L’associazione storiAmestre, dopo la pausa legata al Covid, il 28 ottobre 2023 ha voluto riprendere la bella abitudine della Festa annuale a Forte Mezzacapo. Vista la partecipazione e l’interesse dimostrato, abbiamo pensato di documentare gli interventi principali del confronto sulla “Città che cambia a partire dai suoi abitanti” a cui erano presenti il Gruppo di Via Piave, Viva Piraghetto, Movimento di Cooperazione Educativa, Gruppo Libe-ralo, I Sette Nani, Collettivo Pandora, I Celestini, il Coro degli Imperfetti, Riprendiamoci la città, Ambiente Cipressina.
La festa infatti è stata aperta ai soci, agli affezionati, agli amici, ma anche alle associazioni e ai gruppi del territorio con i quali ci si è trovati a collaborare, per condividere pensieri, cibi, idee, esperienze e progetti. Per facilitare un clima di scambio tra differenti approcci, generazioni, modi di essere e stare sui temi e i problemi del territorio, si è scelto di attraversare diversi linguaggi: dal docufilm di Elvio Bissoli sul nucleare, alle Canzoni contro la guerra del Coro degli Imperfetti, al confronto che documentiamo in questo articolo.
A cura del direttivo di storiAmestre.
L’associazione storiAmestre già dalla sua nascita – nel 1988 col Convegno “La Città Invisibile” – è interessata ad indagare le trasformazioni della città, come esempio dei cambiamenti che attraversano territori analoghi per struttura produttiva, ambientazione urbana e composizione sociale e ad approfondire la conoscenza delle trasformazioni in essere attraverso lo sguardo di realtà differenti.
Dietro a questi sguardi si celano competenze diverse che possono aiutare a costruire una conoscenza condivisa dei cambiamenti e a scoprire le microstorie delle persone che abitano, lavorano, amano e soffrono in un territorio e che ne fanno la storia.
Senza conoscenza condivisa non è possibile comprendere ciò che accade in una realtà complessa come quella odierna. E tantomeno è possibile, per chi è interessato, far emergere problemi e risorse presenti sul territorio utili a progettare azioni e interventi nell’interesse dei cittadini.
La sessione di confronto “La città che cambia a partire dai suoi abitanti” è stata voluta proprio per provare a capire i cambiamenti che attraversano oggi la realtà in cui si vive. Per documentarla abbiamo selezionato e trascritto le parti più significative di ogni intervento, inserendo alla fine la registrazione integrale del dibattito e alcuni pensieri del direttivo di storiAmestre sul diritto alla città emersi ascoltando gli interventi.
Sono Laura Fontolan del laboratorio climatico di Pandora, siamo un gruppo di giovani, studenti, lavoratori che due anni fa hanno deciso di riprendersi uno spazio in città. L’abbiamo fatto occupando l’ex Cup di Mestre, un luogo simbolo dell’abbandono e degrado che Mestre subisce ogni giorno.
Abbiamo sentito questa necessità anche in un periodo un po’ delicato, la post pandemia in cui la socialità è stata sottratta… L’abbiamo fatto per tanti motivi diversi, quello della socialità è sicuramente uno dei principali. Se penso ai miei coetanei e a come si ritrovano tra di loro, lo fanno principalmente andando nei bar, nei centri commerciali, in posti in cui bisogna spendere… perché Mestre non offre spazi che siano punti di riferimento per giovani, luoghi di ritrovo e di aggregazione. A Mestre non ci sono più neanche panchine dove ci si possa sedere e stare tutti insieme.
Volevamo un punto di ritrovo, un punto di aggregazione al di fuori di queste dinamiche di profitto. Ma oltre a ciò vogliamo anche offrire un luogo di cultura, arte, musica. Facciamo proiezione di film, presentazione di libri, discutiamo su quella che è la nostra città, come la vorremmo noi e come fare per cambiarla. Pandora nasce dalla voglia di avere un nostro spazio, uno spazio di giovani per giovani, ma anche come dimostrazione del fatto che di tutti quei luoghi che sono stati abbandonati, che si è scelto di lasciare nell’abbandono, si possono fare delle cose sensate, delle cose anche molto positive, basterebbe solo investirci…e ascoltare chi in città ha qualcosa da dire e da proporre.
