di Giacomo Corazzol
Il nostro amico Giacomo Corazzol ha recensito per un giornale israeliano un’antologia su Venezia curata dallo scrittore e traduttore Reuven Miran, pubblicata in Israele nel 2015 (Venezia, una storia d’amore, Nahar Books, Binyamina 2015, 267 p.). Riprendiamo qui la versione italiana del testo apparso in ebraico nell’inserto Sefarim (“Libri”) del quotidiano Haaretz l’11 marzo scorso. Dove ci si interroga sul modo di vedere le cose e di come sia facile perdere di vista la realtà. Forse per troppo amore?
Il nome di Reuven Miran è noto al pubblico dei lettori israeliani1. Laureatosi in filosofia alla Sorbona, Miran è autore di racconti, di sceneggiature e di traduzioni dal francese. Nel 2003 ha fondato la casa editrice Nahar Books. Nahar Books ha tra i suoi principali scopi la diffusione di voci appartenenti a minoranze discriminate e la promozione di valori umanistici universali.
L’ultima fatica (o forse, meglio, l’ultima soddisfazione) di Miran si intitola Venezia: una storia d’amore2. Si tratta di una antologia di passi che hanno per oggetto Venezia, scritti da romanzieri, poeti, filosofi, antropologi, pensatori, pittori e architetti, dal Rinascimento ai giorni nostri. Il libro riflette le varie passioni dell’autore: la filosofia, la letteratura francese, l’attività di traduzione e l’attenzione per l’uomo. Più che un libro su Venezia, infatti, Venezia: una storia d’amore è un libro su come gli uomini si sono rapportati a un preciso prodotto storico e culturale, Venezia, e dunque, più in generale al modo in cui gli uomini osservano (e, in molti casi, ignorano o deformano) le cose che hanno sotto gli occhi. Venezia: una storia d’amore è un libro schietto. Non si tratta di una raccolta di passi memorabili o, meglio, non solo: parole vuote di autori noti e meno noti abbondano; ma su questo sfondo si stagliano ancor meglio i lampi di intelligenza e di struggente bellezza contenuti nei passi di autori come Hans Christian Andersen, Marc Augé, J.W. Goethe. Miran ha insomma voluto mostrare le mille forme che può prendere la città più bella a seconda dell’anima in cui si riflette. Questa scelta coraggiosa diventa dunque un’esortazione a un amore consapevole, attento ad accudire la bellezza delle cose e delle persone. Il rischio di deformarla o ignorarla è sempre presente.
Molti autori a Venezia sembrano non vedere altro che se stessi, i loro sentimenti, i loro pensieri: tra questi spiccano Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir. La cecità che si riscontra in certi autori è la stessa che può colpire il lettore. Miran sa come ogni dettaglio possa influenzare il giudizio del lettore. È per questo motivo, mi sembra, che egli dedica grande attenzione a tutti i dettagli che possono suscitare nel lettore determinati pregiudizi o aspettative. Così, per esempio, la Venezia che appare in copertina non è quella di piazza San Marco, non è una veduta dall’alto in una giornata dal cielo terso, ma una anonima veduta del Canal Grande sommerso dalla nebbia. Analogamente, all’interno del libro, le immagini non sono a colori, ma in bianco e nero: la città non dà mai l’impressione di poter essere colta immediatamente. Tutto ciò fa emergere ancor meglio la protagonista indiscussa del libro: la parola. Infine, altra scelta significativa e radicale, Miran indica l’autore del passo citato sempre e solo in calce al passo stesso: un nome, infatti, rischia di orientare fin dall’inizio il nostro modo di leggere un testo. E qui bisogna accettare la sfida proposta da Miran: non andate mai a guardare, per nessun motivo, il nome dell’autore del passo prima di averlo letto; stupitevi di come un uomo così noto abbia potuto scrivere una cosa così stupida.
Il libro di Miran consentirebbe forse di fare un catalogo dei modi in cui l’uomo nasconde a se stesso la realtà che ha sotto gli occhi. Si rimane stupiti, per esempio, di quanti siano gli autori che ci tengono a dire che Venezia è una città unica o che considerano incerto se Venezia sia una città reale o immaginaria. Cerchiamo di capire come questo sia possibile. Venezia mostra delle apparenze esteriori che non trovano riscontro nell’esperienza che abbiamo di nessun’altra città. Da quella finestra, però, un ragazzo si sporge per stendere della biancheria. La donna che ci viene incontro estrae delle chiavi dalla borsetta, apre una porta e scompare. Dunque c’è qualcuno che abita dietro a queste facciate sbilenche! L’esperienza però contraddice i sensi. “Venezia è una città unica”. E Conegliano no? E Mestre no? Si tratta in realtà di un’esperienza comunissima. Vediamo un drago in cielo. Deve essere una nuvola. Un istante dopo, però, sentiamo una vampa di calore e vediamo una casa che va a fuoco. È evidente che stanno girando un film…
Circa l’amore evocato nel titolo, nell’introduzione Miran scrive: “La maggior parte [di coloro che hanno scritto su Venezia] sentivano nei confronti di Venezia ammirazione e amore, a volte persino cieco, un amore che i più grandi artisti della parola scritta facevano fatica a descrivere e a spiegare”.
Cartesio ha scritto che spesso gli uomini mancano di cogliere la verità in quanto la amano troppo. Era dunque questo ciò che intendeva dire Wystan Hugh Auden quando implorava: “O tell me the truth about love”?
- In italiano è disponibile il suo Memorie di una stagione morta, trad. di Barbara Passarella, Chambra d’Òc, Roccabruna (CN) 2011, 147 p. ndr [↩]
- Nahar Books, Binyamina (Israel) 2015, 267 p. 84 NIS (circa 20 euro). [↩]
Reuven Miran dice
Grazie, Giacomo Corazzol!