di Militant A Assalti Frontali
Per gli auguri di buon Primo maggio, quest’anno abbiamo pensato alla scuola e a proteste recenti. Riprendiamo alcune pagine relative a un “concertone in proprio” eseguito il Primo maggio 2009 davanti al Colosseo da genitori e maestre della scuola primaria Iqbal Masih (dedicata al bambino pakistano, operaio e attivista contro il lavoro minorile, ucciso a dodici anni nel 1995), della zona Casilino-Centocelle. Fu una delle iniziative di un anno di lotta contro la cosiddetta “riforma Gelmini” – un eufemismo per dire “tagli alla scuola pubblica” – cominciato con una occupazione della scuola nel settembre 2008 e raccontato sotto forma di memoriale-romanzo da Luca Mascini, in arte Militant A, che all’epoca aveva due figlie piccole che frequentavano la scuola primaria e quella dell’infanzia nello stesso istituto comprensivo.
Per il nostro primo maggio a San Giovanni i contatti in Cgil hanno detto «No! Non si può!». Il rap di Enea, un rap ironico e musicale che parla della scuola, con le maestre e i bambini sul palco, non va bene.
«Ma come?» Teacher1 ci è rimasta male «è la canzone migliore in questo momento, è perfetta, chi ha più diritto di noi di salire su quel palco?».
La devo consolare. «Teacher… a chi organizza il concerto di San Giovanni di tutte quelle cose… i diritti, i lavoratori, la democrazia, la scuola, non gliene frega niente. Sono agenzie… […] scelgono i gruppi in base a un ritorno, a un vantaggio: chi va su quel palco raddoppia i cachet d’estate, e questa è la motivazione di tutto. E allora perché fare suonare noi? Troppo estranei, troppo indipendenti, non c’è guadagno, poi magari diciamo qualcosa di sconveniente».
Ma non stiamo a guardare. Non ci hanno dato San Giovanni? Ci prendiamo il Colosseo! Il Colosseo? Appuntamento a mezzogiorno davanti scuola. Puntiamo verso il centro con sei macchine, parcheggiamo a via Labicana e scendiamo con borse, striscioni, casse, gruppo elettrogeno e taniche di benzina. Facciamo un concertone in proprio. Davanti al Colosseo i giapponesi sorridono, i tedeschi si baciano mezzi nudi al sole, una coppia di romani si sposa in limousine bianca, noi ci mischiamo in mezzo a loro e a centinaia di persone che vanno e vengono.
Siamo in venticinque. Un filo di tensione c’è sempre prima di un’azione, anche se piccola. Quella macchina della municipale, ad esempio, che gira in continuazione, può darci grane. «Gli diciamo che è un flash mob» dice Teacher.
«Sì, però non lo chiamiamo flash mob, che mi deprime» le rispondo.
Appena se vanno, tiro il filo del gruppo elettrogeno come il motore di un gommone, «bram». Si accende, parte la musica, tutti si stendono per terra con un lenzuolo bianco sopra e uno striscione legato a cento palloncini a elio sale alto sul Colosseo: ARIDATECE IL TEMPO PIENO!
Io salgo su un muretto che fa da palco e rappo:
Arrivano subito i vigili: «Che state facendo? Permessi! Autorizzazioni!».
Sento i miei che ribattono: «Macché permessi, è per la scuola pubblica, avrete figli anche voi, giratevi dall’altra parte».
Io continuo il mio show davanti a una folla di giapponesi:
Il cervello non lo ama / chi ha paura che reclama / ma noi siamo Einstein e anche Dalai Lama / e anche Che Guevara / e niente ci separa / non c’è tetto alle iscrizioni né alle ambizioni di chi impara / così imparo arabo, cinese e portoghese / così va il mondo, gira il mondo e abbiamo ‘ste pretese / se non c’è scambio non c’è conoscenza / lo scambio lo vogliamo adesso e non abbiamo più pazienza… Pubblica / laica e solidale / noi la vogliamo / pubblica / laica e solidale / a questi gli andrà male…
I vigili dicono: «Ok, ma fate in fretta, cinque minuti e via». E se ne vanno. Sono umani anche loro.
Passo il microfono a Simonetta [Salacone] che spiega alla telecamera di Alessandra di Margine Operativo. Le riprese dopo mezz’ora escono sui siti di movimento e su Repubblica.it: “Concerto blitz al Colosseo contro i tagli alla scuola pubblica”.
Torniamo alle macchine. Quindici minuti. Perfetto. Inizia così il nostro maggio di rivolta. A via Labicana, mentre entriamo in auto, una voce amica mi entra nei pensieri.
«Vi state divertendo, eh?». Mi volto. È Sara, detta Saretta, mamma dell’Iqbal Masih, una mamma compagna sempre in prima linea nella lotta. Vive in una casa occupata a Tor Bella Monaca, oltre il Raccordo anulare, e viene apposta all’Iqbal Masih per il tempo pieno, ogni mattina fa un bel viaggio fino al Casilino, avanti e indietro, l’avrebbe fatto volentieri per cinque anni, per dare a sua figlia una scuola di qualità, e invece è delusa, sconcertata. Questa scuola per sua figlia è diventata un incubo. «Vuoi un passaggio?» le chiedo.
