di Enrico Zanette
In occasione del 6 dicembre, abbiamo scritto al nostro amico Enrico Zanette – che da qualche mese si è ristabilito a Vittorio Veneto – per chiedergli cosa ne fosse dei riti del giorno di san Nicola che ci aveva descritto qualche anno fa. Ecco la sua risposta.
Vittorio Veneto, 6 dicembre 2012, sera
cari amici di storiAmestre,
“i soliti nazionalsocialisti” è il primo pensiero che mi è venuto… lo ammetto ero un po’ deplacé, ieri sera, perché stavo leggendo il saggio di Sigfried Kracauer sugli impiegati berlinesi del 1930 (peraltro non ancora nazi, questo è venuto poco dopo). Ma non è la prima volta che questo San Nicolò mi preoccupa.Dunque a distanza di anni mi chiedete che ne è della festa nel mio paese. Nel 2007 vi avevo scritto di questo recupero-invenzione della tradizione di San Nicolò: un corteo organizzato con i genitori in testa seguiti dai bambini che trascinano scatolame di latta producendo un frastuono regolare tanto da sembrare un treno. Ieri un treno, oggi una parata militare.
Sono giorni strani comunque: vado dal tabacchino e c’è la fila (gratta e vinci, ecc.) e due signore discutono di meteore, meteoriti, atmosfera e botti, astrofisica improvvisata… e mi viene in mente che la notte precedente avevo sentito uno strano botto verso l’una di notte. Per loro era un meteorite esploso a contatto con l’atmosfera. Spiegazione sicuramente inverosimile a cui però ho creduto per comodità, perché poche ore prima del botto avevo visto una stella cadente (chissà poteva essere uno sciame di meteore?) e la prima spiegazione che mi ero dato – che si trattava di un grosso petardo, fatto esplodere come test in vista del veglione di fine anno – era più fantasiosa e troppo influenzata dal film che stavo guardando (The Hurt Locker, artificieri americani in Iraq… tutta un’esplosione).
Forse è così che funziona: associazioni mentali mosse da visioni, letture che fanno da tramite a universi paralleli con le loro logiche e temporalità che trovano finalmente sintesi nel processo cognitivo generando interpretazioni spontanee, un po’ come raccontava Musil nell’Uomo senza qualità.
Fatto sta che anni fa la processione dei bandòt mi ricordava un treno (avevo all’epoca una gran voglia di partire), mente oggi mi ricorda un marcia militare, il passo dell’oca, con il suo rumore regolare. In testa i genitori-ufficiali, dietro i bambini-reclute, uniti, solidali, disciplinati. Che sia solo colpa di Kracauer? Non so, ma al di là delle metafore la cosa è comunque impressionante.
Alla fine del secolo scorso San Nicolò era chiaramente in calo, pochi continuavano a scrivergli e il suo giro si era ristretto, mentre Babbo Natale spopolava grazie all’appoggio dei poteri forti e alla strategia generalista che non distingue tra grandi e piccini. Qualche nostalgico di San Nicolò è allora insorto per ridare vigore al vecchietto disilluso del 6 dicembre. Lo hanno prelevato dall’ospizio dei miti locali – in effetti la compagnia di Barba Zucon e Mazarol non deve essere delle migliori – e barba bianca finta, completo rosso e pon pon lo mandano in giro travestito da Babbo Natale. Un adeguamento allo stile del nemico che per lui suona come la beffa dopo la sconfitta.
In questa riscoperta-invenzione della tradizione locale anche i bambini dovevano fare la loro parte. E così la serata dei bandòt nella quale i bambini potevano girare liberi a fare baccano per le strade è diventata la marcia disciplinata dei bandòt, episodio di disordine ordinato, ennesimo addestramento al rispetto delle gerarchie e dello stare nei ranghi.
Si dirà che le strade non sono più sicure… appunto.
Liberate San Nicolò, ma soprattutto i bambini.
