutti aspettano da tanto, e una forte sensazione di smarrimento nei confronti del fatto che una partita, sia pure un derby, è ben poca cosa di fronte alla morte di una persona. Una sensazione che aumenta d’intensità quando uno dei capi ultra sale sulla balconata e, dopo aver raccontato la grande passione di Pier per l’Unione, annuncia urlando in lacrime che all’inizio della partita si terranno 5 minuti di silenzio dal tifo. Alcuni borbottano che sarà difficile tenere la bocca chiusa per ben cinque minuti, ma quando inizia la partita tutta la curva, e intendo anche l’altro settore, rimane in silenzio.
Da lontano notiamo che tutta la squadra entra in campo con una maglietta bianca che copre la maglia ufficiale con su scritto “CIAO PIER” e dopo il classico scambio di gagliardetti e lancio della monetina per la scelta del campo, capitan Collauto si avvia sotto la nostra curva e depone un mazzo di fiori proprio sotto il nostro settore. Un gruppo di ragazzi pochi gradini sotto di noi alza uno striscione con su scritto “CAMICIA, ANFIBI, STILE, UMILTÀ CIAO PIER!!!”. Un silenzio irreale circonda l’inizio della partita, un silenzio che viene interrotto solamente dal battimani di tutta la curva unita. La cosa più bella di tutta la serata. La Vale è commossa. Io scambio quattro parole con il ragazzo di fronte a me sul fatto che sarebbe bello vedere la curva unita non solo in tragiche circostanze. Il battimani continua, nessuno accenna un coro fino a che, dopo un’occhiata tra i due capi ultras dei rispettivi settori, parte il vero tifo. La curva è letteralmente esplosa. Non so come abbiano iniziato gli altri, noi con “Pier è qua e canta con gli ultras” subito seguito da un altro coro di commemorazione: “Per Francesco alé, per Francesco alé, per Francesco alé, il Bae”. Poi tutti su con la sciarpa a fare un bel “Pope”. Poi “Un grido sarà quando le squadre scenderanno in campo…”, coro che solitamente accompagna l’ingresso delle squadre sul terreno.
3. I primi trenta minuti della partita non li ho praticamente visti. Sì, ho visto partire bene il Padova: un rigore non concesso alle “galline”; l’Unione che piano piano ha incominciato a macinare il suo gioco senza peraltro mai tirare in porta. Ma la mia mente per quella prima mezz’ora era occupata più con il “contorno” alla partita. Saranno stati quei primi intensissimi cinque minuti in silenzio, sarà stato che la partita in fondo era noiosa, che all’Euganeo si vede proprio da schifo, che avevo bevuto troppe birre. In realtà la bellezza di andare a vedere una partita in curva è anche questa: la partita in certi momenti diventa un surrogato e la tua concentrazione va più sulle espressioni e sulle opinioni della gente che ti circonda, sulle urla e le facce dei capicoro che incitano la curva a cantare, sulle bandiere che sventolano e non ti fanno vedere la partita, sulle altre parti dello stadio, sulle panchine e perché no anche sui raccattapalle. Andare in curva significa vedere la partita in una prospettiva diversa, non solo per il fatto che il campo è schiacciato e la visuale è peggiore.
Per tutto il primo tempo il tifo del nostro settore è ottimo, partecipato e costante. L’unica nota coreografica – in realtà era stata pensata una coreografia, poi abbandonata per la morte di Pier –sono bandierine arancioverde in stoffa, che sventolano in tutto il settore, distribuite, immagino in stazione a Mestre, al prezzo di 5 euro. Tra tutti i cori quello riuscito meglio è stato sicuramente quello che risulta la vera novità stagionale del tifo del nostro settore: “DATEMI UNA U- NIO-NE” con tutti seduti, battendo i piedi sulle gradinate, che si alzano velocemente per urlare le lettere alla richiesta del capocoro. Certo al Penzo grazie alla struttura in tubi innocenti è più spettacolare e assordante ma è stato comunque efficace e come al solito molto divertente.
Alla fine del primo tempo accompagno la Vale in bagno e tutti divertiti mi scambiano, a causa della mia folta capigliatura, per Caparezza. Sorrido con loro e cerco di andare a prendere una birra ma risulta un’impresa impossibile perché tutti si sono naturalmente scagliati verso il bar. Tutti in curva sembrano abbastanza tranquilli: non è stato un bel primo tempo ma l’atmosfera pare abbastanza rilassata, come se si pensasse che almeno un punticino si porterà a casa. Io racconto alla Vale il mio disappunto sul gioco della squadra che mi sembra un po’ troppo remissivo: “cazzo, è il derby, mica una partita come le altre, siamo la capolista e dobbiamo dimostrarlo, si vede lontano un miglio che hanno paura di noi”. La Vale annuisce non so se per il fatto che si fida delle mie considerazioni tattiche o perché è impegnata al telefono con una sua amica che è nella curva del Padova. Tant’è, speriamo in un atteggiamento diverso nel secondo tempo.
