Maria Marchegiani e Anna Maria Mazzucco, del gruppo Voci fuori luogo di storiAmestre, ci raccontano la visita alla mostra “Seguint el peix / Following the fish/ Seguendo il pesce” ospitata nel Padiglione della Catalogna della 18° Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia. La mostra presenta l’esperienza di un gruppo di immigrati senegalesi a Barcellona che ha fondato la cooperativa Top Manta e ci fa capire come nell’affrontare i problemi della convivenza tra culture diverse sia importante l’ascolto, la condivisione, la capacità di pensare insieme nuovi progetti che possono partire da iniziative di un piccolo gruppo ma hanno bisogno del sostegno di altri gruppi e delle istituzioni per restare in vita e crescere.
Maria Marchegiani e Anna Mazzucco
L’obiettivo principale del Gruppo Voci fuori luogo è stato, fin dalla sua costituzione, favorire incontri ed esperienze comuni tra cittadini italiani residenti a Mestre- Venezia e cittadini provenienti da altre parti del mondo che vivono e si muovono negli stessi spazi, nella stessa città. Incontri ed esperienze in grado di aprire dei varchi di conoscenza reciproca per dare alla comunità cittadina tutta, così variegata e composita, un nuovo respiro che permetta di guardare agli altri con fiducia, di vivere insieme nel confronto tra molteplici modi di pensare e relazionarsi. In questa ottica sono state già promosse varie occasioni di incontro con comunità di cittadini stranieri.
L’ultima, in ordine di tempo, è stata la visita realizzata il 20 maggio 2023 alla mostra ospitata nel Padiglione della Catalogna come Evento Collaterale della 18° Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia. Si tratta di un progetto particolarmente interessante curato dalla Casa di Produzione Leve in collaborazione con la Cooperativa di migranti senegalesi Top Manta e prodotto dall’Istituto Ramon Llull.
La mostra, dal titolo “Seguint el peix / Following the fish/ Seguendo il pesce”, presenta l’esperienza di un gruppo di immigrati senegalesi a Barcellona che, dopo un lungo periodo di vita difficile senza documenti, vendendo merce stesa su lenzuola lungo le strade della città, si sono costituiti in cooperativa trovando nell’unione in gruppo forza, energia e visibilità – pur incontrando ancora problemi sul piano del riconoscimento legale – e riuscendo a dar vita a un proprio marchio per la produzione di T-shirt, scarpe e altro. Il nome della cooperativa è Top Manta. Manta in catalano significa coperta/telo, a ricordare i teli stesi a terra per l’esposizione della merce, mentre l’aggettivo Top sottolinea, a noi pare, la volontà di emergere per rendersi visibili.
All’inaugurazione della mostra era stata invitata la Casa di Amadou di Marghera che aveva curato i rapporti con gli organizzatori. Grazie a Gianfranco Bonesso, l’invito è stato esteso a molte associazioni del territorio aperte alle problematiche della convivenza con comunità straniere, tra cui ricordiamo Emergency, Mediterranea, Articolo 19, Associazione Trevisanato, Agesci, Mce, Auser, Tavolo Comunità Accoglienti…. e Voci fuori luogo.
La visita fin da subito si è rivelata una importante occasione per conoscere soluzioni alternative e creative ai problemi di vita e lavoro che gli immigrati si trovano ad affrontare nei paesi in cui giungono e per confrontarsi con gli stessi protagonisti dell’esperienza catalana, la cui presenza nel padiglione ha reso più vivo e fecondo l’incontro, grazie alla possibilità di parlarsi, dialogare, scambiarsi racconti.
Entrati nel Padiglione guidati dai curatori della Casa Produttrice Leve, ci siamo trovati di fronte a una serie di teli bianchi, mantas, sospesi come bilance da pesca, sulla cui superficie sono dipinte immagini e parole che ricostruiscono la storia dei giovani manteros dalla loro partenza dal Senegal al loro arrivo in Spagna, con le tante difficoltà incontrate e le tante prove di superamento delle stesse.
