di Benjamin Arbel
Il naufragio di una nave veneziana ormai in vista del suo approdo a Cipro, il 27 febbraio 1499. Stando ai documenti non ci furono vittime e almeno una parte del carico venne recuperata. Ecco una “battuta d’arresto” – nota il nostro amico Benjamin Arbel concludendo la sua lettura delle fonti disponibili – che ci permette di cogliere il flusso degli scambi di uomini e mercanzie nel Mediterraneo alla fine del Medioevo
Il saggio di Arbel ci rimanda a eventi calamitosi, a un tempo sospeso, a frammenti di informazioni – senza trama e senza finale –, a un elenco di merci, a spostamenti, viaggi e scambi che continuano comunque incessanti. Ci è sembrata, oggi, una strenna appropriata a questi tempi che ci sono dati da vivere.
1. In una lettera del 7 marzo 1499, i governatori della colonia veneziana di Cipro annunciano nei termini seguenti il naufragio nei pressi delle Saline di San Lazzaro, l’ancoraggio principale sulla costa meridionale dell’isola: “Con gran displicentia significhemo a la Serenità Vostra esser rotta adì 27 fevrer de notte a Saline la nave patron Pasqual Vidale, la qual senza fortuna per mal governo hebe questo naufragio”1. Ulteriori informazioni sulla sciagura si trovano nel diario veneziano di Marino Sanuto. Riferendosi a una lettera scritta il 5 marzo dello stesso anno dal capitano di Famagosta il diarista nota, tra l’altro, il “rompersi di la nave patron Pasqual Vidal, zoè Veniera, participi sier Paolo Loredan e sier Marco Querini, sora le Saline”. Secondo la stessa lettera, “è sta recuperà solamente li gropi d’oro e d’argento”2.
Si tratta dunque di una nave di portata che probabilmente non eccedeva molto il minimo di 240 tonnellate stabilito dalla legge per le navi private che uscivano dall’Adriatico (se fosse stata una nave di grandi dimensioni, il Sanuto l’avrebbe probabilmente segnalato, seguendo la sua usanza). Il nome della nave, menzionato dal Sanuto, era, secondo l’uso veneziano, quello del suo parcenevole, o proprietario principale, e in questo caso forse di un parcenevole precedente, visto che i due proprietari menzionati dallo stesso diarista portavano altri nomi.
Il patron, o capitano, Pasqual Vidal, ci è noto da un contratto di assicurazione marittima3. Si tratta di un contratto stipulato a Venezia il 4 luglio 1498, per l’assicurazione di merce trasportata a bordo di una nave comandata da costui, molto probabilmente la stessa nave di cui ci occupiamo qui, nel viaggio ad Alessandria d’Egitto. Si direbbe che si tratti del viaggio precedente a quello che finì col naufragio a Cipro. Difatti, nel periodo sotto esame, le navi veneziane erano in grado di compiere due viaggi annuali tra Venezia e il Levante o, per adoperare il termine veneziano, due mude. La Veniera poteva partire da Venezia per Alessandria alla fine di luglio del 1498, per tornare a Venezia attorno alla fiera di Natale, e ripartire per il Levante verso la fine di gennaio o durante il febbraio seguente, per approdare nei porti del Mediterraneo orientale in marzo. Il manifesto di carico della nave, descritto in seguito, conferma questa ipotesi: la nostra nave caricava merci a Venezia tra il 14 e il 20 gennaio del 14994.
Il naufragio della Veniera occorse, secondo la lettera del Regimento, nella notte del 27 febbraio. La mattina seguente, i governatori dell’isola mandarono alle Saline due cavalieri ciprioti, Zuan de Aragona e Zuan Zappo, per prendere i provvedimenti necessari, insieme al capitano delle Saline. Notiamo questo intervento di due cavalieri ciprioti accanto al magistrato veneziano, un tipico modus operandi dell’amministrazione coloniale veneziana.
