di Maria Beatrice Di Castri
Pubblichiamo il testo dell’intervento che Maria Beatrice Di Castri, professoressa in un liceo di Firenze, ha tenuto davanti alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (chiusa) in apertura della manifestazione promossa il 25 giugno dal Comitato “Priorità alla Scuola”.
Sono una docente di un liceo fiorentino, impegnata in questo momento con gli esami di Stato, che sia pure in una cornice anomala e con una significativa decurtazione delle prove, ci hanno permesso di rivedere gli studenti di persona e quindi misurare una volta di più la distanza abissale tra l’essere davanti a un computer e la relazione viva, che nessuna tecnologia (neanche la connessione più veloce o la videocamera più efficiente) può sostituire.
Sono anche madre di due figli, la prima al primo anno di scuola superiore, il secondo reduce dal primo anno anno di scuola media inferiore. Dunque, vivo questo periodo con un duplice punto di vista e una duplice preoccupazione.
La scuola, è stato detto e ridetto, è stata la grande assente nella riflessione pubblica. Al di là delle dichiarazioni di intenti, a oggi il bilancio amaro dell’impegno più volte annunciato dal governo si riduce di fatto a una surrettizia riforma della scuola: autonomia spinta, soluzioni locali, che daranno la stura a difformità inaccettabili dell’offerta formativa senza un progetto didattico complessivo e con politiche al risparmio. L’emergenza Covid, anziché offrire l’occasione per ripensare in termini urgenti interventi che sarebbero comunque andati nella direzione di un miglioramento della formazione auspicabilmente in un quadro di normalità, diventa il pretesto per uno smantellamento dell'istruzione pubblica.
Per le superiori, la didattica mista pare modalità accettabile e acquisita. Per anni, i corsi di aggiornamento per docenti hanno insistito sulla demolizione della lezione frontale (che comunque invece conserva una sua ragione e un suo spazio, benché vada ben calibrata e modulata) a vantaggio della dimensione più partecipativa. All’improvviso siamo passati dal modello del “docente-facilitatore di processi di apprendimento” all’esaltazione del docente “youtuber”, che ha la stessa efficacia in aula o collegato dal computer di casa. «Non so se il riso o la pietà, anzi la rabbia, prevale», parafrasando il conte Giacomo Leopardi.
Vorrei proprio su questo spendere due parole su cosa pensano e su come hanno vissuto i ragazzi l’esperienza di questi mesi: loro che hanno sofferto più di altre fasce d’età il periodo del confinamento tra le pareti domestiche, così lontano dal loro stile di vita (e che, con la generosità tipica spesso dei giovani, checché se ne dica, lo hanno rispettato con disciplina e abnegazione).
Parlo dei miei studenti di scuola superiore. Sono persone relativamente grandi, ben abituate a destreggiarsi con i social, a svolgere molte funzioni online, a costruire ponti virtuali con i coetanei. Ebbene, a differenza di diversi dirigenti (quelli che per esempio si riconoscono nell’agghiacciante documento dell’ANP diffuso giusto un mese fa) e di qualche docente (che scambia DAD e uso del digitale e si è esaltato con le “magnifiche sorti e progressive” trincerato dietro una barriera di didattica pseudo-trasmissiva e orwelliana), questi miei studenti conoscono bene la differenza tra scuola e didattica a distanza, così come quella tra socialità e abbracci dal vivo e, invece, contatti attraverso uno schermo e le chat. Hanno una capacità di discernimento che evidentemente supera di gran lunga le irricevibili farneticazioni del documento espresso dalla task force di Vittorio Colao a proposito di scuola. E sanno la differenza tra apprendere in presenza, in una dimensione corporea e interattiva, e prendere appunti a uno schermo.
Se molti docenti hanno potuto, nei mesi difficili dell’emergenza, mantenere una cornice di senso, è stato anche grazie a loro. Vorrei ringraziarli pubblicamente anche delle riflessioni che hanno espresso: parafrasando il noto libro di Elsa Morante Il mondo salvato dai ragazzini, o anche il bellissimo saggio di Benedetta Tobagi La scuola salvata dai bambini, direi che davvero, ancora oggi, è la presenza fisica degli studenti, con la loro ricchezza, i loro problemi, il loro entusiasmo a “salvare” il lavoro che cerchiamo di svolgere.
Voglio dare perciò la parola a qualche riflessione che alcuni di loro mi hanno scritto in questi mesi. Cito direttamente: «Il diritto allo studio garantitoci dall’articolo 34 della nostra Costituzione diventa così un lontano miraggio in una società che ha fatto i bagagli e si è trasferita nel mondo digitale dove tutto è labile, rischiando di perdere più che vista la capacità di riflettere. […] La scuola non sono quattro mura di un edificio, non è la lezione o l’interrogazione e men che mai la valutazione. La scuola è fatta dalle persone, dai confronti e dagli incontri, alla base della scuola ci sono dei rapporti umani non digitali. E proprio per questo non possiamo gridare “al progresso” quando questo può distruggere le poche solide basi dell’istruzione. […] Questa didattica è stata equiparata a quella in presenza. Affermare una tale idiozia è un po’ come ammettere che per fare scuola basta impartire nozioni e fare lezioni prettamente frontali, e che quindi in fin dei conti possiamo tutti essere sostituiti da delle macchine. Stiamo davvero perdendo il senso della scuola e insieme a questo la sua importanza. Ma in realtà è proprio quello che ci stanno dimostrando l’istruzione non è essenziale al nostro paese, il profitto e la serie A sì. Come possiamo aspettarci però che un paese riparta senza la conoscenza, il dialogo, il confronto? Un popolo ignorante non sceglie mai con la propria testa ed è facilmente manipolabile e qui la storia ci insegna, o ci avrebbe insegnato. Il valore dell’istruzione nella nostra società sta diventando col tempo quasi inesistente e la situazione attuale ci ha solo fornito la prova del nove».
Credo che queste riflessioni meritino un attento ascolto: per il rilancio di una scuola pubblica, in presenza, di qualità, supportata da risorse adeguate, collegiale, condivisa, non una scuola discrezionale, autoritaria, parcellizzata. La scuola insomma della Costituzione.
Filippo Benfante dice
Segnalo l’intervento di Maria Beatrice Di Castri pubblicato dalla rivista online “Napoli Monitor”, a proposito della riapertura delle scuole superiori in Toscana (in particolare a Firenze) dopo la nuova sospensione durata due mesi:
https://napolimonitor.it/si-puo-fare-si-deve-fare-cronaca-del-rientro-a-scuola-a-firenze/