di Claudio Pasqual
Quinto appuntamento con le cose viste in città, mentre si stava passando dalla fase 1 alla fase 2 (o, a seconda dei luoghi e dei punti di vista, mentre in Veneto si passava alla 1.1 in attesa della “vera” 2, o forse 2.1) delle misure di contenimento dell’epidemia.
Oggi è lunedì 27 aprile, la fase due si avvicina. Noto più auto del solito nel parcheggio dell’ex Umberto I, e più gente in giro per strada.
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Dialoghi tra cielo e terra. Dopo tanti arcobaleni di carta appesi su portoni, balconi e terrazzi, per dirci che “andrà tutto bene”, un arcobaleno vero, spuntato dopo un breve acquazzone il pomeriggio del 29 aprile. Mai visto così bello, nitido, luminoso, e durare così a lungo. Sceso in strada, l’ho fotografato e ho visto anche altri farlo. Più tardi in whatsapp qualcuno mi ha inoltrato una serie di bellissimi scatti del cielo sopra Venezia. Da un ragazzo, mi è capitato di sentire per via, detto a un amico, un discorso del tipo: “ti sembrerà strano, ma non riesco a staccare gli occhi da una simile meraviglia!”.
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L’associazione Arte Cultura Veneta cerca volontari per la sorveglianza dei parchi Querini e Torre Belfredo, che saranno presto riaperti dopo la chiusa per coronavirus. Lo fa anche con un cartello scritto a mano e affisso sulla vetrina del giornalaio di via Torre Belfredo.
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È sabato 2 maggio, tardo pomeriggio. Mancano due giorni alla fase due. In confronto al deserto dei fine settimana precedenti, c’è parecchia gente in giro. Alcuni bar sono aperti e servono spritz e prosecchi ai clienti fuori dalla porta, impedita da un tavolino. Nelle ordinanze di Zaia, si parla di cibo da asporto su prenotazione, ma qui gli avventori rimangono sul posto, parlano vicini tra loro e indossano le mascherine in modo, diciamo, improprio – del resto, come si fa a bere con la bocca coperta?.
Il gelataio di Galleria Barcella avvisa una coppia di fidanzati che il gelato, se lo comperano, lo devono consumare a casa. Mezz’ora prima avevo visto tre che se lo mangiavano allontanandosi verso piazzale Candiani.
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In via Gino Allegri mi imbatto in questo volantino, incollato al muro. In un’intervista, una di queste mascherine tricolori dichiara che il loro è un movimento spontaneo. Alle loro iniziative partecipano militanti di Casa Pound.
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Nasi. Di regola non ci si faceva caso, a meno che non mostrassero un aspetto particolare, una forma e dimensioni inusuali. Ma di questi tempi invece sono diventati un oggetto di interesse, almeno per me: nasi, tanti nasi, continuamente nasi fuori dalle mascherine.
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È il 5 maggio. La fase due è cominciata da un giorno. Il distanziamento sociale vige ancora, ma dopo due mesi di incroci con passanti solitari, o al massimo in coppia, noto qualche raggruppamento.
In via Trezzo, una compagnia di cinque o sei maschi adulti, per lo più di mezza età, si è organizzato in questo modo: sul davanzale della finestra di una casa a pianterreno, che dà direttamente sulla via, uno di loro mesce in capienti bicchieri a stelo le bevande, gli altri ingombrano il marciapiede brindando e vociando forte.
Sulle panchine davanti al cimitero, alcuni ragazzi e ragazze sono impegnati in una conversazione; l’atmosfera è rilassata, qualcuno non indossa la mascherina, però stanno abbastanza distanti tra loro.
Il parcheggio nell’area dell’ex ospedale Umberto I è il mio termometro sulla fase due. Lunedì e martedì mattina non c’erano molte auto, oggi mercoledì 6 è quasi pieno.
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9 maggio. In centro due negozi di fiori stanno entrambi in galleria, uno in Barcella, l’altro in Matteotti. Stasera ci sono code di persone che aspettano il loro turno per entrare.