di Claudio Pasqual
Quarto appuntamento con le cose viste in città: mentre si sta concludendo la “fase 1” della quarantena.
La pubblicità in Tv, sulla rete, sulla carta stampata, sui muri cittadini, si è immediatamente appropriata del coronavirus, argomento che ne monopolizza quasi del tutto i messaggi, blandendoci con una valanga di retorica patriottarda su quanto siamo bravi, buoni e solidali noi italiani e su quanto è bello il Bel Paese. Ma persino gli stessi dispositivi di prevenzione del contagio sono diventati mezzi di comunicazione di massa. Non c’è solo la regione Veneto che ha distribuito mascherine con il suo logo (per altro di dubbia efficacia, come si sa). Oggi per terra davanti al mio portone giaceva abbandonata una mascherina con il marchio dei supermercati Alì. E anche se non sono sicuro al cento per cento, perché l’ho intravisto di sfuggita all’ultimo istante, un signore indossava una mascherina della catena di supermercati Cadoro.
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Un anziano signore che incrocio per strada indossa una visiera fai da te. Ha fissato con tre mollette da bucato alla tesa rigida del cappello un foglio di plastica trasparente, tenuto teso davanti alla faccia con altrettante mollette appese al bordo inferiore del foglio. Sotto porta la mascherina.
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Volantino letto sulla vetrina di una cartoleria.
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In precedenza avevo fatto il giro delle librerie cittadine, chiedendomi meravigliato perché aprissero solamente il martedì e mercoledì, per poi appunto scoprire che è stabilito da un’ordinanza regionale. Mondadori, Ubik, Libro, Feltrinelli e Galleria del Libro sono di nuovo in attività. Non tutti gli ingressi del Centro Le Barche sono aperti. Il cartello con gli orari è affisso alla porta che dà su Piazzetta XXI marzo.
Aperte le profumerie: in quella di Piazzale Candiani, tra la porta d’ingresso e il bancone hanno piazzato un mobile consolle che sbarra la strada ai clienti; indicando con il dito il prodotto che hai visto in vetrina o da lontano sugli scaffali e con complicate descrizioni riesci a far individuare alla commessa quel che cerchi e lei da lontano te lo mostra e te ne illustra le caratteristiche; sulla consolle è appoggiata una confezione di preziosissimi guanti usa e getta. Il discorso cade su questi ultimi e la gentilissima signorina mi spiega che se non se ne trovano è perché manca la materia prima, le importazioni dai paesi produttori sono bloccate. Pagare richiede un piccolo esercizio di equilibrismo: per mantenere la distanza di sicurezza, lei si piega in avanti per poggiare il lettore POS sul ripiano della consolle, io faccio altrettanto per digitare il PIN.
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Le panchine pubbliche ormai da anni sono diventate un bersaglio per benpensanti e autorità: sono diventate una vetrina dell’esclusione, ci stazionano barboni, ubriaconi e immigrati, sono usate come giaciglio dai senzatetto; e siccome non è un bello spettacolo, ne hanno tolte in gran numero, per eliminare focolai di “degrado”, sporcizia, spaccio.
Quelle rimaste ora sono diventate potenziali focolai di contagio. Almeno così deve aver pensato l’amministrazione del “M9 District” (ovvero l’area di M9, il Museo del Novecento di Mestre), che ha fatto affiggere a ogni sedile dell’area questo avviso di divieto di assembramento.
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Sono colpito dalla spavalda sicurezza del gioielliere di via Olivi: dalla vetrina annuncia ai suoi clienti, con un cartello, che “Martedì 4 maggio il negozio riaprirà al pubblico!”. Nel frattempo, comunque, se si vuol fare un regalo, la ditta offre gratis la spedizione: basta una telefonata.
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La libreria Ubik quasi si scusa per le restrizioni a cui obbliga i suoi frequentatori. Non più di quattro persone per volta nei locali, guanti e mascherine e la preghiera, “per velocizzare la permanenza e limitare i rischi”, di rivolgersi “subito” al personale. Si rammarica di non poter svolgere quella che ritiene la sua missione autentica: “in questo momento la libreria è, purtroppo, solo un servizio e non un luogo di aggregazione. Speriamo di tornare presto ad essere la libreria di riferimento della città”. A ognuno la sua baldanza. Vero è che dal 2015 organizza ogni anno “Mesthriller, festival del giallo, noir e thriller”, a cui partecipano anche noti scrittori e attori del genere e mi risulta avere un buon successo di pubblico.
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Nei giardini delle case, nei cortili condominiali, nei parcheggi semiabbandonati dalle auto, sotto lo sguardo vigile dei genitori, sono ritornati, con la primavera, i bambini. La loro comparsa ha un sapore particolare, vibra di una nota diversa dagli anni passati, e non solo perché è mattina, ad aprile tempo di scuola, di norma.
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La realtà certe volte è davvero beffarda. Il titolo di questa mostra a Ca’ Pesaro, “Senza respiro/Arte contemporanea a Londra” suona tristemente, lugubremente premonitore. L’esposizione era iniziata in ottobre, doveva chiudere il primo marzo, forse è riuscita ad arrivare a termine. A ricordarcela, un doppio manifesto bilingue, inglese e italiano, pende malinconico da un muro in una via secondaria.
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Via Fedeli è una stradina stretta in zona Altobello. È un luogo storico: su un lato corre un muro di mattoni, dirimpetto da un capo all’altro della via una fila continua di vecchie casette a schiera a due piani, piacevoli a vedersi e restaurate di recente; erano le abitazioni degli operai che nell’Ottocento lavoravano nella grande fornace Da Re alle Barche. Oggi si presenta tutta pavesata di bandiere italiane dalle finestre.
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Sulla facciata del multisala IMG Cinemas, chiuso dall’inizio di marzo, campeggia da quasi due mesi il manifesto in gigantografia che annuncia il film evento “prossimamente” sugli schermi: Si vive una volta sola, di Carlo Verdone.