Nel frattempo le squadre sono già rientrate in campo e io e la Vale ritorniamo negli stessi posti che occupavamo nel primo tempo. I ragazzi dell’altro settore hanno fatto bruciare proprio sotto la curva un “qualcosa” di plastica che crea un odore nauseabondo e una folta nube che oscura in parte la visuale del campo. Il tifo del settore ricomincia un po’ in sordina ma poi sale d’intensità. I cori, a differenza del primo tempo, sono più incentrati sugli sfottò ai padovani: tra questi uno molto divertente, che non conoscevo, prende in giro la sorella di un padovano che va a studiare a Venezia. Poi il classico “siamo i terroni del nord” e un coro per i tifosi del Rapid: alcuni di loro sono arrivati da Vienna per seguire il derby (le nostre tifoserie sono gemellate). Dopo un primo tempo passato più a cantare a squarciagola che altro, ora sto più attento alla partita, che comunque continua a non regalare grandi emozioni. Almeno fino alla mezz’ora: Zecchin prende palla a metà campo, spalle alla porta e attaccato alla linea laterale sinistra; salta facilmente, rientrando verso il centro, Taccucci e, con un passaggio filtrante, serve De Franceschi che si invola indisturbato verso il fondo. De Franceschi crossa di sinistro rasoterra, la palla passa sotto la gamba di un nostro difensore che si è gettato in scivolata. Aprea resta a metà strada e Russo indisturbato in mezzo all’area colpisce sporco la palla che lentamente va a gonfiare la rete. Il Padova ha segnato, proprio sotto di noi. La curva ammutolisce. Sembra un sogno. Un sogno interrotto dal boato che arriva dalla curva del Padova e dai giocatori avversari che vanno a esultare compatti sulla bandierina. Uno di loro manda gestacci verso la nostra curva e viene coperto da una marea di insulti. Gli attimi di incredulità e di silenzio vengono interrotti dalle urla dei capi cori che incitano la curva a tifare ancora, a crederci, a restare vicini alla squadra. Così dopo un attimo di sbigottimento il settore compatto ricomincia a cantare sperando. La Vale mostra tutto il suo sconforto e cerco di tirarle su il morale, ma alla fine nemmeno io credo molto nel pareggio. Inizia il coro “Fino al novantesimo” e poi, nei minuti di recupero, “Oltre al novantesimo”. Di Costanzo effettua alcuni cambi infoltendo l’attacco e la squadra ci prova riversandosi nella metà campo del Padova senza però creare grandi occasioni. Fino a che l’arbitro non fischia la fine dando il via alla gioia dei giocatori e tifosi padovani. Per me e la Vale, che abbiamo visto l’Unione perdere per la prima volta quest’anno, è una strana sensazione. Tuttavia anche noi, come tutti, invitiamo la squadra sotto la curva. I giocatori lentamente e mestamente ci raggiungono. Alcuni di loro lanciano le magliette. Sembra quasi un gesto di scusa per aver perso una partita così sentita da tutta la tifoseria. La curva capisce e, nonostante la sconfitta, canta lo stesso “lo squadrone ce lo abbiamo noi” e “Di Costanzo show” per dimostrare l’attaccamento ai colori e ringraziare la squadra per il grande campionato che sta facendo. Poi i giocatori raggiungono il tunnel degli spogliatoi e anche io e la Vale ci avviamo verso l’uscita dello stadio mentre i ragazzi del settore continuano a cantare.
4. Il clima all’uscita è tranquillo: tutti si affrettano a raggiungere le macchine o gli autobus per la stazione. Le facce sono un po’ deluse, ma nelle espressioni della gente che mi circonda sembra di leggere: “si è persa una battaglia, ma non la guerra”. Forse i più delusi siamo proprio io e la Vale. Saliamo in macchina, usciamo dal parcheggio e prendiamo la tangenziale per andare a riprendere la mia macchina lasciata davanti all’ufficio. Durante il breve tragitto spiego ancora il mio rammarico per aver visto una brutta partita in cui l’Unione non ha fatto niente per provare a vincerla. La Vale è d’accordo e contesta il cambio a centrocampo fatto da Di Costanzo a metà secondo tempo; io impreco contro Taccucci che, in occasione del gol, si è fatto saltare e insisto sul fatto che se avessero dato il rigore al Padova dopo due minuti la squadra avrebbe giocato in maniera diversa e avrebbe potuto vincere la partita. Poi salito nella mia macchina penso che comunque nonostante la brutta partita e la sconfitta è stata una bella serata, ricca di emozioni: la curva che si ferma compatta per cinque minuti per tributare il saluto a Pier; il battimano in suo onore; la malinconia nelle espressioni di chi lo conosceva; il “capitano” che porta i fiori sotto il settore; la grande esplosione del tifo dopo il silenzio iniziale; il saluto alla squadra nonostante la sconfitta del derby. Tutte emozioni che vanno al di là del risultato finale.
Alcuni amici padovani, che erano allo stadio, mi aspettano per bere una birra insieme e “sfottermi” per la sconfitta. Il bello di tifare una squadra è anche questo.