Ogni giorno attraversando Mestre… troviamo tanti edifici in uno stato di degrado e abbandono e purtroppo l’abbandono non riguarda solo gli edifici, riguarda anche le persone. Noi crediamo in una città diversa, crediamo in una città in cui l’abbandono venga combattuto realmente riqualificando gli spazi, una città in cui la voce dei cittadini venga messa al centro, in cui prevalgano i luoghi di confronto, di discussione, di aggregazione, i punti di ritrovo anche per giovani ed è esattamente questo che cerchiamo di fare ogni giorno.
Stefano Giacomazzi
presidente dell’associazione Viva Piraghetto
Viva Piraghetto è nata nel 2015 dall’esigenza di riappropriarci di uno spazio un po’ in abbandono. Abbiamo voluto metterci in gioco in prima persona e abbiamo provato a sistemare il parco, renderlo vivo, fare delle feste, manifestazioni, eventi. Dicono che siamo riusciti a recuperare un po’ la zona.
Ho 50 anni e vivo a Mestre da quando sono nato e la città è cambiata come popolazione. Siamo il 3% in meno, sono diminuiti i giovani ed è più che raddoppiata negli ultimi 15 anni la popolazione straniera. Ma quelli che ci sono e hanno voglia di fare hanno la forza e il coraggio di portare avanti la città, di fare qualcosa di costruttivo e collaborativo.
L’integrazione è ancora difficile tra tutte le etnie che ci sono in città, per diversità culturale, per difficoltà di lingua, per usi e consuetudini diverse, però andare in contatto con i giovani, con altre culture, è solo un accrescimento, con un po’ di impegno possiamo pensare di dialogare e costruire insieme una città dove viviamo tutti. Dobbiamo aprire la nostra mente e metterci in ascolto…
Abbiamo fatto un’analisi e un osservatorio sul parco. Ci sono orari di utilizzo diversi… E’ inutile che vado a chiudere il parco quando la gente arriva perché ha abitudine di muoversi dopo le sette di sera…Non ho mai fatto mistero: i parchi per me vanno aperti, non vanno chiusi da ringhiere o inferiate… Se togliamo tutte le barriere, sicuramente l’integrazione diventa più facile e anche la sicurezza, perché se c’è integrazione c’è collaborazione.
Hasna Hena Mamataz
gruppo Liber-alo
Mi chiamo Hasna Hena Mamataz, vivo in Venezia da 19 anni e faccio parte del gruppo Liber-alo, oltre a me qui ci sono Sazia, Amina, Nafisa, Schanu. Noi non vuol dire solo noi donne bangladesci, ma chi ci aiuta, soprattuto gruppo di lavoro di via Piave, Mestre.
Tanti anni fa sono immigrata qua e dalla mancanza che io ho avuto viene questa esigenza di incontrare, dare, realizzare un gruppo …
Immigrare non è facile per nessuno. Noi bangladesci veniamo da un mondo distante, non solo in km, ma culturalmente, religiosamente, cibo, lingua. Tutto. Non è facile immaginare.
A volte partiamo da pregiudizi: le donne [bangladesci] non vengono a fare il corso [di italiano]…Ma se andiamo a chiedere alle donne: perché non venite a fare corso? Diranno: ho paura. Paura di cosa? Non è paura di incontrare le persone. Si vive con la paura… Non c’è nessun pericolo, ma, nonostate non ci sia nessun pericolo, si ha paura.Vivere nella città con la paura non fa bene per nessuno.
Io provo tramite questo gruppo a ascoltare la paura che hanno queste donne, non solo di vivere in questa città che non è mia, ma dove la mia famiglia ha fatto il progetto di trasferire in Italia un altro paese. Si, devo vivere, fare la spesa, fare e badare ai figli. Ma che vuol dire vivere?
Se chiedo a una donna bangladesci: come stai? Lei dirà: bene. Cosa vuol dire bene? Tante di queste donne non sanno cosa vuol dire stare bene, non sanno nemmeno che stanno vivendo male, perché nessuno ha insegnato a esprimere: sto bene, sto male. ..
Io tramite questo gruppo provo a incontrare, trovare un punto da dove partiamo insieme.
