di Plinio Vecchiato
La crisi bancaria e le reazioni dei risparmiatori viste e ascoltate da un’osteria del Nord Est. Con un suggerimento sempre buono di Luciano Bianciardi.
La settimana scorsa nella filiale di Veneto Banca qua dietro è entrato uno che voleva farsi dare indietro i soldi che gli avevano fatto mettere in azioni. Il direttore gli ha detto che non poteva perché, così Milvana Citter sul Corriere del Veneto, «la procedura burocratica è lunga e al momento non esiste un fondo ad hoc», cioè, se ho capito giusto, ci vuole tempo e, soprattutto, i soldi non ci sono più. «Allora lui si è messo ad urlare, a minacciarlo, ad avvicinarsi scontrosamente fino ad andare in escandescenze e a rompere una porta. Poi ha messo le mani nella cassa e ha preso del denaro», ha strattonato una cassiera, e lei e una sua collega impaurita hanno avuto un malore. Hanno chiamato il Suem per le cassiere col malore, e i carabinieri per quello che rivoleva i soldi, che prima di uscire dall’istituto di credito è riuscito a «ghermire del denaro».
Dai giornali non ho capito se ci aveva rimesso 5 o 10mila euro, i soldi che ha ghermito sono 7.300, una specie di media ponderata.
Gli hanno dato tentata rapina, guai seri. Suo papà però gli ha preso l’avvocato Quintavalle, che qua è famosissimo perché è stato l’avvocato dei Tassitani quella volta che un matto da Bassano gli sequestrò, e uccise, la figlia.
Alla fine a quello che voleva indietro i soldi, che si chiama Ivan, gli hanno fatto patteggiare 20 mesi. Una tirata d’orecchie, tipo, giusto per non scaldare gli animi. Non so quanto costi, tra multa e pagare l’avvocato, patteggiare venti mesi per rapina, e immagino anche che siano cose che danno problemi quando devi fare carte, ma almeno si evita la galera e il teatro del processo.
Da aficionado di Un giorno in pretura – credo di aver visto tutte le puntate degli ultimi 10 anni –, so che in questo genere di processi arriva sempre il momento in cui il giudice dice al testimone di mostrargli com’è che avvenne il crimine. Allora chiede a un carabiniere di quelli che sono là in piedi senza fare niente di fare il direttore e al testimone di fare il rapinatore. La scena si svolge al rallentatore. Il testimone che ora impersona il rapinatore strattona una cassiera immaginaria e indica il punto dove ha avuto il malore, poi si dirige verso una porta immaginaria e la rompe con la forza del pensiero, arriva dal carabiniere che fa il direttore e lo spinge; il carabiniere si siede per terra per fare vedere che è caduto e segue da quella posizione il gran finale: l’uomo ghermisce il denaro, l’ampio gesto del braccio, il gomito a gancio, le rapaci dita strette a becco.
Questo Ivan che ha ghermito i soldi in banca, faceva il meccanico, con un contrattino a tempo determinato che finisce il 31, e adesso ha paura che non glielo rinnovino.
Il giorno dopo la cosa della banca, in generale in paese siamo stati tutti solidali con Ivan, anche il sindaco che è della lega: il riassunto è che la violenza è sempre sbagliata perché se la usi passi dalla parte del torto anche se hai ragione, però un po’ di ragione ce l’aveva anche Ivan che aveva portato i soldi in banca e adesso non glieli danno più.
La sera hanno mandato Ivan su antenna 3 per dire che non bisogna fare come ha fatto lui e che bisogna seguire le vie legali.
Tra Veneto Banca (che fino a ieri l’altro aveva presidente il castellano Favotto, un compagno della madonna che l’allora Pds candidò – perdendo – a sindaco) e Banca Popolare di Vicenza (che fu fino all’altro ieri Banca Popolare di Castelfranco, la banca di cui fummo paroni, roba nostra, nostrissima, identità), non credo che ce ne siano tanti a Castelfranco che non hanno dentro soldi.
Certo sono pochissimi tra gli avventori dell’osteria dove mi fermo la sera per bere un’ombra finito di lavorare che è frequentata al 98% da partite iva settore edilizia. Gente che fa merenda con l’ombra e il panino alle 7 e mezza di mattina, l’ora in cui a casa mia suona la sveglia e loro hanno già passato la prima mano di antimuffa, buttato su infinite pareti di cartongesso e posato giù ampi soggiorni di piastrelle.
In osteria, mentre sulla solidarietà a Ivan c’è l’unanimità e, anzi, si ritiene che abbia fatto bene, rispetto al quadro generale delle banche in Italia c’è un dibatto in corso, non ancora del tutto maturo ma già chiaro nelle sue principali linee di sviluppo: colpa di Monti che l’hanno messo le banche e l’europa, e questi di adesso come Renzi sono precisi, come Scalfaro che con Veneto Banca non c’entra ma si menziona perché si gioca con Monti il podio di chi ci sta più sul cazzo, con Bertinoti Pecoraroscagno e Fasìna a giocarsi il bronzo. Va anche detto che quella volta D’Alema voleva comprare una banca dell’Unipol con le cooperative di Fassino quello magro, e che il papà della Boschi ha fatto preciso di Favotto in Etruria, la Boschi è lì per quel motivo e anche perché Renzi (segue gesto del braccio accompagnato da fischio col pugnetto avanti indietro a mimare l’atto sessuale).