Le bilance esposte che si vedono nella foto, si possono chiudere e sollevare a imitazione delle mantas che i giovani venditori, costretti dalle stesse leggi dei paesi europei ad essere venditori illegali, in gran fretta raccoglievano dalla strada, all’arrivo della polizia, in un grande fagotto unendo gli angoli e proteggendo così la merce in vendita dalla confisca.
Le mantas, così sospese nell’ampio spazio del Padiglione, sembrano davvero bilance da pesca, ma l’immaginazione può trasformarle in vele gonfiate dal vento. In questo modo si richiama il titolo della mostra “Seguendo il pesce”, quel pesce che le compagnie occidentali depredano nel golfo di Guinea, al largo delle coste del Senegal e della Guinea, privando le popolazioni locali di una loro importante fonte di sostentamento e spingendole all’emigrazione in quegli stessi paesi occidentali che non le accolgono ….. ma le sfruttano.
Partono soprattutto giovani maschi, con un grande vigore fisico e grande determinazione, forza d’animo e fiducia nel futuro che mirano tenacemente a costruirsi. Ma tra loro ci sono anche giovani donne, come ci ricorda un pannello sospeso sopra una manta che riporta una riflessione che ci ha colpite: “Le donne non sono esseri deboli, non sono esseri inferiori. Credo che una donna che decide di partire, che riesce a fare tutto il viaggio e ad arrivare qui, non sia una donna debole; è una donna forte e coraggiosa che vuole farlo. Quelle che sono arrivate qui hanno dei meriti e ce li hanno anche quelle che sono rimaste nel mare”.
Un altro pannello ci ricorda che il fenomeno dell’emigrazione tocca non solo chi parte ma anche chi continua a vivere nel paese, aspettando notizie, pregando per il buon esito del viaggio, sperando che i sogni si realizzino, riferendosi in particolare alle donne, madri, mogli, sorelle rimaste a casa: “ Ci sono anche le donne che restano nel Senegal e che aspettano notizie da quelli che sono partiti. È un aspetto poco considerato. Donne che aspettano per molti anni. Donne coraggiose, che fanno grandi sforzi per poter mantenere i figli. Una situazione di lunga attesa che si potrebbe compensare se i mariti o figli venuti in Europa potessero lavorare subito. A questo fatto si aggiunge la difficoltà di fare il ricongiungimento familiare. La Fortezza Europea non solo punisce chi sta qui, ma anche chi resta a casa”.
Come i pesci pescati e sottratti ai paesi africani, per trasformarli in mangime per l’acquacoltura europea, i giovani senegalesi seguono le rotte della diaspora che li spingono a cercare nuove possibilità di vita, in paesi e città diversi dal loro mondo di provenienza. Una manta, bellissima, mostra dipinto sulla sua superficie bianca un villaggio, dove le case nere sono tra alberi neri con ampie radici e zone erbose verdi, dove gli animali anch’essi neri pascolano pacifici guidati dai pastori, dove gruppi di lepri rosse corrono veloci… e dove in primo piano un grande banco di pesci azzurri scivola lento.
Un’altra manta con linee rosse e tratti blu evidenza i viaggi delle migrazioni, alcuni giunti a buon fine, altri purtroppo interrotti spesso tragicamente. Il mare diventa la tomba di giovani vite partite con tanti sogni, dei quali non rimane nemmeno il nome: “Non esiste nessun registro o canale pubblico che permetta ai familiari delle persone scomparse sulla “ruta canaria” (nota) di chiedere informazioni o denunciare i fatti. Non si dà importanza alla loro identificazione, dato che molte volte vengono seppellite in fosse comuni o loculi senza nome”. 1
Le vie delle migrazioni
Altre mantas mostrano disegni di borse, scarpe, cappelli che i manteros producono e vendono. Con la loro creatività i giovani senegalesi della cooperativa Top Manta hanno dato vita a modelli originali di capi d’abbigliamento che non possono essere accusati di essere copie illegali di marchi famosi, accusa che sta sempre alla base delle confische della merce da parte della polizia. Nella foto riportata sotto potete vedere una t-shirt di cui ci ha colpito la scritta: “LEGAL CHOTHING ILLEGAL PEOPLE”. Nella stessa foto si vedono in alto appese a dei fili parecchie t-shirt colorate col marchio Top Manta con scritte differenti.
