di Giulia Brunello
A sinistra, piccola lampadina a bulbo, di vetro trasparente, con il passo stretto. Dentro si vedono i filetti che caratterizzano le lampadine incandescenti: ora che si sono bruciati, penzolano. Sul bulbo, segni di saldatura.
A destra, Lampadina a led.
Non avevo mai guardato com’era fatta la vecchia lampadina prima di doverla sostituire: era coperta da un paralume in tela color crema, nell’abatjour sul comodino di mio figlio mezzano – un piccolo comodino costruito con legno di recupero, in stile antico, sul quale l’abatjour di stile altrettanto antico sta benissimo: ce lo ha regalato mia mamma quando non avevamo ancora una luce da mettere lì sopra.
Quando sono andata in ferramenta per comprare una lampadina nuova, ho portato la vecchia con me, perché avevo paura di sbagliare e tornare a casa con una lampadina troppo ingombrante per stare sotto il paralume, o con l’attacco troppo grande – cose che succedono quando vai a memoria e non hai l’oggetto sotto mano.
Il negoziante l’ha presa in mano, l’ha osservata con attenzione e mi ha detto che avrà avuto almeno quarant’anni: un oggetto da museo, insomma.
Per trovarne una di corrispondente ha usato la lente di ingrandimento per leggere le indicazioni della potenza sul bulbo: 15 watt. Non ne fanno più di così deboli, mi ha detto, il minimo oggi è equivalente a 25 watt. Sapendo quanto luce già faceva, ho pensato che da oggi la cameretta sarà illuminata a giorno.
La nuova lampadina è a led e non più a incandescenza. Assomiglia a quella vecchia, a differenza del bulbo, che ora è opaco e in plastica. Può essere a luce “calda” o “fredda”, e non c’è più la magia di vedere com’è fatta dentro.