di Gigi Corazzol
Da alcune settimane è disponibile il nuovo libro di Gigi Corazzol, Piani particolareggiati. Venezia 1580-Mel 1659 (DBS-Libreria Pilotto, Seren del Grappa-Feltre 2016, 416 p.). Cominciare studiando la produzione e il commercio di legname tra il feltrino e Venezia, con qualche escursione verso il Tirolo; farlo seguendo un consiglio dello storico Ronald Syme “per tutte le epoche della storia è bene sfuggire alle generalizzazioni e studiare gli individui e le famiglie”; trovare quanto gli archivi hanno lasciato della vicenda del mercante Zuanne (Giovanni) Maccarini (1580-1659), che nacque a Venezia e intorno al 1620 si stabilì a Mel, in una zona in cui, da alcuni decenni, la sua famiglia aveva cominciato a fare affari e a stabilire basi commerciali; Mel non fu mai una città ma “è anche vero che fu qualcosa di più di una manciata di borgate contadine”, e il caso ha tramandato una grossa parte dell’archivio della giurisdizione di cui era sede: “Nonostante le ampie lacune, quel che resta dell’attività di quel tribunale dà le vertigini”. Il libro non ha per protagonista solo Zuanne Maccarini, ma un archivio e quel che esso offre sul conto di chi visse intorno a Mel, tra la fine del ‘500 e la metà del ‘600: “uomini, donne, bambini lampanti nel presente più accidentale, scaraventati dal loro destino tra noi qui in basso nel nostro, a noi compagni nell’incertezza, silenziosi istruttori di compassione”.
Seriogia deve partire soldato, un bel guaio. Arina prende e gli fa:
Eh no, Sergunja, non c’è sugo ad aspettarti. Starai via quattro anni, e io, in quattro anni, a dir poco, ci resterò almeno altre tre volte. Fare la serva in albergo e tirar su la sottana è tutt’uno. Chiunque arriva è padrone, ebreo o non ebreo. Tu torni da soldato e chi trovi? Una donna usata, il grembo sfinito, andrò bene per te? – Già, fece Seriogia, scuotendo la testa.
Il racconto da cui traggo queste righe (Isaak Babel’, Il peccato di Gesù) è una prodigiosa fiaba per adulti che ci rende, sigillati nella limpidezza perpetua dell’ambra, la pena senza parole e il pianto intestimoniato che si accumulano nel mondo una generazione dopo l’altra, senza rimedio. Più avanti Arina dirà
Da qua a tre mesi mi sgravo, porto la creatura all’orfanotrofio e mi sposo.
A sentir questo Seriogia si cavò la cinghia, brancò Arina e gliele diede sulla pancia di santa ragione.1
Zuanna, trent’anni, serva in casa di Nicoletto Dal Fol, partorì nel casone delle galline. Finito di sgravarsi andò in letto. La creatura la lasciò nel pollaio. Quando quelli di casa la trovarono era “agiaciata”. Per fortuna era luglio e col calore del camino tornò in qua.
Il marito di Zuanna remava in galera da quattro anni. Da che era partito era la seconda volta che Zuanna figliava. La bambina era stata affidata all’ospedale di Treviso. Il padre di questo? Un servo agricolo che viveva lì intorno. Poco più di un ragazzetto.2
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Verghezini, scartezzini e pettenadori non godevano di buona reputazione. Tutta una manica di vagabondi, bevitori, donnaioli, girovaghi. Spesso dormivano nei fienili delle case di chi li aveva ingaggiati. Uno di cui si diceva puzzasse sempre di fieno era Bastian Mestre. Era un pettenador. Piantò la moglie e due figlie piccole per la Caterina di Piero Perussol. Col marito della Perussola si combinarono a botte. Andarono a Padova. A Padova stettero poco. Si lasciarono quasi subito. Cosa ne fu della moglie e delle putelle in quel frattempo? Non so.3
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Maddalena Lucchetta, nativa di Bribano, nel febbraio del 1631 era venuta a stare in casa dei Manzin, a Marcador. Come mai la fanno spogliare? Per farla esaminare dal chirurgo.
Nessuna macchia. No bubboni. Quelli? Solo un paio di porri. Il chirurgo glieli aveva già medicati prima che andasse a Venezia, che fu alla fine dell’agosto passato. Per quello fu visitata. Perché veniva da Venezia.
Il 28 di ottobre, racconta Maddalena, a Venezia c’erano state funzioni solenni di ringraziamento. Ma la peste non era finita. Si parlava vi fossero degli ammalati nuovi, di un morto a Santa Marta. Perché è andata a Venezia? Già, perché? C’era la peste. Era posto da andare?
Maddalena: – Sono andata a Venetia con occasion de veder de un mio fradelastro, et anco per menar un mio fiol a star là.
