di Maria Giovanna Lazzarin
La nostra amica e socia Giovanna Lazzarin ci racconta la sua partecipazione a due escursioni in bici lungo il Marzenego, organizzate dalle associazioni I sette nani e Dalla guerra alla pace nell’ambito delle Giornate europee del patrimonio. Ci fa piacere, in questa occasione, ricordare anche due biciclettate di qualche anno fa, organizzate nell’ambito delle iniziative “Acque alte a Mestre e dintorni” (che sarebbero confluite nel nostro Quaderno numero 13): quella alla Fossa Pagana, nel 2009, ce la raccontò proprio Giovanna Lazzarin; quella lungo il Marzenego, nel 2010, fu guidata da Claudio Zanlorenzi e Manuela Battain.
Sabato 25 settembre e domenica 26 settembre 2021, nell’ambito delle Giornate europee del patrimonio 2021, si sono svolte due uscite: In bici lungo il Marzenego: mulini, ville, meandri, trosi, roccoli e laghetti, organizzate dalle associazioni I sette nani e Dalla guerra alla pace, con la collaborazione di altre associazioni e la partecipazione di ciclisti provenienti non solo dall’area mestrina, molti giovani e famiglie.
Io vi ho collaborato a nome dell’associazione storiAmestre e spero di riuscire a far capire attraverso la breve cronaca del percorso come il luogo e le persone intervenute abbiano saputo interpretare le finalità di queste “passeggiate patrimoniali”, secondo quanto si legge nei materiali predisposti per l’evento: “speciali percorsi tematici che, superando la tradizionale modalità della visita guidata, consentono ai partecipanti di scoprire e/o riscoprire un territorio attraverso gli occhi e le voci di chi lo vive, i testimoni. Essendo realizzate direttamente da abitanti, associazioni ed istituzioni legate a un certo luogo ne favoriscono una comprensione più profonda a beneficio della sua valorizzazione e trasmissione alle future generazioni” (dalla locandina delle Giornate Europee del Patrimonio, GEP, 25-26 settembre 2021; le GEP sono promosse dal Consiglio d’Europa e dalla UE dal 1999).
La prima tappa ci ha condotti al meandro fossile del rio Cimetto, rinchiuso tra la ferrovia Venezia-Udine e la tangenziale di Mestre, i cui rumori arrivavano senza togliere l’incanto di un ambiente naturale che mantiene la sua vitalità forse proprio perché gli umani non lo conoscono e lo trascurano. Si tratta di uno dei pochi meandri fossili del Veneto: il rio Cimetto, insieme ad altri affluenti del Marzenego, è stato deviato nel canale Scolmatore negli anni Settanta del secolo scorso, l’acqua rimasta non ha più la forza per trasformarne le anse come in un normale fiume, per cui il meandro resta nella forma che aveva al tempo della deviazione.
Meandro fossile del rio Cimetto. Foto di Rosanna Mazzucco
Tutti quelli che ne hanno parlato durante le due passeggiate vivono da lunghi anni in questa zona. Roberto Stevanato, del Centro studi storici, lo ha presentato come il sito archeologico dell’antico Musone che forse andava a finire in Canal Grande a Venezia, ma ha anche narrato i suoi ricordi d’infanzia, perché abitava lì vicino.
Il naturalista Massimo Semenzato ne ha descritto le valenze ambientali, ha ricordato che ci giocava da piccolo, è lì che ha cominciato a esplorare i rettili, ha anche citato alcune opere narrative che lo raccontano1.
Renzo Rivis e Carla Dalla Costa, dell’associazione I sette nani, amano questo posto che con la sua bellezza naturale contrasta la cementificazione del centro di Mestre, ogni giorno cercano nuove strategie per salvaguardarlo; così mentre ci siamo fermati a osservarlo si sono piazzati esattamente dove dovrebbe sorgere una rotonda stradale, per far capire la distruzione incombente.
Ciclisti al meandro fossile del rio Cimetto. Foto di Rosanna Mazzucco
La seconda tappa, Villa Barbarich, è stata presentata il 25 settembre da Valerio Rossato, che da bambino andava a giocare nel giardino della villa e da grande ha poi condotto e pubblicato una precisa ricerca storica su questo edificio andando alla ricerca della sua trasformazione nel tempo e dei proprietari che si sono succeduti2.
Villa Barbarich vista dal cancello. Foto di Rosanna Mazzucco
Il giorno dopo toccava a me restituire l’immagine della fabrica voluptuosa di cui poco si intravedeva dal grande cancello chiuso che impediva l’accesso. Così ho cominciato ricordando che una ventina d’anni prima ero andata a vederla con la guida di Giorgio Sarto. La villa era in rovina, gli affreschi interni scoloriti e frammentari, ma Giorgio aveva una visione così lucida del suo valore da far capire perché veniva chiamata fabrica voluptuosa3. Tra il 2000 e il 2003 era sorto un movimento cittadino che chiedeva venisse acquisita dal Comune e destinata a un uso pubblico, nel 2003 era stata l’unico luogo del cuore segnalato al FAI per un intervento a sua tutela nel Comune di Venezia. L’amministrazione pubblica non si mosse, anche se per cavilli notarili la villa poteva essere comprata per poco. Si mosse invece nel 2004 una cordata di imprenditori capitanata dal professor Loris Tosi, veneziano, che la comprò e la restaurò facendone un albergo a quattro stelle “superiore”.