Il primo marzo, cioè un giorno dopo la loro partenza da Nicosia, i due cavalieri e il capitano scrissero al Regimento di essere riusciti a ricuperare la cassa coi 31 gropi, ossia sacchettini contenenti monete o lingotti di metalli preziosi, come pure l’inventario dei gropi e il manifesto di carico (“libretto de cargo”). La nave stessa non era andata distrutta, ma stava quasi tutta sott’acqua. Nella documentazione che ci è pervenuta, non si fa nessun cenno a vittime umane5.
Arrivò il momento di decidere la sorte della merce e dei denari ricuperati come pure della merce che si poteva ricuperare in futuro. Secondo la lettera dei magistrati, il patron insisté che “non se muova una brulla senza bona deliberation del conseio di XII, rispetto la segurtà”6.
Il Consiglio dei Dodici veniva istituito saltuariamente e non era composto da membri eletti nei consigli repubblicani. Era un organo riunito per risolvere un problema specifico sopraggiunto fuori da Venezia, negli empori di commercio internazionale, sulle navi veneziane e, in linea di principio, in qualsiasi luogo dove si dovesse prendere una decisione senza poter attendere una risposta dalla lontana capitale. Questo organo riflette perciò il lato prammatico del sistema veneziano, l’autonomia di cui godevano, in forma corporativa, i cittadini veneziani all’estero7. Il nostro è un caso classico: a bordo della nave naufragata vi era una quantità notevole di denaro contante e di lingotti di argento destinati a Cipro e alla Siria, c’erano anche merci che si potevano forse ancora ricuperare e di cui bisognava decidere la sorte; si doveva dunque tener conto di tutto quello che si era riusciti a salvare e di quello che era andato perso, per eventuali reclami di assicurazione. C’è da notare che l’assicurazione marittima era ormai, alla fine del Quattrocento, una usanza normale a Venezia e che durante il XV secolo Venezia era uno dei maggiori centri di questo settore8.
Il Consiglio dei Dodici si radunò il primo marzo, a Nicosia, a distanza di alcune ore di cavalcata dalle Saline. Il verbale delle sue deliberazioni fu allegato alla lettera del Regimento che annunciò il naufragio della nave. Due proposte furono presentate alla votazione. Il luogotenente propose di far portare tutti i gropi per custodia a Nicosia, di consegnare poi quelli destinati a Cipro ai loro destinatari, e di chiedere istruzioni a Venezia per quelli destinati alla Siria; quanto alle merci, egli propose un procedimento simile, distinguendo, però, tra merci che si potevano guastare, e altre che si poteva mettere in custodia in attesa di ulteriori istruzioni. I due consiglieri del luogotenente erano di un’altra opinione rispetto alla merce e ai gropi destinati alla Siria. Essi proposero di chiedere istruzioni in materia al console veneziano in Siria, che doveva convocare il suo proprio Consiglio dei Dodici per prendere le opportune decisioni. Questa ultima proposta fu approvata nella votazione seguente. Inoltre si decise di detrarre le spese del ricupero del valore della merce e dal capitale ricuperati9.
2. Generalmente, il numero dodici non era assolutamente obbligatorio per la composizione del Consiglio dei Dodici. Nel rendiconto di questa riunione il luogotenente e i consiglieri sono menzionati separatamente, con il termine generico “rectores ultradicti”, mentre gli altri partecipanti, i cui nomi figurano sullo stesso documento, sono proprio dodici. Il patron della nave, benché superstite, non faceva parte del consiglio. D’altro canto, ne facevano parte i due camerlenghi, che erano magistrati coloniali, e un commendatore dell’ordine di San Giovanni. Tranne uno o due partecipanti, tutti gli altri erano patrizi veneziani.
Vediamo alcuni di questi nomi più da vicino. Fortunatamente ho potuto raccogliere alcune informazioni su parte di essi da altre fonti.