Il delegato alla Sanità non fu curioso di sapere da chi fosse andato a stare quel suo figliolo. Gli interessava solo sapere come abbia fatto a mantenersi. Disse che l’avevano spesata i gestori della Casa dei Feltrini in cambio di “cosir stramazi et coltre”.4
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Fine gennaio. Sera. Due fratelli, figlioli di un sarto di Villa, uno di tredici, l’altro di otto anni, fan discese per le stradelle del paese con “una mussa di legno”. Non so di preciso lo sgarbo che usarono a Giacomina Meneghel, dieci anni. Probabilmente la tirarono sotto. Fatto sta che il padre di Giacomina si mise in cerca dei figli del sarto. Quando li trovò il maggiore si ebbe “doi piedi nel cul et d’i sganassoni”.5
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Quando Toni Zanpavan provò a violentarla, Giacomina Marsilon di Tòrta aveva diciannove anni. Era una domenica sera. Stava tornando a casa. Grazie al propizio combinato-disposto di scuro, strada campestre, estro lampante, Giacomina si trovò lunga tirata per terra con lui (Toni) sopra. Il rumore chiamò gente fuori dalle case. Giacomina si salvò. Quando il vicario le chiese se voleva che la giustizia procedesse contro Toni, sapete cosa rispose Giacomina?
Signor sì che ne faccio istantia che costui sia castigado et giustitia habbi suo loco, et sarave bella che le povere pute non dovessero essere sicure per le cal publiche.6
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La Oliva da Gus, quando Giulio Zorzi (Cecon), figlio di famiglia, venne coi manovali a dar di palo sulla porta di casa sua, invece era in letto. A scanso che la sfondassero Oliva uscì. Il marito dietro. Non fu d’alcun aiuto. Neanche messa fuori la testa tre bastonate sulla coppa.Oliva fu tirata a forza nel fondo del buio. Col buio di allora non occorreva andar distanti dalle case. I vicini la sentirono che disse a Cecon: – Cosa fatta per forza non val una scarpa.7
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Nicodemo Ferrazza, quella volta che trovò il bimbo annegato nel pozzo, veniva dalla fucina in cui aveva appena portato ad affilare un po’ di scuri. Sarà Cescon, il proprietario del pozzo, a dirci come andò. La bocca del pozzo di solito veniva coperta con delle assi. Non quella volta. Quando sentì il tonfo, dice Cescon, si sentì mancare. Con Rizzardo da Camino (il suo vicino si chiamava proprio così, esattamente come quel celebre famigerato) calarono una stanga. La stanga era marcia e si spezzò.
Perché poi Cescon e Rizzardo se ne andassero per i fatti loro lasciando a Nicodemo Ferrazza il compito di denunciare il fatto è dettaglio che le carte non chiariscono. Quando il bimbo fu tirato su risultò che aveva indosso un corsetto beretin (grigio) e nient’altro. Niente calzoni. Persi nel pozzo, come fu di una delle dalmede, o è che proprio non ne aveva? Come mai era solo?
La mamma “direttamente piangendo” rispose che era dovuta andare “a tuor un carro de formenton sotto il Col”. Per questo i suoi figli erano rimasti soli.8
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Lucrezia si annegò di notte. Scelse un forno da calcina. Per recuperare il cadavere usarono un gancio da boscaiolo neanche fosse una bora. Il gancio le strappò la camicia. Giacque nuda nel cortile per un po’, prima che trovassero da coprirla.
Si parlò che si fosse suicidata per il dispiacere che le diede il matrimonio di una sua sorella che, secondo lei, non avrebbe dovuto sposarsi. Che fu questo a sprofondarla nella disperazione.9
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Sull’ottantina di chilometri quadrati che costituirono per qualche secolo la contea di Mel una immane documentazione giudiziaria si è posata fin sulle minime pliche della vita (non saprei quale altro termine usare). Lo smarrimento che prende chiunque si dia a girare quelle carte sta nelle folate di apparizioni, una risacca incessante di uomini, donne, bambini lampanti nel presente più accidentale, scaraventati dal loro destino tra noi qui in basso nel nostro, a noi compagni nell’incertezza, silenziosi istruttori di compassione.
Nota. Tratto da Gigi Corazzol, Piani particolareggiati. Venezia 1580-Mel 1659, DBS-Libreria Pilotto, Seren del Grappa-Feltre 2016, pp. 82-85 (con minime modifiche e l’aggiunta di una nota).
Quanto al tema della ricerca lasciamo la parola all’autore: si parte dal commercio di legname tra il feltrino e Venezia, un’attività economica che mobilita una quantità imponente di merci, boscaioli, trasportatori, e poi relazioni d’affari, di convivenza e condivisione di spazi con altre attività e altri imprenditori, operai, contadini, braccianti, osti, giovani golosi di avventure, frequentatori di balli, in poche parole con la vita di una società complessa e stratificata, e ancora diplomazia, rapporti con la burocrazia, corruzione, aggiustamenti con le autorità, piani di impresa, progetti per la vita. “Se volevo venirne fuori bisognava cambiare musica. Stringere il campo. Da lunedì prossimo commercianti di legname, sì, ma nati, educati e avviati al mestiere a Venezia nell’ultimo quarto del ‘500.