Al gruppo ho dato nome Liber-alo. Libera, sappiamo cosa vuol dire essere libera, ma tantissime donne non sanno nemmeno che sono nate con la libertà. Noi siamo vincolate da qualcosa, qualche relazione: genitori, fratello, marito, figlio. In qualche modo le donne devono aver qualcuno, una identità propria non esiste.
Nonostante tanti studi che stanno facendo, non sentono questa libertà perché non è possibile. Per cultura, per religione, per tanti motivi le donne vogliono stare dentro questo non essere libera. Quindi è difficile il lavoro che sto facendo: ogni donna deve sentirsi libera.
Secondo: penso che dentro ogni donna c’è una risorsa, una luce. Liber-alo. Alo vuol dire luce. Sto aiutando le donne: cercate vostra luce…
Non è facile: se qua vedete donne bangladesci, ognuna ha lottato per uscire da casa.
Ma nessuno di noi augura un futuro dove viviamo separatamente. Bangladesci, italiani, altri esseri umani, viviamo nella stessa città dove scambiare cultura… Non è solo problema di lingua, è andare vicino, è fare cose insieme.
Nicola Ianuale
gruppo di lavoro di via Piave
e Riprendiamoci la città
Il Gruppo di lavoro di via Piave di cui faccio parte nasce 15 anni fa circa, nel momento in cui la città iniziava a registrare quei cambiamenti che sono stati ben riassunti in una fotografia dal Rapporto Migrantes del 2023: quarant’anni fa c’era circa l’1% di migranti, adesso siamo arrivati al 17% .
Il Gruppo ha detto: apriamoci, chi viene ad abitare in un territorio crea città, crea cittadinanza, vediamo cosa si può fare assieme. Ma è anche stato spinto a nascere da un servizio del Comune, l’ETAM, che ha coniugato l’energia positiva della cittadinanza col sostegno dell’istituzione, nell’avere autorizzazione per organizzare una cena, per occupare uno spazio pubblico. E questo già dimostra quanto la città è cambiata: nell’ultimo periodo un’autorizzazione per una cena di quartiere viene data il giorno stesso, mentre un evento del genere necessita di un grossissimo impegno di energia, e vivi nell’incertezza… Queste iniziative non sono più ritenute una cosa utile per la cittadinanza.
L’attività principale del Gruppo di lavoro di via Piave è stata creare momenti di opportunità attraverso gli strumenti della cultura: ha organizzato la presentazione di 70 libri in un territorio che viene descritto, nella stragrande maggioranza, per altri motivi. Abbiamo organizzato 12 cene di quartiere…un momento in cui ci si siede tutti a tavola, si mangiano anche cibi diversi, anche di altri continenti. La stampa per fortuna ci segue.
Questo è stato il percorso, non racconto tutte le attività fatte.
All’inizio c’era in zona solo il gruppo di lavoro di via Piave, adesso attorno a noi ci sono Viva Piraghetto, La portineria di quartiere, PassaCinese, tante altre iniziative. Abbiamo usato la formula di occupare degli spazi attraverso il comodato d’uso: persone illuminate ci hanno dato questi luoghi per promuovere attività, perché tenere un negozio chiuso, senza luce, è una fotografia di una realtà che merita di essere presentata in altri modi. Per tre volte abbiamo ottenuto uno spazio in cui abbiamo svolto le nostre attività e permesso a moltissime associazioni e iniziative di potersi svolgere, perché mancano gli spazi pubblici che sarebbero indispensabili per organizzare attività e gruppi.
In questa sala ci sono tanti soggetti che hanno partecipato all’iniziativa “Riprendiamoci la città” che abbiamo svolto e stiamo svolgendo nel territorio con una formula interessante: la rete. La rete di quello che si è verificato e si sta verificando nel territorio, allargato al numero più ampio possibile, dove ognuno nel proprio territorio, dal Lido a Marghera, a Zelarino, a via Piave o ai giardini di Viva Piraghetto svolge attività di rigenerazione umana e territoriale. Prendere uno spazio e restaurarlo, come ha fatto Pandora, come abbiamo fatto noi per i nostri negozi, vuol dire rendere fisico e accogliente un luogo. Spero che quest’esperienza si moltiplichi in tutti i territori.
Alberto Cuomo
associazione I Celestini
I Celestini è un’associazione che nasce nel 2011, se non sbaglio, io non ero ancora a Mestre. Il nome fa riferimento a La compagnia dei Celestini, il libro di Stefano Benni dove si parla di uno sport, la pallastrada, nel quale ragazzini e ragazzine di quartiere, di strada, trovano la loro salvezza.
