di Guido Gambaredo, Romano Banco
Eravamo in cerca di un modo per condividere i nostri voti per un buon proseguimento nel 2022. Il nostro amico Gigi Corazzol ci ha segnalato lo scritto che offriamo grazie alla cortesia degli autori Gambaredo e Banco. Un gioco per l’ultimo giorno dell’anno, cercando luce e vite tra le carte conservate in due buste dell’Archivio della Curia Vescovile di Feltre. È un testo lungo, che speriamo accompagnerà – tra lettura e riletture – molti momenti dell’anno (degli anni) a venire. Qui di seguito ne offriamo solo le premesse, la versione integrale si legge cliccando qui.
Fiammelle qua e là per i prati
friggono luci disperse ognuna in sé
quelle siamo noi, racimoli del fuoco
che pur disseminando resta pari a se stesso
è zero che dona, da zero, il suo vero
Andrea Zanzotto, Conglomerati
(Mondadori, Milano 2009, p. 121)
Luminello è parola con vari significati. Quello qui proposto è il terzo tra gli offerti dal vocabolario Treccani (il quarto nel Grande Dizionario di Salvatore Battaglia), vale a dire il “Gioco in cui i partecipanti si passano l’un l’altro un fiammifero o un tizzo acceso, pronunciando una frase stabilita; colui nelle cui mani il fiammifero o il tizzo si spegne fa penitenza”. La frase stabilita vorrà essere, concedetecelo, una benedizione (ecumenica). Chi, dove e come quel vecchio gioco? Ci siamo immaginati un gruppo misto (di tutti i possibili generi) seduto attorno a una stua. La penitenza? Ci penseremo.
Niente affatto fuor di proposito, pertinentissimo anzi, il significato al numero 4 del Treccani: “Barbaglio di luce che gli specchi, i vetri […] [talora anche qualche specie di carte antiche], ecc., colpiti dal sole rimandano su altri oggetti”. Termine, luminello, in ogni modo tutt’altro che stravagante, come attesta ad abundantiam il Grande Dizionario, risultando impiegato per secoli e secoli. La nostra gratitudine speciale, da vecchi malandati residenti in contorni i cui monti “tutto il mondo ci invidia” (si vede non facendo caso il mondo e, in subordine, l’Unesco, al nostro treno vintage che così vintage neanche in Ruritania ai tempi de Il prigioniero di Zenda) all’Accademia della Crusca per aver raccolto il Grande Dizionario, il Tommaseo-Bellini e un’infinità d’altro, sugli “scaffali digitali” del suo sito.
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al professor Marino Berengo
1. Due premesse1. Data l’età (e le forze) potevamo illuderci di festeggiare la riapertura dell’archivio2 mettendo in cantiere, come ama dire taluno in trip da capomastro, una nuova ricerca? Va bene che l’astinenza fa sragionare, ma non fino a tanto. Di qui la fantasia di cui offriamo il risultato al pietoso (speriamo) lettore. Pescare in un paio di registri della serie Acta Varia, pescare per qualche anno, non tanti, alla come viene viene. Niente problemi soggiacenti o soprastanti. Le problematiche intrigano. Meglio lasciarle a casa. Una scelta? Non c’è dubbio. Chissà se è stata buona. Quand’anche no poco male. Parliamo per noi si capisce. Ci ha regalato parecchie mattine felici. Novità? Nessuna3. E tuttavia?
C’è il tuttavia. Nuovo e interessante non sono parenti. Pensate alla cronaca locale dei nostri quotidiani. Omicidi (rari), violenze, a estranei come a familiari, furti, in case e botteghe, incidenti (tanti, sulle strade, in montagna, cercando funghi, in acqua, nei cantieri, nelle officine, nei campi (i.e. trattori che si ribaltano), incendi (di fabbricati, civili e industriali, di boschi, e d’altro in sorte), concittadini illustratisi con imprese memorabili (commerciali, letterarie, scientifiche, sportive; tanto più pregevoli quanto più avvenute fuori provincia). Sagre e festeggiamenti (annunci e resoconti). Scomparse naturali, incolmabili molte, altre, ahimè, premature. Freschissima, proprio di oggi, addì 19 dicembre 2021 questa. Di come a seguito di quanto stabilito attraverso un consulto telefonico tra il veterinario del Cras di Treviso e il suo collega bellunese, la Polizia Provinciale ha trattenuto in osservazione per una notte (assicurandogli un adeguato nutrimento) il gatto selvatico ritrovato ferito nel giardino della signora Luciani di Arsie. Nulla da fare purtroppo per la faina con cui si era battuto4.
