di Carlo Marchesin
Dopo aver pubblicato le cronache di Claudio Zanlorenzi e di Angelo Nordio e Maria Luciana Granzotto, continuiamo a documentare la protesta del Cat.
La cronaca dei giornali locali e nazionali ha raccontato dettagliatamente ciò che è avvenuto il pomeriggio di martedì 21 dicembre a Dolo: convocazione di un consiglio comunale “blindato” per motivi di sicurezza, approvazione in tutta fretta del progetto Veneto City e le accese proteste della cittadinanza e dei commercianti rivieraschi in opposizione al mega-progetto di cementificare un territorio a cavallo tra Dolo e Pianiga.
Lunedì 19 dicembre (il giorno antecedente all’accordo), il sindaco di Dolo, Maddalena Gottardo da una parte, attraverso un comunicato sul sito internet del Comune, affermava che “si tratta di un’opportunità strategica per il futuro di tutto il territorio”, dall’altra produceva un’ordinanza ad hoc che fissava in 49 il numero massimo di persone che avrebbero potuto rimanere all’interno della Sala della Giunta: questo grazie a una perizia tecnica di un tecnico, Tiziano Pizzocchero, incaricato appunto di stabilire la portata massima dell’edificio.
Martedì 20 dicembre il risultato è pressoché scontato: tra le 15 e le 15,30 il Sindaco e la sua Giunta votano sì a Veneto City, in totale solitudine, a differenza di quello che era successo il 13 dicembre. Lo stratagemma, mi raccontano gli attivisti dei CAT presenti da diverse ore, è stato quello di far entrare alle 13,00, contemporaneamente all’ingresso della giunta guidata dalla Gottardo, un drappello di sedicenti uditori (esponenti e simpatizzanti Lega Nord, per lo più provenienti da fuori Dolo) per impedire a qualunque altra persona, fossero attivisti CAT, giornalisti, o cittadini qualunque, di accedere alla stanza del Consiglio, per le già comunicate ragioni di sicurezza.
In realtà qualche giornalista riesce a entrare, ma scortato dalla Polizia Locale ed esclusivamente all’atto della votazione in questione: insomma, il tempo di riportare qualche sillaba, scattare due foto a persone con la mano alzata e vedere la Gottardo che in tutta fretta guidava i suoi al buffet (blindato) in onore al “sì” a Veneto City.
Fuori dal palazzo un centinaio di persone unite ai Comitati ambientalisti della Riviera, a manifestare rumorosamente la propria indignazione, impediti però a manifestare pubblicamente il proprio dissenso, come era accaduto il 13 dicembre. “Non ci fanno entrare, è uno schifo” è la frase più ricorrente che si sente. La manifestazione si svolge sotto le finestre del Municipio, al di sotto di un telone gigantesco, l’ennesimo stratagemma per tentare fino all’ultimo di aggirare le regole democratiche senza essere accusati di fascismo: pare che il Sindaco avesse organizzato una ripresa video della seduta da proiettare all’esterno, permettendo a quanti non avessero “potuto” assistere alla votazione, potessero virtualmente essere presenti in aula.
Come il 13 dicembre, l’area intorno al Municipio è presidiata da Polizia Locale, Carabinieri, poliziotti in assetto antisommossa. Sotto al telone, al centro del piccolo parcheggio è stata deposta una lapide nera con scritto “Qui giace la Costituzione della Repubblica Italiana”. Sui muri sono appesi una decina di cartelloni con i nomi di tutti i soggetti istituzionali, le associazioni, gli enti del Veneto esplicitamente contrari alla realizzazione di Veneto City. Parla Mattia Donadel dei Cat, parlano Giorgio Gei della lista “Ponte Del Dolo” e Alberto Polo dell’opposizione, entrambi concordi nell’assurdità della vicenda e contrari alla partecipazione a un Consiglio Comunale così impopolare e blindato. A intervalli parlano le “donne della riviera”, vestite a lutto, vestite di nero: una rappresentanza di quelle donne che vedranno costruirsi attorno alle proprie case una cattedrale di cemento, in nome di un progetto che “rilancerà l’economia rivierasca”. Alla fine dell’ultimo comunicato però, le donne abbandonano gli abiti da lutto, spuntano parrucche da clown, trombette e maglie colorate, per dimostrare che la battaglia contro lo scempio di Veneto City non finisce qui, e che per continuare a contrastare il progetto serve una forza che non può che provenire dalla gioia della protesta collettiva, del gridare ad alta voce “io non ci sto”.
[Si veda la galleria fotografica tratta dal sito infocat.it cliccando qui. ndr]
Sono passate le 16, la Gottardo e la Giunta sono in qualche bar della cittadina rivierasca a brindare all’accordo appena votato. Prima che la gente scemi e che i poliziotti accendano i motori dei blindati per tornare in caserma, Mattia Donadel fa il punto della situazione: l’accordo su Veneto City, come a Pianiga, è stato votato e approvato; manca il “sì” del Presidente del Veneto Luca Zaia, espresso (positivamente a meno di colpi di scena) entro la fine dell’anno. È tempo dunque di ultimare gli esposti. Di quello alla Procura della Repubblica e alla Corte dei Conti di Venezia se ne sta occupando Matteo D’Angelo dell’Italia dei Valori. La protesta continua, e i CAT non si fermano.
Il 30 dicembre i giornali riportano la notizia che Zaia ha promosso, firmando, la conclusione dell’accordo di programma su Veneto City.
Arrivano le ruspe.
Claudio Pasqual dice
A proposito di Veneto City, vorrei toccare un punto, diverso e collaterale, ma in realtà non so se meno importante o cruciale, rispetto alle problematiche territoriali e ambientali che sono giustamente ritenute il cuore della questione. Le città, e nelle città le piazze, si sono costituite fra l’altro come luoghi della socialità, dell’incontro e dello scambio di idee, opinioni e conoscenze, dei movimenti collettivi, dell’agire politico. Da qualche tempo, con la giustificazione della crisi finanziaria gli spazi pubblici sono stati ristretti, svuotati o immiseriti – mi viene in mente, per fare un solo esempio, il Candiani di Mestre e i progetti ventilati per l’attuale centro culturale. Ora, vi assicuro che non ho particolare simpatia per commercianti e bottegai, ma non c’è dubbio che della complessità degli organismi urbani, che li rende vivi e vitali, sono parte integrante per storia e tradizione le attività commerciali. La creazione di queste “commerciopoli” ai margini delle città, veri e propri templi consacrati al consumo, dove la solo pratica gradita e consentita, sollecitata e incentivata, e scientificamente organizzata, è la compravendita, di merci e di tempo libero, mentre svuota le città di negozi e di gente, erode un’altra porzione di socialità, e così contribuisce, non sembri eccessivo come giudizio, alla crisi del tessuto civile e dell’agire pubblico. Personalmente sono scettico riguardo a quello che un tempo era chiamato “il piano del capitale”, come progetto generale e strategia preordinati e sistematicamente perseguiti, ma si può concordare sul fatto che sviluppi del genere siano conformi e sintonizzati con gli interessi, mi perdonerete l’approssimazione della formula, del potere industrial-finanziario.
Claudio Pasqual