L’altro requisito fu il seguente. All’età di vent’anni dovevano essersi stabiliti, per decisione della famiglia, in qualche paese delle valli del Cismon o del Piave. Un percorso che fu di parecchi. Le domande a cui volevo dare risposta erano: perché lo avevano fatto? Quanto erano durati quei soggiorni? Quelle scelte avevano modificato l’organizzazione delle aziende?” (ivi, p. 9).
Nessuna ragione particolare per scegliere di seguire l’attività di Zuanne Maccarini e i suoi famigliari e soci, le loro vicende non furono speciali. Dei Maccarini non sono rimasti nemmeno i registri contabili, l’archivio dell’impresa. Ma di mezzo c’è invece l’archivio di Mel, soprattutto il fondo Reggimenti dei Vicari. “Il vicario era il giudice della contea per conto del giusdicente. La serie, che consta di 92 registri, fa parte dell’Archivio del feudatario. In quei registri c’è di tutto: denunce, querele, intimazioni, decreti, processi. Soprattutto processi. Per lo più criminali. Per il periodo che va dal 1600 al 1660, l’inventario curato da Mariagrazia Salvador segnala la presenza di 25 registri. Sovente sono immensi, con decine e decine di fascicoli. All’inizio intendevo esaminare, valendomi dell’indice dei nomi, solo i procedimenti relativi a ZM e ai suoi familiari. Volevo sbrigarmi alla svelta. E finita che tra quelle carte ho passato anni. Forse, quando non fosse sopraggiunta una serie di combinazioni a trascinarmi su altre, meno grate, strade, sarei ancora là, perduto nell’incantamento, nel salone d’onore del municipio, sotto la benevola protezione di Astolfo e del suo prodigioso cavallo.
A chi allora mi chiedeva conto delle ragioni di quella passione temo di non aver dato risposte congrue. Dicevo che era tutta una questione di scala, di rapporti interni, per cui tutto veniva come intensificato, risultando più vero del vero, un’esperienza, mi credessero sulla parola, ineffabile. Per forza che non capivano.
Ero tutto una perifrasi, tutto una fumisteria pur di evitare di dire vita. Che da quelle carte la vita usciva a fiotti. Due i motivi. Nessuna delle venti e passa borgate principali distava più di cinque chilometri dal Palazzo di giustizia. Anche Belluno e Feltre erano piccole podesterie ma a risiedere a Lamon o a Caprile per arrivare in cancelleria forse non bastava una giornata di viaggio. Posto che i costi della giustizia a Mel non fossero inferiori a quelli di Feltre e Belluno per andare, stare, tornare bastava mezza giornata. Una vicinanza che riducendo di molto le spese accessorie (almeno in primo grado) rendeva il ricorso alla giustizia alla portata di molti, se non di tutti.
Il secondo motivo è il caso. Di quel che fu l’attività del tribunale criminale di Belluno sono rimasti solo i registri delle sentenze. A Feltre non ci sono nemmeno quelli. I 25 registri di Reggimenti conservati a Mel ci accompagnano in ogni piega del lavoro, degli svaghi, delle relazioni familiari, commerciali, politiche di un organismo sociale ed economico complesso. Se e vero che Mel non fu mai, nonostante il decoro del suo centro e l’ambizione dei suoi notabili, una citta, è anche vero che fu qualcosa di più di una manciata di borgate contadine. Nei villaggi della contea oltre all’agricoltura veniva praticata una vivace attività economica di tipo proto-industriale. I mercanti abbondavano, con varie specializzazioni: panni di lana, legname, vino, bestiame, cereali. In contea non mancava la manodopera specializzata nei settori del legname, del tessile e del metallurgico. Completano il quadro trasportatori, notai, avvocati, medici, chirurghi, speziali. Nonostante le ampie lacune, quel che resta dell’attività di quel tribunale dà le vertigini. Il resto lo fa la piccola scala. Il segreto è tutto qua: forse perché le distanze sono piccole e fisse come in un teatro, tutto quello che abbiamo qui è movimentato, vivido. Notizie su Zuanne Maccarini comprese” (ivi, pp. 42-43).
- Isaak Babel’, Tutte le opere, a cura e con un saggio introduttivo di Adriano Dell’Asta e uno scritto di Serena Vitale, traduzioni di Gianlorenzo Pacini, Milano, Mondadori, 2006, pp. 94-98. [↩]
- Archivio Comunale di Mel (ACM), b. 381, 8, 15.7.1657. [↩]
- Ivi, b. 374, 12, 4.8.1646. [↩]
- Ivi, b. 368, 1, 2.11.1631. [↩]
- Ivi, b. 367, 24, 25.1.1641. [↩]
- Ivi, b. 361, 63, 30.7.1616. [↩]
- Ivi, b. 643, Raspe, 23.5.1615. La Oliva aveva già subito un’aggressione domiciliare notturna a scopo sessuale il 19.10.1610. […] [↩]
- Ivi, b. 361, 78, 14.10.1613. [↩]
- Ivi, b. 368, 2, 13.4.1630. [↩]