di Ana Karina Leal Leal
Macchina fotografica Kodak INSTAMATIC 100 della prima metà degli anni Sessanta; si nota il flash alzato (senza lampadina); l’obiettivo è una lente f/11 da 43 mm, che riproduce proprio ciò che l’occhio vede, senza possibilità né di visuali troppo ampie (per cui ci vorrebbe un grandangolo) né di dettagli posti a grande distanza (per cui ci vorrebbero obiettivi tele). Fu messo in commercio dalla Kodak nel 1963, a partire dagli Stati Uniti, con grande successo, dovuto al prezzo economico, alla maneggevolezza (così compatta da stare sul palmo di una mano) e alla facilità d’uso.
Questo è l’esemplare che mio zio conserva. Lo aveva ricevuto come regalo per la prima comunione e da allora lo utilizzò per circa vent’anni per rubare al tempo momenti che rompevano l’ordinario: feste in famiglia, gite con gli amici, i primi amori… dei novantesimo di secondo (questa era la velocità di scatto della INSTAMATIC) scelti parsimoniosamente tra tanti nel presente che scorre.
Quando ho chiesto a mio zio di mostrarmi la sua macchina, ho visto i suoi occhi affusolarsi mentre gli angoli della bocca li raggiungevano in un grande sorriso. L’affezione per questa fotocamera si traduceva in qualcosa di visibile sul suo volto. Una gioia accresciuta ancora quando abbiamo guardato alcune fotografie conservate da quegli anni: la cascata all’Isola del Liri, presa durante la gita in terza media, quelle che lo ritraggono con il suo primo amore, una ragazza dai capelli biondi tostati dal sole di Sanremo.
“Chiudere gli occhi per fermare / qualcosa che / è dentro me / ma nella tua mente non c’è / Capire tu non puoi / Chiamale se vuoi emozioni”: come per tanti altri, Lucio Battisti è stato nella colonna sonora di mio zio. Mi sembra che le sue foto siano riuscite davvero a fermare quelle emozioni di ormai tanto tempo fa: guardando queste immagini sorrido con lui.
La INSTAMATIC 100 è uno di quei modelli che oggi fanno entusiasmare i nostalgici della fotografia analogica. Con la INSTAMATIC 50, messa in commercio sempre nel 1963 a partire dal Regno Unito, sono state i primi modelli di una lunga serie di apparecchi con questo nome, che avrebbero avuto un grandissimo successo in tutto il mondo. Tra gli anni Sessanta e Settanta ne furono prodotti oltre cinquanta milioni di esemplari.
Erano state progettate per un mercato di massa: dovevano essere alla portata di tutti, perciò economiche – al momento dell’uscita la INSTAMATIC 100 costava 16 dollari, in Italia era venduta a 9.900 lire –, semplici da usare, leggere e compatte. Per rendere l’uso ancora più semplice, per le pellicole si usavano delle “cartucce”, per forma simili a un binocolo, che venivano inserite in un vano che si apriva sul retro della macchina, giusto sotto il mirino. Questo evitava di dover montare un tradizionale rullino e di riavvolgerlo prima di portarlo a sviluppare. Una volta inserita la cartuccia, la pellicola scorreva in modo automatico in uno stretto corridoio, scatto dopo scatto. Arrivati al termine, si poteva semplicemente estrarre e portare tutta la cartuccia dal fotografo per la stampa. L’involucro di plastica nera garantiva la protezione della pellicola, senza che fossero necessarie particolari precauzioni.
Le pellicole erano del formato 126, anch’esso una – allora recente – invenzione della Kodak; le cartucce prevedevano 12, 24 o 36 scatti. Le possibilità offerte dagli apparecchi digitali oggi hanno fatto finire nei musei pratiche e pensieri che erano tipici al tempo della fotografia analogica. Non solo bisognava essere pronti a cogliere il momento perfetto, ma prima non bisognava sbagliarsi sul rullino inserito e sulla frequenza degli scatti. A volte capitava di rimanere sopresi perché i fotogrammi finivano prima del previsto o, al contrario, si eccedeva con la moderazione, salvo poi scoprire di avere altre dodici foto e quindi dover aspettare una nuova occasione per esaurirle e finalmente poterle portare a sviluppare. Una volta ricevute le stampe, ecco le ultime sorprese: talvolta nemmeno la più ossessiva delle attenzioni serviva a prevenire scarti.
La fotografia d’una volta: una vera arte dell’ingegno, che però costringeva fino all’ultimo a una snervante attesa prima di conoscere l’esito dei propri scatti