di Gigi Cameroni
Tra le poche cose di mia nonna, la mamma di mia mamma, arrivate sino in casa mia c’è questo libretto Il mio bambino. Era un omaggio del settimanale Bella alle sue lettrici, allegato al numero 38 di un anno che non riuscirò mai a sapere, ed è diventato un residuo, un rimasuglio di un archivio di famiglia mai curato e disperso pezzo per pezzo, a ogni grande pulizia, viaggio tra cantina e soffitta alla ricerca di spazio in casa, trasloco.
Pensato e proposto alle neomamme per annotare le prime cose nella vita di un bimbo (“I miei dentini”, “La pappa che preferisco”, “Le mie filastrocche”, …), questo libretto mia nonna lo ha usato per segnarsi fatti di famiglia memorabili: malattie di bambini e adulti, traslochi, sacramenti (ci sono le comunioni e le cresime, nessun battesimo, nessun matrimonio, nessun funerale), dimissioni e assunzioni, la creazione di una piccola società, la partenza e il rientro dal servizio militare, l’inizio di relazioni amorose, acquisti e vendite importanti (una macchina, una casa, …), incidenti stradali.
Il modello è quello dei “libri di famiglia” in uso sin dal medioevo: libri o registri dove si raccoglievano, in forma sintetica, notizie non per forza, non sempre strettamente private che si riteneva utile tramandare all’interno della famiglia. Anche quelli più poveri e scritti male sono fonti che fanno la felicità degli storici e delle storiche.
La notizia più vecchia compilata da mia nonna risale al 1971, la più recente al 1990. Dalla grafia, dalle cancellature, dalla sequenza delle date, mi sono fatto l’idea che le note fino al 1985-86 provengano da vecchie agende o taccuini che a un certo punto mia nonna decise di sistemare, selezionare, copiare in bella. So che aveva un’agenda dove segnava i compleanni, ma da lì niente.
Gli aggiornamenti sono stati poi pochi e saltuari. Solo cinque facciate e mezzo, scritte una riga sì e una no.
Il cineografo scorre veloce e si ferma troppo in fretta per me che sono di famiglia. Alcune date si portano dietro immagini vivide: volti, oggetti e scene, dettagli di giornate svanite per tutto il resto, le fantasticherie di allora su nomi sconosciuti e brani di discorsi che capivo poco all’età che avevo, quando anche “Spinea” poteva essere un richiamo di mondi esotici, da gita della domenica…
Niente nascite, eppure noi cugini siamo spuntati tutti tra il 1971 e il 1973. Nemmeno funerali. Per qualche motivo suo, mia nonna di tutto questo non ha lasciato note nel libretto. Non è da molti anni che so che suo fratello piccolo – la nonna era del 1908, lo zio (per me prozio, si capisce) del ’14 – anche lui teneva un suo libro di famiglia. Me lo mostrò tenendolo nelle sue mani in una delle ultime visite che gli feci, nel 2009, insieme alla morosa: aprì un’agenda dicendomi che lui teneva i conti, e che mi regolassi, perché le uscite da un pezzo superavano le entrate.
Quando ti accorgi che la memoria perde colpi, e che ormai la tua vita è scandita di continuo da anniversari, è già troppo tardi per scrivere. I funerali della zia Idea e della zia Valda sono stati negli anni Ottanta, la nonna Bruna ha mancato i novant’anni solo per poche settimane. Lo zio Giordano se n’è andato un giorno verso metà marzo del 2013, ultimo di quattro fratelli. Il periodo lo so per certo, perché la notizia mi è arrivata in un posto lontano, dove ero appena arrivato il 13 marzo 2013. Quel che resta della famiglia, racchiuso in due generazioni, si è ritrovato a Reggio Emilia per il funerale, ma io non ho potuto unirmi. Della sua agenda non ho più saputo nulla.