Il cavaliere Polo Trevisan era un patrizio veneziano che viaggiò lungamente in Oriente e risiedette poi a Cipro per parecchi anni. Fu autore di un libro sul Nilo e sull’Etiopia, composto a Cipro nel 1483 e ormai smarrito10.
Michiel da ca’ Griego era un patrizio veneziano bandito a Cipro da alcuni anni, e sposato con una cipriota11.
Domenico Calbo era un altro patrizio bandito sull’isola nel 1496, per aver dato uno schiaffo a un altro patrizio nel Maggior Consiglio di Venezia. Il cronista Malipiero lo descrive come “homo de mala qualità e facinoroso”12.
Vettor Pesaro fu fratello e fattore di Giacomo da ca’ da Pesaro, vescovo di Paphos, che figura su due tele famose del Tiziano13. Il nome di Vettor Pesaro appare anche nell’inventario dei gropi ricuperati dalla nave, come uno dei destinatari del danaro.
Di Luca Pesaro non si sa molto: poteva però essere figlio di Bartolomeo Pesaro, uno dei due consiglieri del luogotenente14.
Similmente, Lion Venier potrebbe essere il figlio del luogotenente Andrea Venier15. I magistrati coloniali veneziani si facevano talvolta accompagnare durante le loro missioni dai loro figli giovani. A questo proposito possiamo anche chiederci se il nome della nave, Veniera, non riveli qualche legame tra il luogotenente in carica e questo vascello.
Un altro membro del consiglio, Giovanni Alvise Pasqualigo, era figlio di Cosma Pasqualigo, un patrizio che detenne magistrature importanti nella flotta veneziana, e che servì anche in varie occasioni come magistrato coloniale a Cipro: nel 1488, in qualità di provveditore, fu inviato nell’isola per assicurare il dominio veneziano; nel 1493-94 era capitano di Famagosta e doveva tornare nell’isola nel 1500 come luogotenente16. Evidentemente, la presenza del figlio Giovan Alvise a Cipro era collegata agli interessi del padre nell’isola. D’altronde, Marino Sanuto menziona una nave di proprietà di Cosma Pasqualigo, che arrivò da Cipro a Venezia nel settembre 150017. Se si tratta dello stesso Cosma, una supposizione che mi pare molto probabile, abbiamo un altro elemento che rivela una rete collegando il servizio ufficiale nella lontana colonia con attività marittima e commerciale.
Vincenzo Garzoni, definito “Monsignor dela Phynica”, era evidentemente commendatore della piccola commanderia di Finica, dell’ordine di San Giovanni18.
Su Hieronimo Coppo e Piero Zacharia non ho potuto trovare altre indicazioni.
Questa lista di persone ci rivela, dunque, vari modi e varie motivazioni di movimento umano attraverso il Mediterraneo, movimento legato al fenomeno coloniale e alle correnti di scambi marittimi internazionali che facevano capo a Venezia. Ognuna di queste persone rappresenta naturalmente un bagaglio di esperienze personali connesse ai collegamenti tra Oriente e Occidente: magistrati e loro parenti, banditi, avventurieri e funzionari ecclesiastici. È abbastanza interessante notare che nessuno di essi si può definire puramente “mercante”.
Navi veneziane ancorate nel Bacino di San Marco. Particolare della veduta di Venezia di Jacopo de’ Barbari (1500)
3. Accanto al verbale del Consiglio dei Dodici, furono allegati alla lettera che conteneva l’annunzio del naufragio altri due documenti: il cosiddetto “libretto de cargo”, cioè il manifesto di carico della nave, e l’inventario dei gropi.
Un primo sguardo sul manifesto di carico ci rivela subito che la merce trasportata sulla Veniera era di provenienza occidentale, e difatti la nave era sulla rotta verso Oriente. Il libretto contiene, per ogni articolo, la data del carico, il nome del mittente, la natura e la quantità della merce, il nome e la località del destinatario e qualche informazione sul nolo. Accanto a ogni articolo figura il marchio commerciale del mittente, che era anche segnato sulla merce. Ci limiteremo, qui, a una breve descrizione delle merci menzionate in questo documento, con qualche accenno alla loro provenienza e destinazione.