Non parliamo della cronaca nazionale. Per esempio, fine ottobre 2021, undici pistolettate notturne a due bravi giovani scambiati, vai a sapere il motivo, per ladri. Extracomunitari fatti e finiti, pregiudicatissimi, i due delinquenti, sempre due, che a Milano hanno ammazzato a colpi di ferro da stiro in testa una novantenne, sorda e mezza cieca. Niente di personale, giusto per i soldi. Un trecento euro sì e no, di cui una quarantina fusi espressi in birrette rilassanti. Se diedero infine fuoco all’appartamento fu per astuzia. Speravano che le fiamme appiccate alla mobilia facessero cenere della carcassa e dello sproposito. E cosa dire del biglietto per i figlioli che un nostro coetaneo ha scritto prima di uccidere la loro madre e suicidarsi? Non pare anche a voi tragedia nella tragedia quel suo Scusatemi, proprio così, Scusatemi, nemmeno si trattasse di ottenere indulgenza per una sbadataggine minima. Sorvolo, poiché spesseggiano, sui casi di stragi multiple, tipo moglie/convivente, madre e figli della medesima, cognata/o in sorte, seguite, di solito, da suicidio.
Sempre la solita minestra (o vecchie solfe?) dirà qualcuno, spero non sbuffando. Come negarlo? Eppure ogni giorno, a casa o al bar, la sorbiamo, (tutti anche i più blasés) fino all’ultimo subbiotto. Ad attrarci di quella marmitta fumante è il fatto che, diversamente da quel che si pretende dalla storiografia, propone storie che pur dandosi un giorno dopo l’altro, nel tempo dunque, non indicano vettori. Per la mezzora necessaria a spazzolare la gamella, non interessa a nessuno sapere da dove veniamo e dove andiamo. Non è nemmeno per via che, in ossequio alle convinzioni dei primitivi e di diversi stimati filosofi, sia un tempo che giri in tondo. Nella cronaca dei quotidiani ci piace una cosa che massimamente detestiamo in musica, la ripetitività ossessiva, la vita che si dà per saputa fino alla feccia. Ci piace, e lo diremo in una lingua che, come ormai ignota ai più, denuncia la nostra età, il piétiner sur place che è poi il passi le mille volte ordinatoci dal professore di ginnastica o, più tardi e con una protervia che oramai ha smesso di offenderci, dagli innumeri caporali annidati in ogni piega del consorzio. Posto che a piacerci nella cronaca sia l’eterno ritorno di brandelli, cosa mai sarà che, a questo punto della vita, ci attira in un archivio? Inciampare di continuo in faccende familiari, senza storia. Vecchie solfe?
2. La seconda (premessa) prevede si rinvii a un racconto di Čechov del 1899, esattamente quello che reca il titolo Per affari di servizio5. Ce ne siamo innamorati grazie alle chiacchiere (interminabili) di un nostro amico pensionato. Per qualche anno (decenni fa) sfinì i suoi studenti (pochi) illustrando per filo e per segno le inchieste agrarie promosse dai governanti europei nei decenni finali dell’‘800. Oggi, a sua scusante reclama d’esser stato specialmente ghiotto di testimonianze disfattiste. Per questo noi che non sappiamo un tubo di storia agraria, siamo a giorno di come, secondo Michail Saltikov-Scedrin, si calcolava la produzione annua di patate al ministero dell’agricoltura dello zar6.
Da Anton Čechov cavò qualche cenno circa le procedure che stavano alla base di quelle maestose cattedrali statistiche. Ciò grazie alla riferta di Il’jà Losadin, il cursore (sennonché lui, l’amico nostro, ignorante patocco d’entrambe le lingue, ci teneva a precisare che cursore si dice cockaj o sotskij a seconda si parli ucraino o russo) cursore del villaggio di Syrnja
e ora, mio buon signore, sono in uso certi moduli per scriverci sopra le cifre – gialli, bianchi e rossi – e ciascun signore, o prete, o ricco mužìk deve assolutamente scrivere una decina di volte all’anno quanto ha seminato e quanto ha raccolto, quanti quarti o pudý di segale, quanti di avena e di fieno, e il tempo che fa e ogni sorta di insetti. Certo si scrive ciò che si vuole, è una pura formalità, ma tu corri a distribuire i fogli e di nuovo corri poi a raccoglierli.
Ma lasciamo l’amico, aule, banchi e inchieste agrarie al provvidenziale reticolo di scoli e marane che li ha inghiottiti (o li inghiottirà). Quel che ancora ci sommuove di quel racconto di Čechov sono il sogno e i pensieri ossessivi che agitarono la notte del giudice istruttore Lyzin, uno dei due funzionari incaricati dei rilievi di legge sul cadavere dell’agente di assicurazione Lesnickij, suicidatosi qualche giorno prima nell’isba dello zemstvo. E fu “davanti al samovar e dopo aver disposto sulla tavola gli antipasti”. Una mancanza di tatto, quel prevalersi di un edificio pubblico per esigenze private, che ferì il senso civico del medico legale.