Enrico Zanette
Nota della redazione. Enrico Zanette comincia la sua lettera con un’allusione a un libro dello scrittore (e filosofo e sociologo) Siegfried Kracauer (1889-1966), Gli impiegati (or. Die Angestellten. Aus dem neuesten Deutschland, 1930; c’è un’edizione italiana, difficile da trovare: sottotitolo L’analisi profetica della società contemporanea, con una nota introduttiva di Luciano Gallino, Einaudi, Torino 1980). Si tratta dei risultati di un’indagine svolta a Berlino nel 1929-1930 (l’introduzione è datata gennaio 1930) su quello che allora sembrava un ceto sociale nuovo, cioè i sempre più numerosi impiegati delle aziende private. Siamo proprio nei mesi dello scoppio della grande crisi del 1929; il nazismo era alle porte ma non è questo di cui parla Kracauer: i suoi temi sono gli stili di vita di un ceto emergente e apparentemente senza ideologia precisa, la modernità, i consumi di questa nuova “massa”, la razionalizzazione del lavoro e le sue gerarchie, la meccanizzazione del lavoro burocratico, il reclutamento, i rapporti interpersonali – per capirsi: se appunto non ci fossero all’orizzonte le parate a passo dell’oca, si direbbe anche "Fantozzi". Il libro di Kracauer suscitò l’interesse, tra gli altri, del filosofo Walter Benjamin (1892-1940), che gli dedicò una recensione.
L’altro riferimento è al romanzo dello scrittore austriaco Robert Musil (1880-1942), Der Mann ohne Eigenschaften (1930-1942, incompiuto; varie traduzioni italiane – si trova in edizione recente tra i tascabili Einaudi o nella collana Meridiani di Mondadori –, sempre con il titolo L’uomo senza qualità).
Il film The Hurt Locker è uscito in nel 2008, per altri dettagli, cliccare qui.
Infine, per un "lancio di stampa" per il San Nicolò 2012, cliccare qui.
Carlo Miclet dice
Da buon meranese mi sento chiamato in causa.
In tutto l’Alto Adige la sera del 5 dicembre i bambini aspettano San Nicolò. A Merano festa doppia: San Nicolò è il santo patrono della città e quindi il 6 dicembre si sta a casa da scuola. E’ una festa sudtirolese (Der Nikolaus) ma che ormai è diventata tradizionale anche per gli italiani dell’Alto Adige.
San Nicolò, che viene riconosciuto dai bambini come vescovo, passa per il centro città accompagnato dai Krampus, dei diavoli che spaventano i bambini. Sono vestiti con costumi tradizionali di pelliccia e portano maschere intagliate nel legno. Hanno catene e fruste. Vengono allontanati da San Nicolò che porta dolci ai bambini buoni e carbone a quelli cattivi.
Proprio in questi giorni al Museo Civico di Bolzano c’è una mostra sui Krampus (http://www.crushsite.it/it/mostre/2012/krampus-maschere-e-cartoline.html).
Tradizionale è il sacchetto del Nikolaus: un sacchetto rosso con dentro bagigi, mandarini e dolcetti vari. Non possono mancare i Lebkuchen (biscotti speziati), spesso fatti a forma di San Nicolò, con attaccato sopra un adesivo con l’immagine del vescovo. Ricordo che questo adesivo era attaccato talmente bene che parecchi pezzi di carta rimanevano sempre attaccati al biscotto: si mangiavano anche quelli.
Adesso, con l’invenzione della tradizione dei mercatini di Natale, San Nicolò passa tra le bancarelle e spesso i turisti italiani lo scambiano per Babbo Natale e diventa una delle attrazioni del mercatino.
A casa mia si è sempre festeggiato San Nicolò. Ancora oggi, alla tenera età di 40 anni, il 5 dicembre non posso non comprare bagigi e mandarini.