1. Mandorle: 7 botti destinate alla Siria. Eliyahu Ashtor ha trovato molte indicazioni rispetto all’esportazione di mandorle dal Mediterraneo occidentale verso Oriente durante gli ultimi secoli del medioevo19. A questo proposito è interessante segnalare la presenza, proprio in quegli anni, di confettieri veneziani a Damasco. Le mandorle spedite da Venezia, di provenienza ignota, potevano dunque servire alla produzione di confetti.
2. Sarma vecchia: non son riuscito a capire la natura di questa merce. Siccome non sono indicati né la quantità né la destinazione, può darsi che Alvise Bembo, notato come mittente, non l’abbia alla fine caricata.
3. Stagni: 8 fasci destinati alla Siria. Un prodotto classico tra quelli esportati dall’Occidente verso Levante. La fonte principale dello stagno era l’Inghilterra, ma secondo Ashtor una parte proveniva dalla Germania. La facilità di fusione e la sua relativa resistenza alla ruggine lo rendevano utile per la fabbricazione di vari utensili e oggetti d’arte. Ovviamente la sua importanza derivava anche dal suo ruolo nella fabbricazione del bronzo.
4. Ambra: 1 barile destinato alla Siria. Nel nostro caso si tratta, presumibilmente, della resina fossile di colore giallo scuro o bruno, che si usava per oggetti di ornamento, per la fabbricazione di rosari e dei bocchini dei narghilè, e anche coma materia magico-terapeutica. Il più importante giacimento d’ambra che si conosca è nella penisola di Saland, sulla costa baltica. E difatti, una lettera commerciale scritta a Damasco nel 1484 si riferisce esplicitamente a “anbre de Lubech” e “da Bruza”20.
5. Carta: 7 balle senza menzione della destinazione, più 3 balle doppie destinate alla Siria. Come si sa, la carta arrivò in Europa dall’Oriente. Ma in seguito allo sviluppo di quest’industria in Occidente e alla sua decadenza in Oriente, il trasporto internazionale di questa materia aveva cambiato direzione ormai da parecchio tempo.
6. Resegali. Dodici Caratelleti piccoli contenenti resegali, senza indicazione del destinatario. Caratelleti erano botticelle; resegali (risalgallo, realgar) era una vernice rossa, chiamata anche sandarac, estratta dalla resina del callitris quadrivalvis nel Marocco. Si vede che il nolo si riferisce separatamente ai contenitori e alla merce.
7. Lavorieri de piera, in casse, destinati a Cipro. Si tratta, ovviamente, di pietre lavorate.
8. Un Casson destinato a Cipro. In mancanza di ulteriori indicazioni, si tratta di un cassone vuoto.
9. Carisee: una balla destinata alla Siria. Le carisee erano tra le merci occidentali più ricercate nei mercati levantini. Era una stoffa di lana di mediocre qualità, spesso di provenienza inglese. Secondo la Pratica di mercatura di Bartolomeo di Paxi, opera veneziana della fine del Quattrocento, la carisea era, tra le stoffe inglesi, la più pregiata nel Levante musulmano.
10. Banda raspa (6 barili) e banda (4 barili), destinati alla Siria. Si tratta di lastre di ferro, di tipo “raspado”, cioè lavorato colla raspa, e di un altro tipo non lavorato.
11. Paternoster: 6 barili destinati alla Siria. Il rosario, presumibilmente di vetro, era diffuso in Oriente tra Cristiani e Musulmani (la misbaha). Ovviamente, si tratta di un prodotto tipicamente veneziano. I rosari spediti in Siria erano probabilmente simili a quelli descritti in un manoscritto del tardo Trecento come “paternostri piccolini de vetro giallo, cioè de quelli venetiani fini che sono a modo de ambre zalle”.
