di Claudio Pasqual
Sull’uso e sull’ostentazione di assonanze dialettali, immagini e toponimi – reali o fittizi – tratti dal paesaggio mestrino all’interno di centri commerciali e banche. Una descrizione con alcune considerazioni sulla dimensione “glocale” delle multinazionali del XXI secolo. E anche un altro possibile argomento di discussione per il gruppo di lavoro sulla “città dei centri commerciali”.
A Maria Luciana Granzotto
A Zelarino, nella terraferma del Comune di Venezia, c’è una galleria commerciale Auchan; da qualche tempo si chiama “Porte di Mestre”. Anche ciascuno dei cinque ingressi al mall ha avuto un nome: Porta Marghera, Porta Carpenedo, Porta Mezzacapo, Porta Bazzera, Porta Sirtori. Sono alcuni dei forti del campo trincerato di Mestre, costruito a fine Ottocento per difendere la piazzaforte di Venezia in caso di attacco nemico dal continente: luoghi concepiti per fermare, per bloccare, non per far passare, transitare. Su una parete nell’atrio di Porta Carpenedo campeggia una gigantografia in bianco e nero che riproduce una foto d’inizio Novecento del Canal Salso di Mestre.
L’ultimo centro commerciale aperto in città, nel 2014, a Marghera, ha un nome in dialetto locale: Nave de vero (per i non veneziani, si traduce “Nave di vetro”). L’hanno costruito gli olandesi del gruppo Corio: leggo in Internet, una delle maggiori società di investimento immobiliare d’Europa.
L’ultimo arrivato della grande distribuzione alimentare in zona Auchan è un punto vendita della catena Interspar. La parete di fondo della corsia d’uscita dalle casse, opposta all’entrata, ben visibile anche dal parcheggio esterno attraverso le vetrate, è interamente occupata da una foto in bianco e nero che ritrae l’incrocio tra le vie Olivi e Poerio a Mestre. Mi risultava familiare e ho fatto una piccola ricerca. Risultato: appartiene all’archivio fotografico Giacomelli ed è stata scattata nel 1933. Al centro dell’immagine si staglia l’edificio della fabbrica di dolciumi Taboga, al posto del quale adesso sorge il centro Commerciale Le Barche; in primo piano, isolato rispetto agli altri astanti in posa, si fa notare un aiutante giovanotto in pantaloni alla zuava e camicia nera. Nel supermercato, la gigantografia seminasconde in basso – ci si accorge di loro solo da vicino – due porte, probabilmente dei bagni per i clienti.
L’agenzia Mestre Centro della Banca Nazionale del Lavoro, del gruppo francese Paribas, in corso del Popolo di recente ha rifatto il look: l’interno è stato completamente trasformato. Nello spazio aperto al pubblico dell’ampia sala che forma il pianterreno sono sparse qua e là, come tante isole di un arcipelago in pieno mare, salette quadrate dalle alte pareti di cristallo, con un arredo davvero minimale: un tavolo spoglio con un collegamento per il personal computer, tre sedie da ufficio e nient’altro. Ciascuna ha un nome, impresso sul vetro, e sono tutti di luoghi ed edifici della nostra città: Torre dell’Orologio, Parco Piraghetto, Piazza Ferretto, Forte Marghera, Parco San Giuliano. L’impiegato al quale ho chiesto delucidazioni mi ha rivelato che sono stati i “capi parigini” a volerlo – ma il loro consulente deve essere stato per forza uno del posto; mi ha anche fatto notare che la dislocazione delle salette non rispetta la topografia reale del territorio. Nella parte opposta all’entrata è stato creato un ambiente open space per gli uffici del personale e interdetto alla clientela ma perfettamente visibile dall’esterno, perché delimitato da una parete a soffitto tutta di vetro; déjà vu, il muro di fondo è occupato da due riproduzioni fotografiche in formato gigante della Mestre di oggi. In entrambe il fuoco dell’immagine è la torre civica dell’Orologio, ripresa da punti di osservazione opposti: dall’imbocco di via Palazzo all’altezza del municipio e da Piazza Ferretto ai piedi del ponte delle Erbe che porta a piazzetta Matter.
Multinazionali della grande distribuzione e grandi gruppi bancari che ricorrono a oggetti selezionati dalla geografia e dalla storia locale: che cosa sta succedendo? È il glocalcapitalismo, o capitalismo glocal. La versione glocal del capitalismo. Detto altrimenti: come l’economia di mercato, il neoliberismo sappiano sussumere e indirizzare a fini di profitto gli elementi che nello stesso tempo concorrono a cancellare.
Viviamo in piena globalizzazione. L’omologazione, l’uniformazione che essa porta con sé hanno prodotto, com’era prevedibile, una reazione, ma tramontata l’ipotesi no global, “di sinistra”, hanno prevalso comunitarismi, regionalismi, populismi, sovranismi. Ora, dalla storia del capitalismo sappiamo come esso sappia mettere in campo, se necessario, notevoli doti plastiche di adattamento: il capitale è come Proteo, il dio greco capace di cambiare forma a piacimento. Dunque una strategia utile all’impresa può essere quella di adattarsi – o meglio fingere di adattarsi – ai contesti e alle relazioni che essa stessa distrugge. Non c’è però nulla di sostanziale, di effettivo, in questa mossa: la partita si svolge per intero sul piano della comunicazione, è una pura operazione di marketing che viene posta in atto. Si tratta di un gioco illusionistico, basato su un effetto di mimetismo – come quei pesci che adattano la livrea all’ambiente circostante per non farsi riconoscere da predatori e prede. Il messaggio dell’impresa è: “sono dei vostri”, “siamo come voi”; “ci sentiamo, siamo membri di questa comunità”. Poiché ci muoviamo a livello di rappresentazioni, non esiste un piano del discorso che sia più potente dell’orizzonte del simbolico; e quali segni di appartenenza a un luogo, a una collettività sociale, sono altrettanto efficaci dei landmark, per la loro unicità e specificità?
Pareti invetriate, che tutto mostrano, non nascondono nulla; niente barriere, trasparenza, visibilità, non abbiamo segreti per voi; in Bnl sono state tolte persino le bussole per il controllo di sicurezza nell’accesso ai locali della banca. Peccato che chiudano uno dopo l’altro gli sportelli e in quelli rimasti funzioni una sola cassa. Così code e lunghe attese; in un’epoca dominata dalla velocità e dalla fretta, clienti spazientiti, brontolii e lamentele, gente che rinuncia tra le proteste.
Pitteri Mauro dice
Caro Claudio, è commovente come tu possa ancora usare termini come capitalismo che ha notevoli doti di adattamento paragonato al dio greco che cambia forma. Purtroppo, i punti di riferimento non sono più quelli chiari e distinti di quando facevamo il corso autogestito su Gramsci all'Università nei lontani anni Settanta. Anch'io mi ero posto qualche domanda sulle porte di Auchan. Mi pareva una buona idea vista l'ignoranza diffusa sul territorio mestrino. forse pochi intimi sanno a cosa quelle porte si riferiscano, per non parlare dei personaggi a cui sono dedicate. Ecco, più che una furbesca volontà di sfruttare il locale per aumentare il fatturato, mi è parsa una cosa tutto sommato meritoria per dire ai clienti/consumatori che in fondo quel "non luogo" è consapevole di essere inserito in un contesto che ha una storia.