Piero Brunello dice
Ho letto con molto interesse i commenti originati dalla lettera di Enrico Zanette, perché fanno riflettere sui motivi per cui feste come quella di San Nicolò piacciono ai bambini (Giacomo dall’Agnol), sulle ragioni e sui conflitti che spingono gli adulti a inventarle (Giovanni Levi, Enrico Zanette, Christian De Vito), e infine sulla struttura dei riti in cui i bambini sono “festeggiati un po’ per tutto l’inverno” (Marco Fincardi). Dopo aver letto la lettera di Giacomo Dall’Agnol ho provato a informarmi, e in effetti i romeni che vivono a Mestre mantengono il rito dei regali di San Nicolae. Marco Fincardi conferma che gli immigrati dai paesi dove si festeggia Santa Lucia continuano a farlo in una città come Bologna dove invece la tradizione è sconosciuta (il culto alla santa è ininfluente). Questo mi ha fatto pensare ai diversi sistemi di significato che convivono in un ambiente urbano, e forse anche a come si potrebbe raccontare una città.
Marco Fincardi dice
Ciao. Nella pianura più occidentale, distante dall’Adriatico (nella zona delimitata a sud da Guastalla, Carpi, fino a Ferrara, poi salendo le province di Mantova, Cremona, Bergamo, Brescia, Verona e Trento, non so se anche Bolzano e il resto del Tirolo), in questo periodo i regali ai bambini li ha portati Santa Lucia, che viaggia nel cielo la notte che prima della riforma del calendario gregoriano era la notte più lunga dell’anno. Nessuno si preoccupa della mummia di santa Lucia esposta nella chiesa di San Geremia, o collegava questo rito agli altri praticati un tempo il giorno seguente, quando ci si bagnavano gli occhi per farsi proteggere la vista dalla santa. I festeggiati nella notte erano i bambini e mica la santa. Bambini festeggiati un po’ per tutto l’inverno, da varie parti e in vari modi, in genere con questue fatte da loro (da San Martino al Capodanno), oppure con esseri soprannaturali (dai morti in Sicilia e certe zone del Sud, a San Nicolò, Gesù-bambino, Babbo Natale. Befana). L’Opera nazionale dopolavoro e un po’ di preti e folkloristi hanno tentato di romanizzare tutto con una festa della Befana. Giovanni Zibordi, nel suo libro del 1930 “Il cavallo rosso” (Bietti) sorride blandamente sulla befana-santa Lucia di quell’anno, annunciata coi manifesti affissi ai muri; di più non poteva scrivere, per non essere impedito a pubblicare e prima ancora venire stangato.
Dalle mie parti (Guastalla), già mezzo secolo fa la ricorrenza era solo presente nell’ambito familiare. Solo una volta ricordo una suora (si intravedeva il grembiale nero a pallini bianchi da orsolina, sotto il vestito da fata) dell’asilo che si era travestita da santa Lucia e il custode da conduttore del somarino, per portarci un sacco pieno di regali: per noi maschi un bellissimo jet dell’Usaaf, che con delle molle lanciava dei proiettili di plastica, missili terra-aria: roba da siuri quell’anno, mai più ripetuta. Per il resto, allora e molto meno adesso, roba tutta in famiglia o nei negozi di giocattoli, poi se ne parlava un po’ la mattina dopo a scuola.
Quando lavoravo a Brescia, invece, nel pomeriggio del 12, appena era venuto buio, lungo le strade delle case c’era un gran scampanellìo, che mi sorprendeva. Poi mi hanno spiegato che era per far credere ai bambini che c’era già in giro il somarello, per farli star tutti buoni chiusi in casa ad aspettare. Un’amica bergamasca mi diceva che da loro il pomeriggio del 12 erano gli adolescenti (che “già sapevano” non esserci nulla di soprannaturale in giro) a correre per la strada coi campanelli, per farsi sentire dai più piccoli e inscenare l’arrivo della santa con le offerte rituali.