12. Panni: complessivamente, 6 balle e 1 ligazzo destinati alla Siria, 2 balle destinate a Cipro e uno con destinazione ignota. In mancanza di ulteriori specificazioni possiamo supporre che fossero panni di lana fabbricati in qualche città veneta, come Padova, Vicenza o Feltre, i cui prodotti si esportavano spesso a bordo delle navi veneziane che veleggiavano verso Levante.
13. Canevaze: 2 rotoli destinati a Cipro. Anche questa è una merce che si trova spesso, in quel periodo, sulle navi veneziane. Materia che poteva servire per imballare altre merci, per vele, corde, sacchi, ecc.
14. Pellami: 1 ligazeto destinato alla Siria. Si tratta di una piccola quantità di questa merce.
15. Rami lavorati: 19 colli destinati alla Sira. Ashtor ha attirato la nostra attenzione sulle grandi quantità di rame esportate verso il Levante su navi e galee veneziane durante gli ultimi secoli del medioevo. Gli usi di questo metallo potevano essere molto vari, compreso quello militare.
16. Diziali: un bariletto destinato alla Siria. Si tratta molto probabilmente di ditali da cucito.
17. Scarlato: un pezzo destinato alla Siria. L’importazione di queste stoffe pregiate da Venezia a Damasco è segnalata in una tariffa veneziana del secondo quarto del quattordicesimo secolo. Secondo Ashtor, l’importazione di scarlati e di velluto da Venezia aumentò dopo il 1410. Naturalmente, queste stoffe erano destinate agli strati più alti della società siriana.
18. Caveoni: un ligazo destinato alla Siria. Si potrebbe trattare di alari, cioè arnesi da cucina o da caminetto.
19. Bozzoladi: un bariletto destinato alla Siria. Si tratta forse di una specie di ciambelletta (buzzoladin).
20. Barili 3 destinati alla Siria. Anche in questo caso erano probabilmente contenitori vuoti.
4. Per quanto riguarda la natura delle merci, il nostro manifesto di carico si presenta, dunque, come un assortimento tipico delle esportazioni da Venezia verso il Levante alla fine del Medioevo. Altri aspetti dello stesso documento sono anch’essi tipici di questa corrente di scambi in quel periodo. La maggior parte delle merci era destinata a fattori veneziani in Siria, e solo poca roba restava a Cipro. Difatti, i porti siriani e il loro retroterra costituivano un mercato più vasto per le merci occidentali. Non siamo ancora arrivati alla fase della nuova struttura di navigazione mercantile, che si sarebbe foggiata alcuni decenni più tardi, con Cipro come principale emporio del commercio veneziano nel Mediterraneo orientale e con le Saline di San Lazzaro come ultima tappa sulla rotta verso il Levante delle grandi navi veneziane21. Notiamo anche che sul libretto non sono riportate merci caricate in altri luoghi lungo la traversata del Mediterraneo orientale. Tutta la merce proveniva da Venezia, anche se i luoghi di origine dei vari prodotti erano abbastanza svariati – dai resegali del Marocco all’ambra del Mar Baltico e dallo stagno inglese all’argento e rame dell’Europa centrale. Il concentramento di tutti gli scambi commerciali nella città lagunare era un principio basilare del sistema economico veneziano.
L’esportazione verso Levante di vari prodotti industriali, come i panni di lana (soprattutto quella di bassa qualità), prodotti vetrari e carta, manifestano l’ascesa tecnologica dell’Europa mediterranea e la decadenza delle industrie del Levante musulmano, come l’aveva già segnalato Eliyahu Ashtor22. I metalli, come lo stagno, il rame e il ferro, spediti verso il Levante testimoniano di una carenza costante di questi prodotti di base nella stessa zona.
