di Francesco Brunello, intervista a cura di Piero Brunello
Il 18 luglio, Piero Brunello ha intervistato Francesco Brunello (no, non sono parenti), un mestrino già collaboratore del nostro sito molti anni fa, oggi residente a Londra dove lavora in campo finanziario. Con altri amici e amiche che vivono nella capitale britannica ha assistito allo stadio di Wembley ad alcune partite del campionato europeo di calcio che si è concluso il mese scorso, tra cui l’ottavo di finale e la semifinale giocati dall’Italia, e la finalissima. Al centro della conversazione quanto accaduto intorno a una partita memorabile per i tifosi e le tifose italiane: fare i biglietti, raggiungere lo stadio, superare i controlli, le emozioni in curva, i cori e le canzoni, la tensione prima e dopo, gli sfottò, gli stereotipi, la City che il lunedì dopo è deserta, gli affari fermi, la soddisfazione di un “italiano all’estero” e “campione d’Europa”.
Mi racconti come hai vissuto la finale?
È stata un’esperienza fantastica, anche perché venivamo da due partite viste e vinte proprio a Wembley, e ci sentivamo “insieme”, come se avessimo fatto parte di un grande gruppo, molto vicini ai giocatori e allo staff della Nazionale. Siamo riusciti a trovare i biglietti anche per la finale, non un compito facilissimo per una partita così attesa, e sapevamo che saremmo stati in grossa inferiorità numerica, contro l’Inghilterra qui, in casa loro. Tutti gli inglesi erano assolutamente sicuri di vincere, col famoso “It’s coming home” («[Il calcio] sta tornando a casa»), che continuavano a cantare, in qualsiasi posto della città sin dall’inizio degli europei, e in particolare dopo la loro vittoria contro la Germania.
Tutto il paese era in fibrillazione per la finale, c’era un entusiasmo incredibile dopo 55 anni dalla coppa del mondo del 1966. C’era un’atmosfera che – devo dire la verità – ci intimoriva un po’, non tanto – o diciamo almeno non solo – per la paura di perdere la finale, ma perché il clima poteva diventare molto ostile, tanto più che non è un mistero che i tifosi inglesi in queste situazioni possano essere pericolosi, aiutati anche dal loro “ottimo” rapporto con l’alcool. Adulti, giovani e anziani, erano tutti molto carichi e pompati, e si capiva che avrebbero mal digerito una sconfitta, e al tempo stesso avrebbero esasperato ogni tipo di esultanza in caso di vittoria. A contribuire alla tensione erano stati poi gli episodi di violenza subiti da diversi tifosi danesi, dopo che l’Inghilterra aveva battuto la Danimarca in semifinale…, e poi gli scontri con i tifosi scozzesi all’inizio del torneo. E questo era un sentimento diffuso fra la gran parte dei tifosi italiani a Londra, come testimoniano diversi post che si leggevano sui vari gruppi facebook delle comunità italiane in Gran Bretagna.
Finalmente il giorno della finale. Già sul treno per andare a Wembley il clima era rovente. Siamo partiti da East London, dove abitiamo, che si trova dal lato opposto della città rispetto a Wembley, e nel giro di due o tre fermate i vagoni erano brulicanti di maglie bianche e rosse, gente che beveva (l’alcool nei supermercati era andato sold-out praticamente ovunque) e lanciava cori. Manco a dirlo, io e la mia ragazza siamo stati subito individuati come italiani, ma devo dire che al di là di qualche sfottò, per il resto i cori riguardavano i giocatori inglesi, l’allenatore, l’immancabile It’s coming home…
Arriviamo a Wembley verso le 16, la partita cominciava alle 20 [ora inglese ndr], e subito ci rendiamo conto di cosa significhi essere in assoluta minoranza, in un mare di tifosi inglesi. Sul binario della stazione abbiamo aspettato un gruppo di amici italiani che sono arrivati dopo poco, circondati da gente che continuava a bere, urlare, intonare cori a volume altissimo, un caos incredibile ma elettrizzante. Ci siamo incamminati allora lungo questa via che porta allo stadio, la Olympic Way, e la situazione era pazzesca, c’erano non so quante persone, da quanto ho letto si è stimato che attorno allo stadio ci fosse un milione di persone… Fumogeni, cori, tasso alcolico altissimo, le suole delle scarpe restavano letteralmente incollate sull’asfalto appiccicoso di alcool e sporcizie di ogni genere. I primi tifosi erano arrivati a Wembley attorno alle dieci della mattina, quando su instagram circolavano già dei video con gente a cantare sui tetti degli autobus l’immancabile It’s coming home…
Avevate una maglia addosso?