Magliette Top Manta, perfettamente legali
Il nostro sguardo è immediatamente attirato poi da una manta in cui campeggia una grande scritta: “I DIDN’T DREAM OF BEING A MANTERO” accompagnata da altre tra cui “HOY NO HEMOS SALIDO A VENDER, HEMOS SALIDO A PEDIR LIBERTAD oppure AQUI’ SE TORTURA COMO EN LA DICTADURA!”.
Non sognavo di essere un mantero
Infine, vogliamo ricordare una manta che ci ha colpito anche per i suoi vivaci colori: rappresenta le risorse dei paesi africani, tra cui il petrolio, l’oro, i diamanti, il cotone e tanti, tanti pesci colorati, di forme diverse che sembrano nuotare in mezzo a tanta abbondanza. Tutto oggetto di sfruttamento da parte dei paesi ricchi.
Le ricchezze dei paesi africani, depredate dai paesi ricchi
A Barcellona l’ostinazione e la determinazione dei giovani manteros a dare valore alla loro vita, ha trovato accoglienza nell’Associazione Ramon Llull che ha sostenuto e prodotto il progetto Top Manta, curato dalla casa Produttrice Leve, progetto che si è allargato anche alla collaborazione con altre Istituzioni, tra cui il Comune di Barcellona e l’Università di Architettura della città, che ha curato la seconda parte della mostra. Questa parte presenta progetti urbanistici e architettonici progettati ascoltando e seguendo i modelli culturali senegalesi che si fondano sull’uso di spazi collettivi, in cui l’accoglienza, lo scambio sociale, il confronto, il mangiare insieme, la polifunzionalità degli spazi di vita si contrappongono all’individualismo e alla frammentazione degli spazi di vita occidentale. “In Senegal siamo tanti, siamo uniti. Abbiamo l’abitudine di stare insieme e a casa di tutti. Non sai mai dove mangerai ma ovunque ti trovi mangerai. La sfida è come portare questi valori a Barcellona, per vedere come possiamo trasformare le nostre mura in qualcos’altro. Qui è tutto frammentato, non conosci la persona che abita dall’altra parte del muro. La frammentazione europea rende difficile trovare spazi comuni, ma se sei pronto a condividere vivi meglio.”
Dall’ Università di Architettura sono state individuate tre sfide.
La prima riguarda la ridefinizione delle mense sociali seguendo l’abitudine che avevano questi giovani di incontrarsi e mangiare insieme. "Da molto tempo, la comunità dei venditori ambulanti pensava di trasferire questa pratica in un locale aperto, di quartiere e replicabile. Un luogo accessibile a tutti, che accolga e favorisca gli scambi, che produca una cucina variegata fatta di prodotti locali".
La seconda, chiamata teranga, prevede delle residenze collettive temporanee per offrire cure e sostegno a chi è appena arrivato in città perché non si perda. "Un luogo di qualità dove trascorrere il tempo necessario per ricomporre una vita. Una casa sempre aperta".
La terza sfida, chiamata sutura, prevede la conversione di locali a piano strada come catalizzatori di usi sociali trasformativi.
