di Filippo Benfante
Sabato 26 settembre si è svolta a Roma, in piazza del Popolo, la manifestazione nazionale lanciata dal Comitato Priorità alla Scuola con lo slogan “Senza scuola non ci sono diritti”. Pubblichiamo l’intervento di Filippo Benfante che, insieme a quello di Gloria Ghetti, ha chiuso il pomeriggio aperto da Costanza Margiotta e Maddalena Fragnito. La manifestazione si è svolta in forma “statica”, su un palco hanno preso la parola una ventina di persone, a partire dalle 15,30. A Roma, sabato 26 settembre, ha cominciato a piovere alle 15,30.
Verso la fine di questo lungo tempo in cui siamo stati insieme, in presenza, in sicurezza e in umidità, dopo tutte le cose che sono state dette, nel tempo che mi resta vorrei dire qualcosa proprio sul tempo.
Il tempo atmosferico prima di tutto: quello delle terribili previsioni che a inizio settimana annunciavano pioggia per oggi. Non è sempre possibile smentire le previsioni o cambiare gli esiti, ma da aprile ci siamo abituati a tentare di farlo.
Penso al tempo dell’autunno e dell’inverno che si avvicinano, e portano con loro banali malanni di stagione che quest’anno sono agitati come spettro e minaccia di epidemia. Il tempo che diventa quello degli accertamenti, dei certificati e delle quarantene.
Non siamo noi a sospendere questa spada di Damocle sulle nostre teste: fa parte del pacchetto di parossismo sanitario riversato sulla scuola – quello stesso che prevede le quarantene della carta. Un trattamento speciale riversato solo sulla scuola, caso mai su biblioteche e archivi, ma non su altre attività.
Come si farà nel tempo delle quarantene, come si potranno conciliare i tempi della vita – il lavoro, la cura dei figli, l’istruzione – date le procedure sanitarie previste, o meglio previste in modo così approssimativo o perverso?
Anche attraverso queste procedure, e il corollario di ammortizzatori sociali così mal pensati da non ammortizzare un bel nulla, passa una scuola di classe (chi si può pagare i tamponi e chi no, chi si paga o può organizzarsi una scuola privata o una “scuola parentale” e chi no) e una sempre più profonda frattura sociale (tra chi può far valere garanzie sul lavoro e chi no).
In primavera chiedevamo: “in presenza, in sicurezza e in continuità”. Allora penso al tempo che abbiamo speso, o meglio investito, da aprile, per spingere a una riapertura su cui ben pochi spendevano parole.
Perciò come non pensare al tempo che il ministero ha sprecato mentre, dal 18 aprile in una lettera, e poi il 23 maggio da 20 città e il 25 giugno da 60, lo incalzavamo dicendo che il conto alla rovescia era già cominciato.
Come non pensare al tempo che il governo e il ministero ci hanno rubato – insieme a un bel po’ di parole – per far partire l’anno così. Con un pensiero a chi quest’anno in classe non è ancora rientrato, perché la sua scuola non ha riaperto ancora o ha cominciato solo con la didattica a distanza.
Per il ministero il tempo delle bugie non è mai passato.
Penso al tempo pieno che, guardando dal mio luogo di residenza, pensavo fosse un metodo e un diritto acquisito – scusate l’ingenuità –, per scoprire che è un privilegio che si ferma a una certa altezza della penisola. Oggi, in certe zone, persino una scuola aperta diventa un privilegio.
In questi mesi ho scoperto e imparato molte cose che pensavo di sapere, ma non era così. Priorità alla Scuola per me è stato un gruppo da cui imparare; penso che sia questo il senso da dare all’espressione “comunità educante”: un gruppo che educa e si educa, dove si impara l’uno dall’altra. Penso che Priorità alla Scuola possa mettere questo tra i suoi risultati raggiunti in un tempo molto breve: avere rilanciato un’idea di comunità educante, di autentica corresponsabilità solidale, basata sulla capacità di ciascuno di assumere con consapevolezza il proprio ruolo e di conseguenza di cogliere i reciproci punti di vista.
Giovedì, dalla nostra pagina facebook, abbiamo rilanciato la proposta del nostro Girolamo De Michele che, usando la suggestione storica di una rivoluzione ormai antica, da giugno parla di una costituente per la scuola. Un rivoluzionario un poco meno antico dava un consiglio a chi voleva far arrivare un tempo nuovo: «Non basta odiare la corona, bisogna anche perdere il rispetto del berretto frigio».
Credo che vada tenuto a mente anche oggi: che questa piazza per molti aspetti inedita – con le voci di genitori, studenti e studentesse, insegnanti e lavoratori e lavoratrici del mondo della scuola, esponenti della società civile, militanti e sindacalisti ad alternarsi sul palco –, resti corresponsabile, non verso una istituzione ma verso noi stessi. Forse in questo modo, da qui, si potrà costruire un tempo nuovo per la scuola e l’istruzione pubblica in Italia.
Penso a questi ultimi cinque mesi, in cui Priorità alla Scuola è andata quattro volte in piazza ogni volta con uno slogan diverso: non ci manca la fantasia. Nei prossimi avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza, di tutta la nostra fantasia ma anche di tutta la nostra concretezza.
Penso al tempo di chi ha resistito finora in piazza sotto la pioggia: grazie, sapendo che oggi è arrivato in piazza del Popolo un piccolo spezzone di un corteo che sta attraversando tutta Italia, da Trieste alla Sicilia. Dopo la manifestazione di oggi, dovremo tornare a farci sentire a livello locale, nei luoghi dove viviamo, davanti alle scuole che frequentiamo.