Sì, avevamo una maglia della nazionale, alcuni di noi avevano una bandiera a mo’ di mantello, io avevo la maglia con lo stemma della nazionale ben in vista e anche la bandiera della Serenissima, la mia ragazza aveva due bandiere dell’Italia sul viso con due cuoricini azzurri, insomma eravamo ben riconoscibili. Ma siamo stati dire “quasi” ignorati, per due motivi: il primo è che c’era un entusiasmo pazzesco che anestetizzava discretamente l’aggressività contro l’avversario; l’altro motivo era che c’era una marea di gente e qualsiasi movimento era di fatto ostacolato, è stata una fortuna da un certo punto di vista, c’era così tanta gente che non ci si poteva vedere per più di trenta secondi prima di perdersi di vista, noi eravamo presi in giro e additati man mano che andavamo avanti, ma restando uniti siamo riusciti a risalire questa massa incredibile da pellegrinaggio alla Mecca, la Mecca del calcio in questo caso.
Polizia e controlli ce n’erano?
Il livello di sicurezza in generale era bassissimo… Mi vien da dire che la situazione era fuori controllo ore e ore prima della partita, come ho detto i dintorni dello stadio avevano cominciato a riempirsi dal mattino. Quando siamo arrivati noi c’erano già stati diversi moniti da parte delle autorità, da parte della Federcalcio inglese e dei canali ufficiali dello stadio di Wembley, che invitavano chi non avesse il biglietto a lasciare l’area. Polizia ce n’era ma molto poca, con il grosso schierato subito a ridosso dello stadio. Di steward ne ho visti un po’ di più ma comunque pochi, e in ogni caso anche se ci fossero stati era difficilissimo individuarli perché c’era una vera marea di gente… E io che ho partecipato a eventi con milioni di persone (la Giornata Mondiale della Gioventù del 2011) non mi sono mai sentito così inghiottito dalla folla. Volava di tutto, volavano palloni e bandiere ma anche fumogeni e soprattutto lattine e bottiglie di vetro, sull’onda dei fiumi dell’alcol, ed è stata questa la cosa che più mi ha fatto preoccupare.
C’era un primo cordone di forze dell’ordine con il compito di tenere lontano il grosso della folla dal perimetro dello stadio e supportare i gate di controllo più esterni, dove veniva anche verificata la negatività al Covid19…
All’entrata dello stadio abbiamo visto alcune delle immagini che poi hanno fatto il giro del mondo e le prime pagine di tutti i giornali, con svariati tifosi inglesi che cercavano di forzare i controlli ed entrare senza biglietto. In molti si sono scontrati con la polizia, altri invece sono stati respinti da tifosi inglesi con regolare biglietto… e altri sono entrati bel belli forzando la security o corrompendola in massa. Secondo il Daily Mail nello stadio c’erano tra le 5 e 15mila persone in più rispetto a quelle che sarebbero potute entrare. Il video che mostra gente che si azzuffa, circolato il giorno dopo la finale, non riguarda tifosi inglesi che assaltano tifosi italiani, ma il tentativo che hanno fatto alcuni “irregolari” di aprirsi un varco per l’ingresso dalle entrate riservate ai disabili.
Ti interrompo un momento perché vorrei capire se il biglietto costava tanto e come sei riuscito a trovarne.