I Celestini negli anni hanno gestito lo spazio pubblico del centro sportivo Montessori a Chirignago, dove ad oggi c’è un centro sportivo con una serie di strutture, e fanno parte di una rete associativa con la bocciofila, i cicloliberi, altre realtà associative.
L’auspicio è riuscire a fare rete a tutti i livelli, anche con le istituzioni e, perché no, anche col settore privato in modo da avere un impatto più grande.
C’è stato pochi giorni fa un evento a Venezia in cui si progettava la nuova generazione di PON, Piani Operativi Nazionali in cui la coprogettazione è uno degli elementi cardine.
Noi abbiamo avuto un piccolo assaggio insieme al Comune di Venezia nell’ambito di un’azione che si chiama crowdfunding C. Il meccanismo è il seguente: l’associazione raccoglie un tot di fondi e il Comune, raggiunto l’obiettivo economico, ne mette un’altra parte, un 50%.
In questo modo siamo riusciti a creare infrastrutture che diversamente avremmo avuto difficoltà a mettere in piedi. Adesso abbiamo un orto didattico che stiamo condividendo con la scuola Colombo che sta accanto allo spazio Montessori. Abbiamo chiuso l’area di un tendone dove si potranno fare anche attività invernali e altre attività orientate allo scambio, uno spazio comunitario, intergenerazionale dove le persone possono sentirsi sicure, a proprio agio.
Sembra banale, ma in alcuni contesti il fatto di esserci, è già tantissimo, permette agli spazi di trasformarsi in luoghi in cui le persone sanno di poter trovare altre persone e poter insieme riuscire a crescere, lavorare, conoscersi. Già conoscersi accorcia le distanze tra le persone e questo fa la differenza in una comunità.
Ci piace ragionare nell’ottica di rete di questo incontro. Credo sia molto importante portare nel III settore no-profit un po’ di capacità di attrazione delle persone e riuscire a intercettare le competenze che ci sono nel territorio: il volontariato è un laboratorio che sviluppa competenze. Le persone attraverso il volontariato fanno bene alle persone, fanno bene a sé stesse e crescono. Abbiamo l’opportunità, attraverso il volontariato e l’attivismo, di fare quel passaggio da cittadini e cittadine a cittadini attivi. Sembra un gioco di parole ma non è banale.
Loris Trevisiol
che interviene dal pubblico.
Alla sua sinistra Fabio Brusò
coordinatore dell’incontro
Sono dell’associazione I sette nani della Cipressina, un’associazione culturale dal basso, con l’idea di parlare e portare riflessioni in modo molto semplice. Lo facciamo in un luogo che è periferia assoluta… uno spazio pubblico, l’auditorium Lipiello, che è stato uno spazio comune fino a 5 anni fa, poi c’è stata la rivoluzione dell’assegnazione degli spazi e il Lipiello non è stato più agibile. Tante iniziative per la riapertura hanno visto presenti le vostre associazioni al di fuori dell’auditorium Lipiello.
Interviene a questo punto Francesco Tagliapietra, presidente della municipalità di Zelarino-Chirignago per informare che l’agibilità è stata finalmente concessa.
Questa notizia mi fa piacere, ma se il Lipiello ha bisogno di 5 anni per trovare l’agibilità, immaginiamoci il resto degli spazi. Il Lipiello è sempre stato una perla per il nostro quartiere, incastonato nel nostro quartiere, poco visibile, ma assolutamente necessario per la scuola, per la parrocchia, per le associazioni che l’hanno abitato per anni in un’ottica non di coprogettazione, ma di sussidiarietà che arriva attraverso il conoscersi tra abitanti.
(Aprire l’audio per sentire l’intera registrazione del dibattito)
Pensieri sul diritto alla città emersi ascoltando gli intervenuti
a cura del direttivo di storiAmestre
Ascoltando gli intervenuti si capisce come ognuno di loro sia un testimone della trasformazione che sta avvenendo nella città di Mestre, ma anche in molte altre città. Come ben spiega Laura Fontolan, i governi locali di molte città post-industriali sono guidati dalle logiche del mercato capitalistico e dei grandi attori privati e pongono in secondo piano la fornitura di servizi pubblici. In tal modo si trascura la creazione delle condizioni necessarie per il benessere dei cittadini e la sostenibilità dello sviluppo.