Se ti è venuta voglia di cacciarti una palla in fronte, be’, va’ a spararti in casa tua, in qualunque posto, in una rimessa.
Ma abbiate pazienza. Della brutta notte del giudice Lyzin meglio parlarne più avanti.
Ricapitolando. Fate conto che quel che segue sia un mazzolin di nuove che, ove mai nell’anno del signore 1618 (e limitrofi) fossero esistiti i quotidiani, avrebbero trovato posto (talora forse anche d’onore) nelle pagine di cronaca diocesana. Care, venturose, benedette, le nuove estratte dalle buste 113 e 114 della serie Acta Varia dell’Archivio della Curia Vescovile di Feltre (ACVF).
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- Per quel che riguarda questo saggio dobbiamo molto alla compassionevole cortesia di molti amici. Ci piacerebbe molto nominarli, ma non lo faremo temendo che quella generosa attenzione possa venir loro imputata come complicità dalla severissima procura anticrimine di Clio. L’omissione ci spiace anche perché ci impedisce di dimostrare che almeno una delle dieci regole trasmesse (ut doceat) con molto fuoco da Arnaldo Momigliano, Le regole del giuoco nello studio della storia antica, in Id., Sesto contributo alla storia degli studi classici e del mondo antico, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1980, tomo I, pp. 15-21, ammette un’eccezione. Precisamente la regola IV, quella che comanda allo storico serio di ricercare soprattutto l’amicizia di studiosi noti per severità e scetticismo. Da cui il paraproverbio a p. 16, “Dimmi che amici hai e ti dirò che storico sei”. Beh, intatta la stima per Momigliano, con quei nomi avreste potuto sperimentare che l’amicizia certificata di una sfilza di studiosi seri capita anche, ahinoi, che non garantisca altro che la debolezza del cuore umano. [↩]
- Essa è avvenuta verso la fine dell’estate del 2021. Di qui in avanti ACVF sia per Archivio della Curia Vescovile di Feltre. [↩]
- Proprio perché non serve preferiamo dirlo e ridirlo. Questa bagatella saturnina non serve assolutamente a niente quando ci si interessi sul serio alla vita morale e religiosa in diocesi di Feltre a cavallo tra ‘500 e ‘600. Oltretutto, quello della vita religiosa e morale in diocesi di Feltre allora non è tema cui urga al momento di applicarsi, come sa chiunque abbia percorso, quand’anche in fretta, l’ammirevole, monumentale ricognizione offerta da don Claudio Centa nel suo Una dinastia episcopale nel Cinquecento: Lorenzo, Tommaso e Filippo Maria Campeggi vescovi di Feltre, 2 voll., Edizioni Liturgiche, Roma 2004. In particolare la Parte terza. [↩]
- “Corriere delle Alpi” alla data. [↩]
- Troppe le edizioni da un secolo in qua perché abbia senso indicare quella usata da noi, che, in ogni caso, è Anton Čechov, Racconti e teatro, Sansoni, Firenze 1966, pp. 1091-1098. [↩]
- Michail E. Saltikov-Scedrin, I signori Golovliòv, Rizzoli, Milano 1963, p. 135. «Immaginate ad esempio un capoufficio al quale il direttore abbia detto, in un momento di buon umore: “Mio caro amico, per certe indagini mi è indispensabile sapere quale può essere la produzione annua di patate della Russia. Vi prego quindi di provvedere a farne un calcolo preciso”. Credete che il capoufficio resterebbe perplesso o che perderebbe tempo a studiare il metodo da adottare? Niente affatto. Ecco qui cosa farebbe con la massima semplicità: tracciata una carta della Russia la dividerebbe in quadratini uguali, calcolando poi il numero di ettari rappresentato da ogni quadrato. Quindi andrebbe a chiedere all’erbivendolo quante patate si piantano in un ettaro e qual è in media la loro produzione, e così, con l’aiuto di Dio e delle quattro operazioni, arriverebbe a scoprire che la Russia in condizioni favorevoli, può produrre tante patate, e, in condizioni sfavorevoli, tante. E quel lavoro non solo soddisferebbe il superiore, ma verrebbe certamente pubblicato nel centoduesimo volume di qualche “Raccolta”». [↩]
Brunello Gigio dice
Letta tuttadunfiato gaddiana scrittura