Sì, costava tanto, anche se ironia della sorte ha voluto che quello della finale costasse molto meno di quanto ho pagato per ottavo di finale e semifinale. Abbiamo pagato 95 euro perché la Federazione italiana gioco calcio (FIGC) aveva ottenuto dei posti a sedere a minor prezzo dopo la semifinale. Non è stato facilissimo trovarli perché bisognava ingegnarsi a trovare una sorta di diritto di prelazione, ma sono stato fortunato da capire come fare tutte le operazioni, indagando e mettendo insieme varie informazioni raccolte da altri tifosi italiani dopo la semifinale. Comunque contro la Spagna sono costati di più, intorno ai 350 euro a biglietto, e contro l’Austria ancora di più perché in quella occasione c’erano ancora meno posti a disposizione. Wembley ha ampliato il numero di spettatori man mano che si proseguiva nel torneo, e contro l’Austria lo stadio era pieno solo al 25%.
E finalmente siete riusciti a entrare allo stadio
Finalmente siamo entrati nel settore dello stadio riservato agli italiani. Per capirci, eravamo nella curva dietro la porta dove Donnaruma ha giocato nel primo tempo, in circa 6500, e in più c’era un altro migliaio scarso di tifosi “in bolla di isolamento”, proveniente dall’Italia tramite un pacchetto appositamente realizzato dalla FIGC. La situazione era molto più rilassata, eravamo già contenti di essere entrati sani e salvi, e insieme cantavamo l’inno e i soliti cori da stadio, mentre saliva sempre più la tensione.
Lo stadio ha cominciato a riempirsi e quello è stato uno dei momenti più emozionanti della mia vita, il colpo d’occhio era mozzafiato, l’immagine di questo stadio immenso e gremito di maglie bianche, e noi barricati nel nostro settore completamente assediati. Dalle nostre parti cadevano gavettoni e bottiglie di plastica aperte, fortunatamente senza conseguenze gravi. Il momento degli inni è stata un’altra cannonata di adrenalina, abbiamo cantato il nostro a squarciagola (consci anche di avere il Presidente della Repubblica a pochi metri), senza accorgerci più di tanto dei fischi dei nostri avversari, e poi ascoltato quello inglese.
Lo stadio tremava. In quel momento si poteva davvero sentire la forza, la spinta di una nazione, e mi è piaciuto molto, il tempo si è fermato in quello che è stato uno dei momenti più suggestivi di un’esperienza memorabile, dove abbiamo capito quale grande fortuna avessimo a esser seduti in prima fila per assistere a un vero e proprio appuntamento con la storia.
Iniziata la partita, la doccia fredda è arrivata subito, perché al secondo minuto c’è stato il gol di Shaw, proprio sotto i nostri occhi, e lo stadio è letteralmente esploso, con un boato pazzesco.
Superato lo shock, ci siamo rimessi subito in moto e non abbiamo mai smesso di cantare e di incitare i nostri. Piano piano l’Italia e cresciuta e direi che dal 20°-25° minuto la partita era ampiamente in mano nostra, dal punto di vista del possesso palla, e cresceva la consapevolezza che stavamo avvicinandoci e che il gol era imminente. Allo stesso tempo si poteva avvertire quanto la paura stesse crescendo nei tifosi inglesi: aver segnato subito ha probabilmente condizionato la loro partita molto più della nostra e li ha fatti precipitare in uno stato di ansia profonda che cresceva in continuazione. Ex-post, quando ho rivisto la partita in TV, mi son reso conto di quanto queste mie sensazioni fossero fondate: hanno inquadrato alcuni tifosi inglesi al 15° del primo tempo dopo un’azione offensiva dell’Italia. Avevano le lacrime agli occhi e stavano soffrendo, sperando che i restanti 75 minuti scorressero il più veloce possibile. Credo che questa sensazione sia stata trasmessa alla squadra inglese, che ha finito con il perdere sicurezza e controllo della partita, venendo poi dominata sul piano del gioco per gran parte del match.
Arrivato il goal di Bonucci, gli equilibri si sono ribaltati definitivamente.
Tornando agli sfottò durante il viaggio verso lo stadio, leggendo le cronache e quanto circolato su internet mi sembra che gli sfottò si basassero sui più vieti stereotipi nazionali sia nostri sia inglesi…
Il coro a cui mi riferivo, sostanzialmente sulle note di Siamo andati alla caccia del leon, era “Potete ficcarvi la vostra pasta/ la vostra pizza/ il vostro calzone/… su per il…”. Poi sui sociali network e perfino su alcuni quotidiani se ne trovavano anche di più pesanti, legati agli stereotipi negativi sugli italiani, anche legati alla mafia…
In ogni caso, la cosa più irritante dal mio punto di vista era il fatto che gli inglesi non contemplassero nemmeno la possibilità di perdere. Anche per questo vincere a Wembley ha avuto un sapore speciale, è stata una vittoria anche su alcuni piccoli luoghi comuni che ridendo e scherzando ti capita di avvertire quando sei un italiano all’estero.