"La sfida ha preso forma osservando il retrobottega del negozio “manter” nel quartiere del Raval. Uno spazio che risolve il problema del magazzino, ma che è diventato una piccola struttura sociale. E’ il luogo dove ci si incontra, si organizzano le lotte, si preparano i manifesti, dove ci si riposa, si prega, si fanno i compiti, si caricano i cellulari, si mangia. Attività che garantiscono la loro presenza al piano strada, aperte a tutti, dove si può stare insieme. Questo modello, raro, sottovalutato, quasi inesistente nei generici esercizi commerciali, fa parte di un’idea di comunità che migliora la qualità della nostra convivenza. Una strategia che dota il quartiere di un sistema locale di spazi commerciali rimasti vuoti finora. Soluzioni di piccole dimensioni, strutture diffuse e ibride".
Al termine della visita, vi è stato un lungo parlare insieme tra i giovani senegalesi e i rappresentanti delle diverse associazioni presenti. I manteros hanno raccontato la loro esperienza, le difficoltà, i problemi aperti, i progetti che hanno in animo, rispondendo alle numerose domande che si incrociavano nel confronto. Sentire la loro voce, i loro racconti, i loro nomi, vederli fieri del loro lavoro e della loro cultura, orgogliosi dei risultati finora ottenuti, sia pure parziali, convinti nel proseguire in questo percorso, ci ha fatto capire che qualcosa può succedere e cambiare nelle relazioni all’interno delle città. Un qualcosa in cui tutti ci guadagnano: i manteros che possono sentirsi più sicuri sul piano economico e del riconoscimento della loro presenza e la città di Barcellona che collaborando può rivitalizzare una parte della città e favorire una migliore convivenza tra tutti i cittadini.
Ma ci ha colpito anche constatare, con un certo sconforto, che le traversie e le fatiche dei migranti si somigliano tutte alle varie latitudini e longitudini, dove i paesi ricchi e nello stesso tempo bisognosi di forze giovani per il loro stesso sviluppo hanno ancora un lungo cammino da affrontare per aprirsi all’accoglienza, alla dignità del lavoro, al riconoscimento dei diritti fondamentali. Ci è parso anche evidente che il cammino per trovare le soluzioni è di certo lento e tortuoso, richiede sofferenza, tenacia e forza d’animo, ma è possibile percorrerlo se vi è l’apertura di istituzioni, associazioni, gruppi di cittadini che vedono, non chiudono gli occhi, si mettono in gioco e offrono un appoggio che, come nel caso di Top Manta, può essere determinante per dare visibilità al problema della convivenza civile e dignitosa tra comunità di provenienza diversa nella medesima città.
L’Associazione Ramon Llull, la Casa Produttrice Leve, il Comune di Barcellona, l’Università di Architettura hanno amplificato la voce dei giovani senegalesi che già con il loro impegno, costituendosi in cooperativa, avevano fatto un passo importante verso il riconoscimento della loro presenza e del loro lavoro nella città di Barcellona. Avevano conquistato il diritto al riconoscimento del loro nome, messo per iscritto sull’atto di costituzione della cooperativa, e quindi della loro identità, fino ad allora ignorata ed invisibile. Avevano dato dignità al loro lavoro e offrivano anche la possibilità ad altri migranti di trovare aiuto, accoglienza, lavoro.
NOTE
1. Per identificare i migranti morti in mare è stato costituito in Italia il Labanof (Laboratorio di antropologia e odontologia forense) dell’Università di Milano, braccio tecnico dell’ufficio del commissario straordinario per le persone scomparse del ministero dell’Interno, che ha iniziato lavorando sui corpi dei morti nei naufragi di Lampedusa del 3 ottobre 2013 e del 18 aprile 2015. Per raccontare la sua esperienza Cristina Cattaneo, a capo del laboratorio, ha scritto il libro Naufraghi senza volto. Dare un nome alle vittime del Mediterraneo, Raffaello Cortina Editore, 2018.
NOTA DELLA REDAZIONE
La foto: Il padiglione della mostra Top Manta è di Flavio Coddou.
Le altre foto sono di Maria Marchegiani e Anna Maria Mazzucco.
Le parti del testo in corsivo tra " sono citazioni dai pannelli espositivi della mostra.