di Armand Guerra
Armand Guerra (pseudonimo di José Estivalis Calvo, Valencia 1886-Parigi 1939), giornalista e cineasta, anarchico, documentò e filmò la guerra civile di Spagna nei diversi fronti militari. Nel 1937, basandosi su appunti personali, pubblicò A travès de la metralla, con cui invitava il lettore ad attraversare “i campi di battaglia e i paesi della retroguardia” e a “farsi un’idea approssimativa di come lottano, muoiono e lavorano gli uomini della gloriosa Confederación Nacional del Trabaio”. Il libro, che si presenta sotto forma di diario, viene ora pubblicato per la prima volta in italiano presso le Edizioni Spartaco, con la cura e la traduzione di Alessandro Bresolin. Queste sono le prime pagine, che documentano l’inizio della guerra civile a Madrid il 18-19 luglio 1936.
18 luglio 1936
Non dimentico, non dimenticherò mai. Ero appena tornato a casa mia a Madrid, 19 bis di Avenida de Menéndez Pelayo, dopo una giornata di duro lavoro. Avevo girato gli esterni di un film intitolato Carne de fieras nei Giardini del Retiro, dalle sette del mattino fino al tardo pomeriggio. Abbiamo cominciato il film giovedì 16 luglio. Ero autore, regista e anche interprete di un ruolo un po’ particolare. Come vedete, non avevo affatto tempo di annoiarmi.
Sabato pomeriggio erano circolate delle voci su un’imminente rivolta dei fascisti. Però a dire il vero nessuno ci credeva…
Poco dopo cena, mentre mi preparavo ad andare a dormire, la radio di un vicino confermava il fatto. Il Governo lanciava un appello al popolo, al Popolo! con la maiuscola, affinché raggiungesse i centri indicati e si rifornisse di armi e munizioni per fronteggiare il levantamiento militare dei sediziosi. Quindi era proprio vero. E il popolo di Madrid non esitò un secondo, rispondendo in massa alla chiamata del Governo.
19 luglio 1936
Il mattino di quella domenica d’estate Madrid era già sul piede di guerra. Una fragorosa e incessante sparatoria per le strade ci faceva capire che i nemici erano decisi a trionfare. Ci sparavano addosso dalle terrazze, dai balconi, dalle finestre e anche dagli angoli delle strade. Quel giorno era pericoloso circolare a Madrid.
Nutriti gruppi di lavoratori delle organizzazioni sindacali e politiche, fucili da guerra o da caccia in spalla, percorrevano le strade e le piazze, localizzavano i fascisti imboscati che ci mitragliavano vigliaccamente e gli davano ciò che si meritavano. Il cannone cominciò a tuonare e gli spari echeggiavano in città. Erano i militari insorti della caserma de la Montaña, in Calle de Ferraz, il cui retro dava sul Paseo de Rosales!
Fu una giornata molto movimentata per me, sovraccarico com’ero di lavoro. Verso le sei del pomeriggio prendevo un taxi e mi facevo portare in Calle de la Luna, nella sede dei Sindacati della Cnt.
Devo avvertire qui che la nostra sede era stata chiusa dalla polizia qualche giorno prima, una cosa già accaduta diverse volte, ad opera e per grazia – maledetta grazia! – del Governo repubblicano di sinistra. Ancora il venerdì sera, vigilia dell’appello del Governo ai lavoratori anarchici, la sede della nostra Confederazione [appunto la Cnt, Confederación Nacional del Trabajo] era chiusa e circondata da un cordone di polizia. Ora i nostri locali erano aperti – e come no? – e al posto dei poliziotti che due giorni prima sorvegliavano l’ingresso vedevo i compagni che, come un impressionante formicaio, entravano e uscivano precipitosamente in un viavai di munizioni.
L’aspetto della sede della Confederazione in quei giorni è impresso nella mia immaginazione! Con che nobiltà avevano risposto a quell’appello gli eterni perseguitati, gli eterni sconfitti, i «banditi patentati», come venivano chiamati gli anarchici, i lavoratori della Confederazione.
Però in quella fase tragica, quando il popolo si vedeva seriamente minacciato dai militari traditori, l’eterna «Cenerentola» dei Governi spagnoli accorreva piena di entusiasmo all’angosciato appello del Governo, suo persecutore, e rispondeva al male con il bene. Siamo così, noi uomini della Confederazione! Nessuno lo dimentichi!
Entrai nella sede e parlai con i miei compagni del Sindicato Único de Espectáculos Públicos, al quale appartenevo. La situazione era grave. Tanto grave che seduta stante informai i miei assistenti che le riprese del film di lunedì erano annullate fino a nuovo ordine a causa delle circostanze, e chiesi loro di avvertire tutti i miei artisti.