Eppure ognuna delle associazioni che gli intervenuti rappresentano non si assoggetta, nel suo agire associativo, al sistema di potere, e accetta a modo suo la sfida del tempo e della realtà in cui oggi si vive. In modi tra loro diversi queste realtà associative, come altre presenti sul territorio, creano dei microspazi e/o degli eventi in cui esercitare la propria arte pratica e sviluppare pensieri che sono, o potrebbero essere, utili al vivere cittadino. Può trattarsi di un parco, un ex dispensario abbandonato, un auditorium, un campo per lo sport, un negozio rimasto chiuso da tanto e ridato a nuova vita, un luogo dove riunirsi come donne migranti per cercare la propria luce, ma anche un’iniziativa culturale, un evento in cui scambiare i pensieri nell’intento di co-costruire una maggior conoscenza dei fenomeni propri dell’oggi nei nostri territori.
Le domande che questi Soggetti associativi pongono sono precise e significative:
Chi decide sulla progettazione dello spazio pubblico e sull’uso che se ne può fare ?
Chi decide su come donne e uomini devono vivere e abitare?
E’ il diritto alla città1 come spazio sociale e terreno di contesa che muove le loro attività, la loro inventiva. E’ L’intenzione trasversale di ricostruire un essere in-comune della città come «opera» di coloro che la abitano.
L’obiettivo che ne consegue è rigenerare lo spazio sociale attraverso la partecipazione attiva degli abitanti affinché tutti possano riappropriarsi, in modo collettivo e consapevole, dello spazio e del tempo in base alle proprie esigenze e bisogni.
Non a caso la rete che collega queste e molte altre associazioni, come spiega Nicola Ianuale, si è voluta chiamare: Riprendiamoci la città.
Queste associazioni si muovono in zone critiche della città e progettano iniziative che diventano generali perchè cooperano all’interno del sistema città cercando di modificarlo, facendo rete e magari trovando collaborazioni pubbliche e private inaspettate. Con la loro creatività e il loro impegno provano a trasformare la crisi in una risorsa.
Si crea così un movimento che rende visibile l’invisibile, favorisce una nuova narrazione di luoghi considerati periferici, derelitti, addirittura pericolosi, dà parola a cittadine e cittadini che spesso non trovano spazi dove esprimersi e partecipare, organizza azioni tattiche della cittadinanza2, volte a rinnovare il tessuto sociale, che storiAmestre è fortemente interessata a seguire.
NOTE
1Per il concetto di “diritto alla città” ci si riferisce a Henry Lefevre e alla sua opera Il diritto alla città (Ombre corte 2014) inteso come lotta per l’accesso alle risorse della città e la possibilità di sperimentare una vita urbana alternativa alle logiche e ai processi di industrializzazione e di accumulazione del capitale, quindi come diritto alla libertà, all’individualizzazione nella socializzazione, all’habitat e all’abitare, all’attività partecipante e alla fruizione.
2Il termine “azioni tattiche” è tratto dalle analisi pionieristiche di Michel de Certeau, risalenti ai primi anni Ottanta e pubblicate in L’invenzione del quotidiano (Edizioni Lavoro, 2001 ,ed. or. 1990) ,divenute la base metodologica di successive importanti ricerche condotte da storici, filosofi e sociologi. Lo studioso in questa ricerca distingue le azioni strategiche delle istituzioni, che progettano lo spazio guardando il tessuto urbano dall’alto, influenzate dai grandi attori privati e dalle loro logiche di mercato e le azioni tattiche della cittadinanza che circola a livello stradale e con le azioni del quotidiano prova a usufruire e fare proprio quello spazio precedentemente progettato dalle istituzioni e a rinnovare costantemente il tessuto sociale sino a scardinare le strategie stesse messe in atto dai ceti dominanti e volte al mantenimento del loro status quo.
NOTA della redazione di storiAmestre
Domenico Canciani ha scattato le fotografie di Stefano Giacomazzi, Hasna Hena Mamataz, Nicola Ianuale, Alberto Cuomo, Loris Trevisiol.
Daniele Zuccato ha prodotto il video di una parte dell’intervento di Laura Fontolan.