Mi pare che la merce più importante a bordo della nave fosse di altra natura: infatti l’inventario dei gropi è un documento più lungo del manifesto di carico. L’inventario rappresenta chiaramente un problema strutturale degli scambi tra Oriente e Occidente nel tardo medioevo, e cioè il deficit commerciale degli Occidentali di fronte ai Levantini. Le merci che si acquistavano nel Levante, in primo luogo le spezie, erano allora di solito molto più care di quelle portate dall’Europa23.
Sull’inventario dei gropi sono registrati i nomi dei mittenti, il numero dei gropi e il nome del destinatario con la segnalazione del luogo di destinazione. L’informazione sul contenuto di questi sacchettini è molto succinta. Come sul manifesto di carico, i marchi dei mittenti, che figuravano sui gropi, sono anche disegnati sull’inventario. Ventiquattro gropi erano destinati alla Siria, e solo sette a Cipro. Tra questi ultimi c’era anche un gropo di denaro pubblico, destinato al Regimento di Cipro, e un altro destinato al governatore dell’arcivescovado di Nicosia. Di solito, i mittenti dichiaravano quale metallo contenevano i gropi, ma solo in un caso – quello di un “gropo d’oro” – si menziona il valore del contenuto: 300 ducati, secondo la dichiarazione del mittente. In alcuni casi questi sacchettini non contenevano denaro contante, ma piuttosto lingotti bollati (“arzento di bolla”), imballati a 2 pezzi per gropo.
L’anno precedente al naufragio della Veniera, il diarista veneziano Priuli annotò alla fine di gennaio che le navi della muda di Siria partirono “poverissime”, non avendo più di 40 balle di panni a bordo24. La Veniera ne aveva trasportato ancora meno. Ma la quantità di panni non era necessariamente un indice sufficiente per la ricchezza del carico. Lo stesso diarista notò nel febbraio del 1496 che le navi della muda “partirono riche per Soria”, avendo a bordo ducati 50.000 di contadi, miara 300 di rame “et altre merze bonamente, panni pochissimi”25. Dato che non possiamo giungere nemmeno a una valutazione approssimativa sul valore del denaro e dei metalli preziosi a bordo della nostra nave, non si può neanche concludere se il carico della Veniera sia da considerarsi ricco o povero.
La documentazione relativa al naufragio della Veniera ci ha permesso, tuttavia, di dare uno sguardo alle correnti di scambi materiali che collegavano zone lontane e civiltà diverse, unite in qualche modo, consapevolmente o inconsapevolmente, in una rete complessa di interessi economici, tramite il sistema veneziano di commercio marittimo. Abbiamo potuto cogliere, per così dire, queste correnti commerciali in una battuta d’arresto, per metterle sotto una specie di esame al microscopio. Ma in realtà queste correnti non si potevano arrestare. Alla fine del Quattrocento, i bisogni materiali delle varie società mediterranee, costituivano un insieme di forze di mercato che attivavano i movimenti del commercio internazionale con tale persistenza e forza che perfino nei momenti più difficili, come, per esempio, in tempi di guerra, questi collegamenti trovavano rotte diversi e mezzi alternativi per poter rispondere a tali bisogni. Considerandoli poi nella loro dinamica in un quadro cronologico più ampio, i documenti qui presentati ci offrono testimonianze preziose per l’esame della vita materiale dei paesi mediterranei tra medioevo ed età moderna.
Nota. Benjamin Arbel, professore emerito di early modern history presso l’università di Tel Aviv, è specialista di storia del Mediterraneo orientale e in particolare dell’impero e del commercio marittimo veneziano nell’età del Rinascimento. Ha già collaborato con il nostro sito, nel 2015, offrendoci un suo ricordo di Cesare Vivante.