A Bologna, dove vivo ora, e dove santa Lucia è solo la protettrice della vista, con una gran chiesa a lei dedicata e dove in quella data nulla è collegato alla festa dei bambini, ci scambiamo regali tra immigrati originari dai paesi di cui prima parlavo. Ricordo una volta di aver visto nel giorno di santa Lucia la benedizione di candele accese (simbolo della luce che torna a rischiarare le tenebre dell’inverno, con le giornate che lentamente tornano ad allungarsi, riaprendo il ciclo dell’anno), e ho telefonato al parroco (ordine dei serviti, quelli bistrattati da Machiavelli) per chiedergli se era lì che facevano un simile rituale. Lui, tra l’ironico e l’interessato, mi ha detto che non avevano mai fatto nulla del genere, ma gli stavo dando un’ottima idea, che se attuata avrebbe attratto molta gente (e magari offerte più o meno votive, abbastanza tangibili)…
Christian dice
Cari amici e amiche di storiAmestre,
qui nei Paesi Bassi Sinterklaas (o Sint Nikolaas) arriva con una nave a vapore dalla Spagna attorno al 20 ottobre. Ogni anno attracca in un porto differente, accolto dal sindaco della cittadina di turno e da folle di bambini e adulti. La cerimonia è poi ripetuta anche altrove.
Scendono dalla nave prima i suoi aiutanti – i “Pietri neri” (Zwarte Pieten) – poi Sinterklaas in persona, sul suo cavallo bianco Amerigo (leggi Amérigo, con la “g” ultragutturale dell’olandese).
Dal momento dell’arrivo ufficiale i bambini di oggi possono seguire le vicissitudini e gli spostamenti di Sinterklaas guardando in tv il Sinterklaasjournaal (http://sinterklaasjournaal.ntr.nl/#/home). Ma soprattutto possono mettere in casa – vicino a un camino, se disponibile – una scarpa con una carota dentro (quest’ultima serve per rifocillare Amerigo).
Sinterklaas si aggira così per le case d’Olanda e grazie al suo librone rosso sa quali bambini si sono comportati bene e quali no. Nella versione attuale Sinterklaas distribuisce dolcetti vari ai bambini che cantano le canzoni adatte al caso (le mie preferite: “Zie ginds komt de stoomboot” e “Sinterklaas kapoentje”) e gli Zwarte Pieten, un po’ dispettosi, si divertono a gettare sul pavimento pepernoten e altri dolcetti. Fino a qualche anno fa gli Zwarte Pieten avevano a disposizione però anche un “roe” (una specie di scopa di saggina) o, in alcune parti del paese, un sacco di sale, per punire i bambini cattivi. In alcune stampe ottocentesche lo stesso Sint Nikolaas è inoltre ritratto mentre distribuisce scudisciate sul sedere dei bambini cattivi.
Il clou della festa arriva nella “serata dei pacchi” (“pakjesavond”) del 5 dicembre, una specie di Natale – anzi, per molte famiglie e sicuramente per molti bambini più importante del Natale.
Il giorno dopo Sinterklaas se ne torna in Spagna (alcuni dicono, per scherzo, che va in Germania, dove si festeggia il 6 dicembre – ma quel San Nicola lì va su un asino e non ha aiutanti: insomma, è tutta un’altra storia).
Due questioncine finali.
Benché Sinterklaas sia vestito chiaramente da vescovo – con la mitria, il bastone vescovile e una croce d’oro sul librone rosso – non conosco un solo olandese che riconoscerebbe in lui un vescovo. Abito però “a nord dei fiumi”, nella parte dei Paesi Bassi a (stragrande) maggioranza calvinista, con l’eccezione di piccole isole cattoliche dove si festeggia anche il carnevale, come “a Sud dei fiumi”. Non saprei dirvi se nelle zone cattoliche sia riconosciuto un collegamento Sinterklaas-vescovo.