Sicuramente quella con l’Inghilterra è stata l’esperienza calcistica più bella che io abbia mai vissuto in tutta la mia vita, e sì che io nella mia “carriera” di tifoso ho vinto, tra le altre cose, un triplete con l’Inter e vengo dalla vittoria dello scudetto e della conquista della Serie A dell’Unione. Un anno santo per il (mio) calcio, davvero. Ma le vittorie della nazionale sono uniche, sono quelle di un paese intero, ci uniscono e ci fanno capire quanto sia bello essere uniti. È paragonabile alla vittoria al mondiale contro la Francia, sempre ai rigori, ma questa volta ero addirittura allo stadio, e non in uno qualsiasi.
Davvero è stato un momento di gioia pazzesca, i festeggiamenti sono durati a lungo, per quasi due ore dentro lo stadio e la cosa bella è stato quando Donnaruma ha parato il rigore, e lo stadio si è svuotato velocemente. Noi dentro a cantare a squarciagola It’s coming Rome, e gli inglesi via di corsa: la delusione era troppa, si leggeva sui visi. Poi la delusione in alcune zone della città ha dato luogo a scontri con la polizia e disordini di vario genere…
Mi dicevi all’inizio che avevate “instaurato un rapporto con la nazionale”. Immagino che questo rapporto sia stato sancito al termine della finale con i giocatori venuti sotto la curva…
Sì, è stato bellissimo, alla fine ci siamo goduti la nazionale per tre partite indimenticabili, in una cornice stupenda. Gli italiani a Londra sono tantissimi, e lo si è visto bene durante le partite contro Austria e Spagna (altra comunità numerosissima a Londra, peraltro). I nostri lo hanno detto, che con il calore dei tifosi italiani pareva di giocare in casa. Certo, non all’Olimpico, ma quasi.
Ovviamente in finale i numeri erano completamente ribaltati, ed è stato bello vedere tutti, dallo staff, ai giocatori, rivolgere più di uno sguardo e un applauso prima della partita verso la nostra curva. “Siamo in pochi, ma siamo qui per voi e con voi, possiamo farcela!”, era, in fin dei conti, il nostro messaggio. E ce l’abbiamo fatta.
I festeggiamenti sono stati fantastici. I giocatori sono andati fuori di testa e sono stati a lungo sotto la curva, prima senza coppa e poi, dopo la premiazione, a mostrarci la coppa.
Chiesa è saltato in curva ed è andato ad abbracciare proprio quel tifoso originario di Palermo che, dopo Italia-Spagna, mi aveva dato una dritta per trovare i biglietti per la finale (in nome della nostra comune avversità nei confronti di Zamparini… ma questa è un’altra storia). Immancabile poi, alla fine, anche la corsa sotto la curva di Berrettini, reduce dalla storica finale (purtroppo) persa a Wimbledon contro Djokovic.
Il momento più commovente è stato con Vialli, che ci ha dedicato un lungo applauso e si è “inchinato”, come per ringraziarci della nostra presenza. E noi a nostra volta lo abbiamo ringraziato con dei cori…
Il tutto sarà durato un’ora e mezza… ma non volevamo più andare via.
Siamo usciti da Wembley come se fossimo sopravvissuti ai persiani alle Termopili. Anche noi, come gli spartani di Leonida, avevamo fatto la storia. Un’esperienza unica che non potremo mai dimenticare.
Avete avuto problemi dopo la partita?
