di Maria Turchetto
Anticipiamo di poco il rito dei regali, per fare gli auguri di buone feste alle lettrici e ai lettori del sito di storiAmestre. Pubblichiamo il testo di una conferenza tenuta da Maria Turchetto a Venezia, il 1° dicembre 2014; come in altre occasioni, vista la lunghezza, proponiamo le prime pagine del testo qui di seguito, mentre la versione integrale è scaricabile cliccando qui. Si parte da Darwin per arrivare alle più recenti acquisizioni della paleoantropologia, che mettono in evidenza il ruolo della “femmina di homo sapiens” nell’evoluzione del cervello umano: cosa per la quale “forse le dobbiamo un po’ di gratitudine e un po’ di rispetto. Molto più di quello che per il passato le è stato concesso. Molto più di quello che ancora oggi le viene tributato”.
La scienza non abita in una torre d’avorio: è inserita in una determinata società ed è parte di una più vasta cultura nella quale deve farsi spazio e prendere posizione, a volte entrando in conflitto con lo “spirito del tempo”, altre volte subendone l’influenza più o meno consapevolmente. Perfino le ricerche sul moto dei corpi celesti possono avere un “impatto sociale”1 altissimo, come dimostra la vicenda di Galileo – figuriamoci le teorie sull’origine dell’uomo!
Darwin se ne rendeva ben conto: in L’origine delle specie (1859) si limitò a un vago accenno sull’uomo, senz’altro per una cautela tattica, per evitare che la sua teoria venisse travolta da polemiche ideologiche. Sappiamo dai suoi Taccuini che aveva un interesse estremo per la questione uomo, ma probabilmente voleva vedere la sua teoria scientificamente accreditata prima di affrontarla. Lo farà soltanto dodici anni dopo, quando le polemiche erano comunque scoppiate, pubblicando L’origine dell’uomo (1871). La traduzione italiana non dà conto fino in fondo del titolo inglese, The Descent of Man. Descent, non Origin come nell’opera del 1859. Descent significa “discendenza”, ma anche “discesa” o “caduta”: discendenza “da qualche forma inferiore […], approssimativamente da un quadrumane peloso, con la coda e le orecchie aguzze, probabilmente di abitudini arboree e abitante del vecchio mondo”2; caduta clamorosa nel regno animale, con un posto ben preciso nella serie zoologica tra le scimmie del vecchio mondo – altro che esseri fatti a immagine di Dio e collocati a un passo dai cherubini! Davvero una “grande mortificazione al nostro ingenuo amor proprio”, come commentò Freud3.
Se Darwin era ben consapevole dell’enorme impatto culturale della sua teoria, gli era ben chiara anche una posta in gioco eminentemente politica dei coevi discorsi biologici sull’uomo: la questione delle razze. In tempi in cui era ancora intensa la discussione sull’abolizione della schiavitù, Alfred Russel Wallace, che Darwin considerava coautore della teoria della selezione naturale, si era già espresso contro il poligenetismo4, ossia l’idea dell’origine plurima delle razze umane, che non apparterrebbero dunque alla medesima specie – idea che come ben si comprende faceva assai comodo ai fautori dello schiavismo. In L’origine dell’uomo Darwin porta argomenti ancora più drastici, mettendo in discussione il significato stesso dell’idea stessa di “razza”: “L’uomo è stato studiato più attentamente di qualsiasi altro animale, eppure c’è la più grande varietà di giudizi fra le persone competenti riguardo a se possa essere classificato come una singola razza oppure due (Virey), tre (Jacquinot), quattro (Kant), cinque (Blumenbach), sei (Buffon), sette (Hunter), otto (Agassiz), undici (Pickering), quindici (Boy de St. Vincent), sedici (Desmoulins), ventidue (Morton), sessanta (Crawford) o sessantatré secondo Burke”5. Del resto “ogni razza confluisce gradualmente nell’altra”, rendendo improponibili le demarcazioni nette; inoltre “le razze umane non sono abbastanza distinte tra loro da abitare la stessa regione senza fondersi; e l’assenza di fusione offre la prova usuale della distinzione tra specie”6. Con questa critica alla categoria di razza Darwin si colloca molto oltre il proprio tempo – anzi, molto oltre la prima metà del secolo successivo, tragicamente dominata dal presunto “razzismo scientifico”. Solo l’imporsi nella teoria evoluzionista dell’approccio “popolazionista”7 ha fatto giustizia della categoria di razza, almeno nel campo della biologia – in altri campi e nel senso comune, ahimè, imperversa ancora. Attribuire a Darwin la paternità del cosiddetto “darwinismo sociale” e le sue tragiche derive razziste, come fanno ormai soltanto i creazionisti nella balorda convinzione che presentare un Darwin razzista inficerebbe la teoria dell’evoluzione, è dunque un errore – o più precisamente un falso8.