«Volentieri». Sale in macchina e torniamo insieme.
«E allora… come va?».
«E come va? Vedi la maglietta che indossate? C’è scritto sopra IO AMO E DIFENDO LA MIA SCUOLA. ma se io non l’amo più questa scuola come faccio a difenderla?».
«Non c’è modo di riprendere?».
«Macché riprendere, a giugno mi faccio dare il nullaosta e me ne vado».
Il nullaosta! Che batosta! Se ne va. Saretta se ne vuole andare.
«M’ha detto male… sono finita nella classe sbagliata. D’altra parte l’Iqbal Masih è sempre una scuola statale e lo Stato è quello che è, e le maestre sono un suo prodotto. Se va bene fai una scuola degna, se va male fai la fine di mia figlia: era allegra e solare e da quando è entrata qui in prima elementare è nervosissima, sempre con questa ansia dei compiti per il giorno dopo, dopo otto ore di scuola. Oh, ma il tempo pieno non serviva proprio per fare tutto a scuola? Sempre che c’è qualcosa che manca, qualcosa che non va, con la mano sulla mano a ripassare le parole scritte male, come nell’Ottocento, in prima elementare. Ma datele il tempo! Siamo stati un mese in Brasile per lavoro e al ritorno, invece di valorizzare l’esperienza, compiti su compiti per recuperare. E poi mai una discussione con le maestre, una chiacchierata su come va la classe, come vanno i bambini, che progetto c’è e come procede il lavoro. Niente di niente. Qui lottiamo tanto per il tempo pieno ma il tempo pieno fatto in modo scolastico è una pena». In macchina scende il silenzio. «E poi già alle pagelle mi avevano delusa: hanno messo i voti come chiedeva la Ministra, ma non solo gli otto e i nove come uno s’aspetterebbe in prima, anche i sei, i cinque in pagella. A un bambino della nostra classe hanno messo cinque, ma si può?».
Lo so, un’isola felice non esiste. Gli esseri umani sono imperfetti e un’isola felice può diventare anche infelice. Una volta Simonetta mi ha detto: “Ci fanno perdere tanto tempo a inseguire circolari e decreti e ci sfuggono le cose, dovremmo parlare, discutere tra noi in modo continuo, io non posso stare nella testa di tutte le mie insegnanti”.
E quest’anno bocceranno. Questa voce gira. Bocceranno pure a scuola nostra, un bambino rom in prima elementare, proprio come vuole la Gelmini: perché ha fatto troppe assenze. E ha fatto troppe assenze perché gli è morta la mamma. «E Don Milani? E Lettera a una professoressa?». «Eh… lo sappiamo», mi hanno detto le maestre «ma che dobbiamo fare?».
Ma non si doveva mai bocciare per nessun motivo alla scuola elementare (e alle medie)? Perché bocciare distrugge l’autostima, allontana dalla scuola, mentre a questo livello di istruzione si può recuperare nel corso degli anni. Invece bocciare un bambino è perderlo, e una maestra non dovrebbe mai perdere un suo bambino, a costo di manomettere il registro delle presenze e dei voti. Perché bocciarlo vuol dire toglierselo di torno…
Ma allora questa riforma sta già passando? Proprio come diceva Bruna, nelle teste e nei cuori di alcuni docenti prima ancora che nel taglio all’organico.
Nota. Tratto da Militant A Assalti Frontali, Soli contro tutto. Seconda edizione di un romanzo non autorizzato, Goodfellas, Firenze 2017, pp. 282-286. La prima edizione uscì nel 2014; quella del 2017 si apre con un capitolo dedicato a Simonetta Salacone: “Ciao Simonetta. Una scuola può tutto”, datato gennaio 2017. Nel 2008-2009 Simonetta Salacone era la dirigente dell’istituto comprensivo di cui faceva parte la primaria Iqbal. È morta la notte del 27 gennaio 2017. Nel 2018 l’istituto comprensivo le è stato intitolato; nello stesso anno è uscita una raccolta di suoi scritti: La scuola può tutto, a cura di Elena Pautasso, Nadia Ferretti, Mara Maurri, Agra, Roma 2018. Gli Assalti Frontali la ricordano con la canzone Simonetta.
La “riforma Gelmini” per la scuola primaria (elementari) e secondaria di primo grado (medie) è entrata in vigore il primo settembre 2009.
- «Teresa, detta Teacher, maestra d’italiano e un carattere, diciamo così, “da cattedra”. Teacher ama la scuola pubblica e il tempo pieno, è una che lotta, ma la innervosiscono queste forme “primitive”, come dice lei, che usiamo noi. Legge l’Unità, crede nelle istituzioni, e nella sua idea di mondo non ci sono conflitti, se non con noi», così è presentata a p. 154, ricordando una assemblea durante l’occupazione della scuola avvenuta nel settembre 2008. [↩]