Inoltre, non vi sarà sfuggito che gli “Zwarte Pieten” sono Pietri “neri”. La derivazione coloniale è evidente e sulla necessità di “abolire gli Zwarte Pieten” si riapre ciclicamente una discussione pubblica – è stata già sollevata dai movimenti degli anni Settanta e anche ora esistono gruppi come “Zwarte Piet is racisme”. Se ne è discusso anche nei giorni passati e il governo di “grande coalizione” (liberali conservatori e social-democratici) ha promesso di pensarci su, come tutti gli anni. La maggioranza degli olandese comunque nega risolutamente la connessione coloniale e considera questo tipo di polemiche assolutamente pretestuose e inutili. Un paio di anni fa, durante la presentazione di un libro sulla storia dei gelatai italiani (della provincia di Belluno) in Olanda, uno storico olandese ha sostenuto, tra il serio e il faceto, che gli Zwarte Pieten derivino in realtà dagli spazzacamino italiani…
Un caro saluto a tutti e a tutte,
Christian
P.S. Leggo in internet le ipotesi più varie sull’origine della festa e sulle sue successive evoluzioni. In forma di lista: documenti del XIV secolo attestano per la prima volta una festa dedicata a San Nicola in Olanda; nei primi anni dopo la Riforma i predicatori calvinisti provarono, senza successo, a estirpare la festa; nel 1850 viene pubblicato per la prima volta il libro dell’educatore e poeta Jan Schenkman, che (forse) per primo introduce gli elementi della provenienza dalla Spagna, della nave a vapore e dei “paggi neri”; nella seconda metà dell’Ottocento Sinterklaas comincia a comparire di persona nelle strade, con accompagnatori di colore al seguito; durante l’occupazione nazista la propaganda spingeva per un’origine germanica della festa; l’arrivo di Sinterklaas è un evento televisivo di prim’ordine e sono attori noti quelli che impersonano il santo e il capo degli Zwarte Pieten: due anni fa è cambiato l’attore che impersonifica il “vero” Sinterklaas… Di tutte queste informazioni “storiche”, solo l’ultima è nota e ha una qualche importanza per il grosso della popolazione olandese.
Enrico Zanette dice
Grazie Giovanni per le precisazioni. Aggiungo sul sincretismo ecclesiastico e mondo tedesco. Da un breve soggiorno a Innsbruck ho scoperto l’esistenza dei Krampus che sono dei diavoletti terribili che girano la notte del 5 dicembre. Spesso irrompono nei mercatini di natale tipici del Tirolo-Baviera (regioni iper-cattoliche) portando scompiglio tra brulé e frittelle. Nei festeggiamenti ufficiali sono invece addomesticati al servizio del vescovo san Nikolaus seguendo fedeli la sua processione e i suoi doni. Insomma, i Krampus tirolesi un po’ come i bambini di Ceneda: hanno perso la loro autonomia… anche se da noi niente vescovo (in fondo siamo già diocesi, si creerebbe forse confusione) ma solo un vecchietto malconcio e tanti genitori.
giovanni levi dice
Ho dimenticato un’osservazione: naturalmente si tratta di san Klaus, una specie di babbo natale tedesco, ma mi pare che, arrivato in Italia, si sia fuso con san Nicola di Bari, forse con un’operazione consapevole della chiesa, gran digeritrice di miti e culti altrui.
giovanni levi dice
Cari amici e caro Enrico,
con san Nicola c’è un problema politico rilevante, ammesso che sia lo stesso di san Nicolò. E’ comunque quello cosiddetto di Bari, dove è arrivato sotto forma di scheletro, su una zattera (ne è seguito un conflitto coi genovesi, che lo volevano loro ma che poi han concluso che lo scheletro arrivato in zattera a Genova era san Giorgio). E’ il santo della conservazione di status in una società gerarchica. Si rappresenta con un piatto con tre palle d’oro (portate da un angelo nel Lotto ai Carmini a Venezia). Era vescovo e aveva tirato le tre palle d’oro nel giardino di un mercante appena morto perché le sue 3 figlie non si perdessero (socialmente) e si dotassero adeguatamente. Sicché è una devozione seguita per esempio dagli aristocratici veneziani impoveriti o dalle figlie dei mercanti rimaste orfane. Insomma la devozione adatta a una società gerarchica ma naturalmente ‘giusta’ come nei modelli cattolici: ognuno contento al suo posto. Mi domando che relazione c’è con queste feste popolari di san Nicolò, anche se non mi pare impossibile immaginarlo: regalini a consolare chi deve accettare la sua condizione. Non so poi perché un vescovo girasse vestito da miserabile e con un asino: nell’iconografia è sempre vestito sontuosamente, da vescovo. Ma forse si tratta di due santi diversi, ma entrambi di Bari.