Con un gruppo di compagni mi diressi verso Calle de Ferraz, che era tenuta sotto controllo dal Cuerpo de Asalto1 per evitare che ci fossero altre vittime, poiché i ribelli avevano già ucciso alcuni dei nostri con le loro mitragliatrici posizionate all’interno della caserma e sparavano di continuo.
L’uomo con la carriola
Chi era? Da dove veniva? A quale Sindacato o a quale Partito apparteneva? Non lo so, non posso verificarlo. Era un uomo del popolo. Per me aveva un nome simbolico, che gli avevo dato mentalmente: si chiamava Popolo. Era alto, robusto, con i capelli brizzolati e mal rasato. Zoppicava un po’. La sua voce era roca, forse per la tragica effervescenza di quella giornata domenicale. Una guardia d’Assalto mi disse di averlo già visto lì molto spesso, fin dal mattino, a spingere la sua carriola colma di sassi e sampietrini che lanciava con le sue braccia vigorose sui traditori e sugli assassini della caserma de la Montaña. Parecchie volte lo avevano costretto a indietreggiare, per evitare che lo colpissero. Un brusio si levò dalla folla:
«Eccolo un’altra volta, l’uomo con la carriola! Lasciamolo passare».
In quel momento una camionetta carica di ragazzi e ragazze urlanti attraversava Calle de Ferraz. Venivano da un ballo che si era tenuto in un paesino lontano… Nonostante gli avvertimenti delle guardie d’Assalto, la camionetta accelerava e percorreva Calle de Ferraz… I giovani cantavano gioiosamente, a squarciagola, il commovente coro dei Bohémien:
«In cerca di allegria corriamo,
corriamo senza posa…».
All’improvviso, mentre passavano sotto le finestre della caserma, una forte raffica e il crepitio delle mitragliatrici fece tacere quel coro giovanile. Cercando di ripararsi dalla mitraglia, la camionetta accelerò ancora finché, superato l’angolo della strada, fu trafitta dalla mitraglia nemica. Quattro morti e diversi feriti lasciavano un’enorme macchia rossa in quella camionetta scoperta. Il coro che «correva in cerca di allegria», senza rendersene conto era appena andato in cerca della morte! Povere ragazze! Poveri giovani lavoratori! Perché di modesti lavoratori si trattava! Le guardie d’Assalto e la folla si precipitarono a soccorrere le vittime. L’uomo con la carriola approfittò di quel momento, sfidando le pallottole che fischiavano sopra la sua testa, per entrare con il suo carico nel portone.
E quando ce ne rendemmo conto, l’uomo del Popolo già lanciava la sua prima pietra contro i muri della caserma.
Il crepitio della mitragliatrice aumentava…
I nostri compagni (quelli che disponevano di un’arma) e le guardie d’Assalto, sparando, cercavano di colpire quello strumento di morte. Ma senza riuscirci.
D’un tratto vedemmo l’uomo con la carriola sporgersi dal bordo del terrazzo mentre alzava con le sue mani una pietra enorme. Il momento era terribile. Noi tutti trattenevamo il fiato.
L’uomo, sull’orlo del terrazzo, si allungò un secondo alzando il suo pesante carico con le braccia… La mitraglia crepitò ancora… La pesante pietra volò con forza verso la macchina assassina, poi tacque e udimmo un «ahi!» straziante.
L’eroismo era compiuto! Una precisione straordinaria! L’uomo con la carriola indietreggiò di qualche passo… non lo si vedeva più sul terrazzo… Aspettammo per un po’ di tempo… Il nostro eroe non appariva.
Alla fine alcuni compagni salirono sul terrazzo e trovarono quel valoroso cittadino disteso tra due gradini, stava sanguinando… Diceva: «Quel cabrón non sparerà più sul popolo! Devo avere qualche graffio, credo di sanguinare…».
Fu portato in ospedale. Dopo averlo visitato, il medico ci confidò che lo sfortunato aveva cinque ferite: una in petto, due sulle cosce e altre due in pancia. Era condannato!
L’uomo con la carriola, il compagno Popolo, morì quella notte stessa…
Però la mitragliatrice non sparò più, fu ritrovata il giorno dopo, scassata, in una corte della caserma.
Nota. Tratto da Armand Guerra, Attraverso la mitraglia. Scene vissute sui fronti e nella retroguardia, traduzione e cura di Alessandro Bresolin, Edizioni Spartaco, Santa Maria Capua Vetere 2016, pp. 9-14.
- Il Cuerpo de Seguridad y Asalto fu creato nel 1932 dal Governo repubblicano per riorganizzare i corpi di sicurezza dello Stato, con l’obiettivo di formare una forza di polizia capace di mantenere l’ordine pubblico e soprattutto di essere fedele alla Repubblica [NdT]. [↩]