Il fiume Marzenego. Si intravedono la villa Barbarich e il molino Ronchin. Foto di Rosanna Mazzucco
E per dare una piccola idea dello scrigno di dipinti presenti nella villa, ho concluso la presentazione mostrando una bella riproduzione di un affresco che si trova tra due finestre del primo piano e ponendo ai presenti un enigma: cosa rappresenta la donna che cammina con uno specchio in una mano e un serpente nell’altra? La soluzione in nota4.
Villa Barbarich, affresco del primo piano, autore ignoto. Foto Maria Giovanna Lazzarin
Vicinissimo alla villa, sulla stessa sponda sinistra del fiume Marzenego, si trova il molino Ronchin, segnalato fin dal 1176, a dare l’idea di un’attività agricola importante che al mulino convergeva. Lo ha presentato Carlo Cappellari, che quando è arrivato a Mestre da Padova ha deciso di esplorare tutti i molini del fiume, nonostante gli ostacoli di varia natura che incontrava: proprietari degli argini, cani, siepi, cancelli.5.
Molino Ronchin. Foto di Rosanna Mazzucco
A tenere le fila di tutto il percorso è stato Dario Cestaro, dell’associazione Dalla guerra alla pace. Da sempre abita in questi posti e se ne prende cura. Aveva con sé delle riproduzioni a colori delle mappe all’impianto del Nuovo Catasto Italiano Terreni formato all’incirca dopo la Prima Guerra Mondiale. Le metteva a confronto con l’oggi, per mostrare le rettifiche che hanno reso il fiume artificiale tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, ma anche ciò che è rimasto delle antiche anse e come una vegetazione spontanea si sia riappropriata di questi luoghi.
Nel mentre spiegava gli aspetti idraulici del territorio, raccontava anche la resistenza degli abitanti del posto allo stravolgimento dei loro percorsi abituali. Il troso (ovvero il sentiero), rimasto di uso pubblico, sul quale abbiamo camminato lungo il rio Storto è uno dei successi di quelle battaglie.
In bici lungo gli sterrati. Foto di Rosanna Mazzucco
Siamo arrivati così al roccolo, ovvero una postazione di caccia agli uccelli, dimostrativo di una pratica per fortuna ora vietata e ai laghetti di Martellago. Dario ci ha parlato della corsa in bicicletta che veniva organizzata ogni anno attraversando quelle che allora erano cave di argilla e della mobilitazione popolare degli anni Settanta per mantenere quei luoghi a verde pubblico. E ha concluso così: “È stata una fortuna per il Comune di Martellago preservare quei posti, quel verde ha potuto compensare tutta l’edificazione fatta successivamente”.
Dario Cestaro spiega la tecnica venatoria del roccolo. Foto di Carla Dalla Costa
- Giorgio Mario Bergamo, Addio a Recanati, Einaudi, Torino 1981, racconta delle piene del rio Cimetto che allagavano il rione Sabbioni; Orlando Ciprian, El gorgo dei sete negài. Un quartiere di periferia tra gli anni Cinquanta e Sessanta, Piazza, Silea 2011, racconta le esplorazioni sue e dei suoi amici bambini lungo i meandri del rio Cimetto e al Marzenego; Luciano Bertolucci, Andate, ritorni, in Mestre per le strade, a cura di Massimiliano Nuzzolo, Azimut, Roma 2010, un racconto breve dedicato al rio Cimetto e alle località Sabbioni e Gazzera. Si vedano anche i ricordi di Claudio Pasqual, su questo sito [↩]
- Valerio Rossato, Storia di una fabrica voluptuosa. Villa Malipiero-Barbarich a Zelarino, Liberalato, Mestre 2004. [↩]
- Così viene chiamata la costruzione per la presenza di un ampio ciclo di affreschi, si veda la pubblicazione che dà conto del restauro della villa e degli affreschi: Uno scrigno di pietra dipinto. Storia, arte, architettura, restauro di villa Marcheselli-Malipiero-Barbarich a Zelarino, Venezia ora Hotel Villa Barbarich, a cura di Stefano Noale e Francesco Amendolagine, fotografie di Pino Guidolotti, Gaetano Mazzeo, Linea, Padova 2017. [↩]
- Si tratta di una delle quattro virtù cardinali, la Prudenza, rappresentazione molto diffusa nel tardo Rinascimento. La giovane donna che guarda il proprio volto riflesso nello specchio rappresenta l’allegoria della conoscenza di sé stessi, ma anche l’idea che mentre si va avanti verso il futuro è bene guardare all’indietro, al passato. Il serpente è simbolo della sapienza che opera contro le avversità: estote prudentes velut serpentes (“siate prudenti come serpenti”, vangelo di san Marco); rappresenta anche il tempo che si rinnova ciclicamente come la pelle del serpente. [↩]
- Cappellari ha raccontato le sue avventure in una serie di mail indirizzate a un circolo di amici e amiche, la “compagnia gongolante”, che si leggono anche sul sito restovenezia.it; le prime dieci, relative al Marzenego, sono state pubblicate per la prima volta sul sito ilfiumemarzenego.it. [↩]