Noi da quel punto di vista siamo stati fortunati perché appunto siamo usciti quasi due ore dopo il termine della partita, dopo aver festeggiato con i giocatori in campo e fra di noi, e in questo modo ci siamo trovati a muoverci in modo compatto in alcune migliaia, rendendo difficile ogni tipo di aggressione. Pioveva e anche questo ha aiutato a scongiurare uno dei timori che avevamo, cioè che gli inglesi volessero rifarsi con le mani della sconfitta, cosa peraltro successa in alcuni luoghi della città, ma fortunatamente in modo piuttosto limitato. Questo secondo me proprio perché la sconfitta è stata psicologicamente devastante, gli ha tolto ogni tipo di voglia…
La cosa più assurda è successa il giorno successivo, il lunedì sembrava che fosse una giornata di lockdown della primavera 2020: non c’era nessuno in giro per le strade, la gente è rimasta a casa depressa e l’intera settimana successiva alla finale è stata molto, molto tranquilla.
Un’altra cosa particolare, vista dalla mia prospettiva, è stato il mercato finanziario che seguo io per lavoro, quello dei tassi di cambio, che è un mercato notoriamente basato su Londra… Ebbene lunedì 12 luglio è stato tutto calmissimo, volatilità sotto zero e pochissime transazioni, proprio perché la città era sotto choc, il paese era sotto shock.
A livello di morale è stato uno schiaffo pazzesco per tutta l’Inghilterra. L’impatto emotivo per gli inglesi è stato incredibile, non paragonabile a quel che sarebbe potuto essere in Italia per una sconfitta del genere. Dopo aver giocato praticamente tutte le partite in casa, dopo aver battuto gli acerrimi rivali tedeschi ed essere arrivati in finale dopo 55 anni di lacrime e tristezza… si sono visti per l’ennesima volta sfuggire il sogno dalle mani, veramente il crollo di una nazione.
Torniamo allo stadio: cosa cantavate in curva?
Si gridava e si cantava un po’ di tutto, la cosa più semplice era Forza ragazzi, Forza Italia, Forza Azzurri, ritmata con le mani. Poi l’immancabile Popopopo (quello classico del 2006), poi appunto l’inno, abbiamo cantato O’ sole mio, Azzurro di Celentano e addirittura Bella ciao che all’estero va molto di moda per via del successo de La Casa di carta, la serie di Netflix… Immancabile prima e dopo la partita un altro tormentone di questa cavalcata azzurra, Notti Magiche. E poi cori da stadio veri e propri, quelli della curva del Napoli per essere precisi, che però in molti non conoscevano. Naturalmente poi abbiamo intonato più volte It’s coming Rome specialmente dopo il gol del pareggio di Bonucci. È stato bellissimo, perché nel silenzio dello stadio ammutolito per il gol, cantavamo solo noi tifosi italiani. Sono andati via di testa quando abbiamo attaccato It’s coming Rome, ci hanno fischiato di brutto, che goduria! Al di là dei cori, una nota va fatta per un’altra canzone che ha dominato dagli altoparlanti in finale, ma già in semifinale, e cioè A far l’amore comincia tu, omaggio a Raffaella Carrà.
“It’s coming home”: mi colpisce molto, mi fa pensare non tanto a una invocazione-incoraggiamento (il “ghea podemo far” [“ce la possiamo far”] che cantavamo allo stadio di Venezia) quanto a una sicurezza prima della partita, che in Italia non potrebbe capitare, per via della scaramanzia.
L’Inghilterra è un paese relativamente poco scaramantico, anche se si usa dire, quando si fanno anticipazioni o previsioni particolari, oppure si festeggia in anticipo “Oh man… you are jinxing it now!” (che significa: te la stai chiamando, sottointeso la sfiga). Strano che non sia venuto in mente a nessuno in ambito calcistico!
I giorni seguenti la partita che rapporti hai avuto con i colleghi o per strada o al pub, ci sono stati rapporti di scherzo, più o meno?
La maggior parte dei miei colleghi inglesi sono stati a casa, per due o più giorni: hanno preso ferie… E me li sono immaginati completamente distrutti. Erano settimane che li sentivo urlare lungo il trading floor dove lavoro “Let’s go England! It’s coming home!”.
Un altro collega, che tra l’altro era a sua volta presente a Wembley, è venuto e molto sportivamente a complimentarsi e ha ammesso che la partita è stata giocata meglio dall’Italia e poi ha detto: “It will never come home”, cioè la coppa non tornerà mai a casa. Io gli ho detto: “almeno potrai raccontare di questa storica notte di Wembley ai nipoti”; e lui mi ha risposto: “sì, la racconterò ai nipoti fra cento anni quando da centocinquant’anni l’Inghilterra non avrà ancora rivinto un trofeo internazionale…”. Ma è stata una eccezione.