Il suo saggio che presentiamo qui è uscito per la prima volta con il titolo Attraverso il Mediterraneo nel 1499: una nave veneziana naufragata a Cipro e il suo carico, in Le vie del Mediterraneo. Idee, uomini, oggetti (secoli XI-XVI), a cura di Gabriella Airaldi, ECIG, Genova 1997, pp. 103-112. Si ripubblica qui con minimi tagli al testo, l’omissione delle note 19, 20, 22 (la 21 è accorciata e anticipata di qualche riga) e 24-36, la correzione di alcuni refusi e l’uso di norme tipografiche diverse. Si omettono anche i documenti in appendice (ivi, pp. 112-115), ovvero: I. Lettera che porta a Venezia la notizia del naufragio; II. Il “libretto de cargo della nave”; III. L’inventario dei gropi.
Il saggio ha avuto una seconda edizione rivista e corretta, in Benjamin Arbel, Studies on Venetian Cyprus, Nicosia 2107, pp. 147-164, che abbiamo tenuto presente per questa nostra terza edizione.
Ringraziamo Benjamin Arbel per la sua amicizia e disponibilità. (red)
- Aikaterina X. Aristeidou, Anekdota Eggrapha tes Kypriakes Istorias apo to Archeio tes Benetias, Tomos A (1474-1508), Nicosia 1990, n. 37, p. 241. La lettera del Regimento non fu originariamente indirizzata ai Capi del Consiglio dei Dieci. La sua inclusione nell’archivio di questa magistratura, dove si trova finora, è legata, presumibilmente, alla scritta che figura sul verso della lettera, nella quale si nota che essa fu presentata ai Capi del Consiglio dei Dieci il 4 ottobre 1503. I motivi di questo procedimento sono ancora ignoti. [↩]
- Marino Sanuto, I diarii, II, pubblicato per cura di Guglielmo Berchet, Venezia 1879, col. 685. [↩]
- Karin Nehlsen-von Stryk, L’assicurazione marittima a Venezia nel XV secolo, Roma 1988, p. 515. [↩]
- Archivio di Stato di Venezia (d’ora in poi ASV), Lettere ai Capi del Consiglio dei Dieci (d’ora in poi X, Lett.), b. 288, n. 284. L’anno precedente, il Senato discuteva ancora il 23 febbraio le condizioni del viaggio delle navi che dovevano partire verso la Siria per la muda di marzo, vedi ASV, Senato Mar, reg. 14, cc. 147v-148v. [↩]
- Aristidou, Anekdota Eggrapha tes Kypriakes Istorias cit., p. 242. [↩]
- ASV, X Lett., n. 282. [↩]
- Ugo Tucci, Le conseil des douze sur les navires vénitiens, in Le navire et l’économie maritime du Moyen Age au XVIIIe siècle, principalement en Méditerranée, Travaux du deuxième colloque international d’histoire maritime (Paris 1957), Paris 1958, pp. 119-125. [↩]
- Nehlsen-von Stryk, L’assicurazione marittima cit., pp. 33-34. [↩]
- Alla fine dello stesso anno, il Senato accolse la protesta di Michiel da Mathio, il marangon della nave, “qual è sta potissima causa de la recuperation de la cassa de dicti gropi”, e “no ha habuta mercede alcuna per sua fatica”. Il Regimento aveva tolto sette ducati e mezzo per ogni gropo ricuperato, ma la somma parve esagerata al Senato, che ordinò di mandare i denari a Venezia, “batuda la pura e semplice ispesa facta ne la recuperation de dicta casa”, cfr. ASV, Senato Mar, reg. 14, c. 204r (17 dicembre 1499). [↩]