Ma Darwin, rivoluzionario sul versante della concezione dell’uomo e progressista in tema di razzismo, su un altro versante si mostra assai poco sensibile e figlio della propria epoca: nell’affermare l’inferiorità mentale della donna. Il sito dell’Institute for Creation Research (i creazionisti americani)9 colleziona in tal senso alcune frasi tratte da L’origine dell’uomo – di nuovo nella balorda convinzione che presentare un Darwin maschilista inficerebbe la teoria dell’evoluzione. Da che pulpito viene la predica! Proprio loro che riducono le donne a una costola di Adamo! Ma detto questo, non sarò certo io a nascondere questa debolezza – questa subalternità allo “spirito del tempo” – del grande scienziato. Ecco qua, testuali parole: “La distinzione principale nei poteri mentali dei due sessi è costituita dal fatto che l’uomo giunge più avanti della donna, qualunque azione intraprenda, sia che essa richieda un pensiero profondo, o ragione, immaginazione, o semplicemente l’uso delle mani e dei sensi. Se vi fossero due elenchi di uomini e donne che eccellessero maggiormente nella poesia, nella pittura, scultura, musica […], storia, scienza e filosofia, con una mezza dozzina di nomi sotto ciascuna disciplina, non ci potrebbe essere confronto. Possiamo concludere, con la legge della deviazione dalla media così ben illustrata da Galton nel suo libro Hereditary Genius, che se gli uomini sono in molte discipline decisamente superiori alle donne, il potere mentale medio dell’uomo è superiore a quello di queste ultime”10. Questo passo è riportato nel sito dei creazionisti, ma in tutta onestà devo aggiungere che proseguendo c’è di peggio: Darwin afferma – arrampicandosi parecchio sugli specchi ed esprimendo per la verità anche qualche dubbio sulle tesi poco darwiniane da cui argomenta – che “l’attuale diseguaglianza delle qualità mentali tra i sessi non potrebbe essere annullata da una uguale educazione giovanile, né può essere stata causata da una educazione giovanile dissimile”11. Poco da fare: il nostro caro Darwin, antispecista e antirazzista (non è poco per l’epoca), resta sessista. Gli voglio bene lo stesso, perché il suo contributo all’emancipazione dell’umanità dalle ubbie metafisiche resta comunque fondamentale.
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- Mutuo l’espressione da Stephen J. Gould, autore attentissimo ai rapporti tra scienza, ideologie, società. A proposito dell’“impatto sociale” della fisica galileiana, scrive: “A Galileo non furono mostrati gli strumenti di tortura in un astratto dibattito sul moto lunare. Lo scienziato aveva minacciato la tesi tradizionale della Chiesa sulla stabilità sociale e dottrinale: l’ordine statico del mondo con i pianeti che ruotano intorno a una Terra centrale, i preti subordinati al papa e i servi al loro signore” (Stephen J. Gould, Intelligenza e pregiudizio. Contro i fondamenti scientifici del razzismo, il Saggiatore, Milano 2005, p. 44). [↩]
- Charles Darwin, L’origine dell’uomo e la selezione sessuale (1871), Newton Compton, Roma 2006, p. 132. [↩]
- Sigmund Freud, Introduzione alla psicoanalisi (1915-1917), in Id., Opere, Bollati Boringhieri, Torino 1967-1980, VIII, p. 189. [↩]
- In un articolo del 1864 intitolato The Origin of Human Races and the Antiquity of Man Deduced from the Theory of “Natural Selection”. [↩]
- Darwin, L’origine dell’uomo e la selezione sessuale cit., p. 144. [↩]
- Ibidem. [↩]
- Il termine “popolazionismo” si deve a Ernst Mayr (1904-2005), uno dei massimi studiosi dell’evoluzione, che lo contrappone a “essenzialismo”. Secondo Mayr l’essenzialismo – che presume l’esistenza di forme essenziali per ogni classe di viventi, trattando le differenze individuali come deviazioni dalla norma rappresentata da tali forme essenziali – ha dominato il pensiero occidentale per millenni e l’approccio popolazionista di Darwin – che sostiene che una classe non è altro che l’astrazione concettuale di numerosi individui unici – rappresenta perciò una svolta radicale. In un’ottica popolazionista lo stesso concetto di “specie” risulta incerto, mentre il concetto di “razza” risulta totalmente privo di fondamento. [↩]
- La letteratura che “scagiona” Darwin dal cosiddetto “darwinismo sociale” è vastissima. Mi limito qui a suggerire, sull’argomento, il recente e chiarissimo libro di Angelo Abbondandolo, I figli illegittimi di Darwin, Nessun Dogma, Roma 2012. [↩]
- Vedi http://www.icr.org/. [↩]
- Darwin, L’origine dell’uomo e la selezione sessuale cit., p. 424. [↩]
- Ivi, p. 425 [↩]