Per il resto per tutta la settimana noi Italiani non abbiamo voluto infierire più di tanto, siamo stati dei signori.
Le altre comunità linguistiche europee come hanno reagito alla partita?
Per quanto Londra sia una città strepitosa e totalmente sui generis anche per l’Inghilterra, si può dire che in generale gli inglesi si sono inimicati tutta la popolazione non inglese del paese e della capitale, e secondo me l’origine di questo fatto la possiamo trovare nella Brexit. Dunque le comunità europee (specialmente quelle dell’Unione Europea) hanno fatto largamente il tifo per noi, e di questo ho avuto molteplici prove. Per esempio, alcuni colleghi tedeschi, che difficilmente tifano per l’Italia, erano molto ma molto a favore dell’Italia, tanto da comprare ai loro bambini la maglia azzurra. C’è da dire che loro erano stati a vedere a Wembley gli ottavi di finale fra Germania e Inghilterra ed erano rimasti scottati non solo per aver perso la partita, ma anche per la bruttissima esperienza con il pubblico inglese che si riferiva a loro in molti cori chiamandoli nazisti…
In finale poi, con noi in curva c’erano un paio di gruppi di scozzesi con bandiere e kilt, ovviamente dalla nostra parte, e poi, sempre nella curva degli italiani, c’erano bandiere europee.
Per dovere di cronaca comunque, prima della finale moltissimi inglesi simpatizzavano per l’Italia, lo abbiamo visto allo stadio contro Austria e Spagna, con diversi inglesi a esultare ai nostri gol.
Bandiere… c’erano bandiere inglesi per strada, alle finestre?
Da quando sono iniziati gli europei, ce ne sono state dappertutto. Anche le macchine portavamo la bandierina bianca e rossa fuori dai finestrini, tantissime poi erano nei pub, e nei quartieri popolari se ne vedevano ancora di più, con le Council houses [case popolari ndr] addobbate a festa. Un’atmosfera fantastica. Dopo la finale le bandiere sono scomparse nel giro di pochi giorni, qualcosa è rimasto ma dava più l’idea di una bandiera abbandonata sul campo di battaglia dalle truppe in ritirata. Oggi, a una settimana dalla finale, non se ne vede più nessuna in giro. La nostra invece, che è venuta con noi allo stadio e che avevamo comprato durante la prima fase del Covid in Italia, sventola fiera dal nostro balcone…
Un’ultima domanda: ma tu eri così italiano anche prima di andare a Londra?
Sì, assolutamente. Sono fiero di essere italiano, da sempre. Londra è probabilmente la città più bella del mondo, o tra le più belle, e lo è anche perché, in fin dei conti, è una città molto italiana. Tuttavia, staccarmi dal mio paese, dalla mia regione, dalla mia città, non è stato facile, ed è sempre una gioia poter tornare in Italia, qualcosa che tra l’altro ci è mancato molto in questo periodo condizionato dal Covid 19. La presenza degli azzurri ci ha idealmente riportati in Italia dopo tanto tempo. Dirò anche che secondo me è più facile essere e sentirsi italiani all’estero, piuttosto che in Italia. Questo perché siamo mediterranei: sensibili, nostalgici e attaccati alle nostre radici e la distanza fa emergere queste sensazioni. Del resto, come dicono tutti, ci si allontana per capirsi, ci si avvicina per riscoprirsi…
Poi, ovviamente, è ancora più facile esser fieri di essere italiani quando si è campioni d’Europa!
Brunello Gigio dice
Grande pezzo. Letto tutto d'un fiato. Raccontati quei cento e trenta minuti dalla curva italiana come una nuova verità che fa luce su una partita che noi abbiamo vissuto solo di riflesso nel racconto televisivo. I sentimenti diffusi di imminente sconfitta che da migliaia di tifosi serpeggiano giù dalle gradinate e spengono le speranze ai giocatori inglesi fino dal 15', quando avevano appena segnato. Grande Leonida.