- Giacomo Lumbroso, Viaggiatori e descrittori italiani d’Egitto, in “Atti della R. Accademia nazionale dei Lincei. Memorie della Classe di scienze morali, storiche e filologiche”, ser. 3, vol. 3 (1878-79), p. 441. Nel 1484, Polo Trevisan sposò la vedova del cavalier Zuan Aregnon [d’Aragon?], cfr. Marco Barbaro, Libro di nozze patrizie, Biblioteca Nazionale Marciana, Venezia, Ms. It. VII 156 (8492), c. 420. Nel 1496, il Trevisan figura come testimone in un atto ufficiale del Regimento di Cipro, cfr. Louis de Mas Latrie, Histoire de l’île de Chypre sous le règne des princes de la maison de Lusignan, III, Paris 1855, pp. 492-93. [↩]
- Nel maggio 1493 Michiel Griego fu già menzionato come bandito, cfr. ASV, Senato Mar, reg. 14, f- 12v; il suo matrimonio fu annotato da Barbaro sotto l’anno 1498, cfr. Barbaro, Libro di nozze cit., c. 201. [↩]
- Domenico Malipiero, Annali veneti dall’anno 1457 al 1500, in “Archivio Storico Italiano”, ser. I, VII (1843), p. 698. Nel 1507, anche il Calbo sposò una cipriota, cfr. Barbaro, Libro di nozze cit., c. 91. Per ulteriori informazioni, cfr. Sanuto, I diarii, ed. a cura di Federico Stefani, Guglielmo Berchet, Nicolò Barozzi, Venezia 1887, XX, col. 454 e Venezia 1889, XXV, col. 402. [↩]
- Mas Latrie, Histoire de l’île de Chypres cit., pp. 492-493. Le due tele sono: Jacopo Pesaro presentato a san Pietro da papa Alessandro VI, oggi al Museo Reale delle Belle Arti di Anversa, e la Pala Pesaro, nella chiesa dei Frari di Venezia. [↩]
- ASV, X Lett, b. 288, n. 282; Marco Antonio Barbaro, Arbori de’ patritii veneti continuati da M.A. Tasca, ASV, Miscellanea Codici, nn. 894-898, vol. VI, c. 81. Luca q. Bortolomeo Pesaro fu condannato come ladro a Venezia il 20 aprile 1500, cfr. Sanuto, I diarii, III, pubblicato per cura di Rinaldo Fulin, Venezia 1880, col. 268 [↩]
- ASV, X Lett., b. 288, n. 282; Mas Latrie, Histoire de l’île de Chypres cit., p. 847. [↩]
- Giovanna Magnante, L’acquisto dell’isola di Cipro da parte della Repubblica di Venezia, in “Archivio Veneto”, 6 (1929), p. 74 (provveditore in armata, 1488); Mas Latrie, Histoire de l’île de Chypres cit., p. 850 e ASV, Consiglio dei Dieci, Misti, reg. 26, c. 203 (capitano di Famagosta, 1493-94); Malipiero, Annali veneti cit., p. 141 (provveditor generale dell’armata, 1492); Sanuto, I diarii, III cit., coll. 68, 623 e ASV, Senato Mar, reg. 14, c. 204 (Luogotenente di Cipro, 1500). [↩]
- Sanuto, I diarii, III cit., col. 725. [↩]
- George Hill, History of Cyprus, III, Cambridge 1948, p. 1190, s.v. Phinika. Nella Venezia di quell’epoca c’erano dei Garzoni patrizi e dei Garzoni cittadini originarii. [↩]
- Per questo e gli altri riferimenti ad Ashtor, si veda Eliyahu Ashtor, Levant Trade in the Later Middle Ages, Princeton 1983, passim [↩]
- Federico Melis, Documenti per la storia economica dei secoli XIII-XVI, Firenze 1972, p. 186. [↩]
- Frederic C. Lane, Venetian Shipping during the Commercial Revolution, in Id., Venice and History, Baltimore 1966, p. 17 (pubblicato per la prima volta in “American Historical Review”, 38, 1933, pp. 219-239). [↩]
- Eliyahu Ashtor, Levant Trade cit., pp. 212-213. [↩]
- Roberto S. Lopez, Il problema della bilancia dei pagamenti nel commercio di Levante, in Venezia e il Levante fino al secolo XV, a cura di Agostino Pertusi, Firenze 1973, vol. I, pp. 449-452. [↩]
- Girolamo Priuli, I diarii, I, a cura di Arturo Segre, Città di Castello 1912, pp. 75-76. [↩]
- Ivi, p. 48. [↩]