In chiusura seduta si riconosce a Baesso d’aver sempre sostenuto di star calmi che la Juve con la sua calma le avrebbe riciapàte tutte, mozione votata a larga maggioranza rispetto a quella minoritaria, non era rigore, ladri!, proposta da Candiotto che è interista. Ultimo giro che a casa le donne hanno pronto e spétano.
In osteria e un po’ dappertutto c’è gente che c’aveva messo soldi forte, i risparmi di una vita, come si dice. Compravano a 40 e adesso sono a 7. Se vuoi tirarli fuori adesso ti danno 7, ma non subito, quando vogliono loro, metti che fra due anni vanno a 10 loro te li danni fra due anni a 7 perché hai firmato così, per cui tanto vale tenerli dove sono e vedere se si alzano, anche se dicono che perché tornino a 40 servirà una generazione se basta.
Il marito di L. lavora in Veneto Banca e ha comprato azioni, le ha fatte comprare a suo papà (ex bancario), ai suoi amici e a i suoi clienti. Le aveva fatte comprare anche a P. che per fortuna è riuscito a tirarli fuori in tempo quando ha trovato lavoro in Svizzera. P. dice che li ha portati a casa quasi tutti, Vespa che in Veneto Banca aveva otto milioni pare che a casa abbia portato, con gli otto milioni, anche i rotti.
Dice il marito di L. che gli dicevano di vendere quello, che c’era la fila per comprarle perché potevi comprarle solo se qualcuno le vendeva. Aveva l’abitudine di fare colazione al bar la mattina, adesso il caffè lo beve a casa perché al bar c’è sempre gente che lo guarda male. Sta facendo il corso da erborista, vuole cambiare lavoro.
In Banca Popolare di Vicenza invece c’ha lavorato per una vita N. che, dopo la pensione, aveva fatto i conti di mettere a posto per suo figlio l’appartamento sotto con i soldi della liquidazione. I colleghi suoi di una vita gli hanno spiegato che per fare i lavori non conveniva spendere i soldi della liquidazione, conveniva che con la liquidazione comprasse azioni e fare un mutuo per l’appartamento, che con le azioni il mutuo si paga da solo e, anzi, avanzi anche qualcosa per comprare i mobili. Adesso i soldi della liquidazione non ci sono più, in compenso gli è rimasto il mutuo. Dice anche lui che sopra a una certa soglia hanno liquidato tutti per tempo, quelli coi milioni di euro in azioni non hanno perso una lira, anzi, hanno avanzato loro qualcosa per i mobili. In settimana ha l’impegnativa per la visita dal neurologo perché è un mese che ha una specie di tic, gli tremano improvvisamente le mani.
Stessa identica cosa col mutuo è successa a Dino, che ha fatto i conti che il mutuo non riesce a pagarlo e l’altro giorno ha messo fuori il cartello per vedere se è capace di vendere il campo davanti casa, quello col tochetto di vigneto che fu di suo papà. Sul cartello c’è scritto “Vendesi lotto edificabile. Trattative private. No Agenzie”. Le Agenzie, si sa, ghermiscono.
Un disastro impressionante, da parte di famiglia mia ci siamo salvati solo perché soldi, e fastidi, mai avuti.
Bisognerebbe occupare le banche (Luciano Bianciardi, 1968-69).
Nota su dove viene il suggerimento di Bianciardi
1. “Ho visto poi che le scuole sono la prima cosa, nel nostro paese, che si requisisce senza pensarci troppo: per le elezioni, ad esempio, ancora oggi, le scuole restano tranquillamente chiuse una settimana intera. Ecco perché io dubito della efficacia politica delle occupazioni studentesche. Se i nostri ragazzi occupassero le banche, il gesto avrebbe ben altra efficacia”
(Luciano Bianciardi, Nostalgia dell’isolato, “ABC”, 7 luglio 1968, ora in Id., Chiese escatollo e nessuno raddoppiò: diario in pubblico 1952-1971, a cura di Luciana Bianciardi, Baldini & Castoldi, Milano 1995, p. 201.)
2. “Il primo segno della maturità operativa (ma non soltanto operativa, anche ideologica, perché dietro una scelta tattica c’è sempre una convinzione meditata) è proprio questa: se essa occupa innanzitutto le banche, gli istituti di credito cittadini, dal primo all’ultimo, essa è una rivoluzione matura. Lasciare perdere broletti, palazzi del governo e anche le università, ragazzi, pensate alle banche. […] E badiamo bene: occupare le banche non significa entrarci dentro e rimanerci, seduti per terra a tenere assemblee, concioni e bambate simili. Lo so, ai nostri giovani verrebbe questa tentazione, specialmente ora che noi vediamo come si vadano rinnovando anche nell’aspetto architettonico, in funzione simbolica, questi edifici. […] L’oppressore sa che questa è la sola vera religione ed erige templi al danaro. Occuparli e tenerli sarebbe perciò il massimo gesto simbolico di dissacrazione rivoluzionaria attiva.
Ma sarebbe anche, daccapo, un’altra prova di infantilismo tattico. In capo a poche ore la banca verrebbe assediata. E gli assedi, sia ben chiaro, non vanno mai accettati. Mai ci si deve chiudere in trappola. Sarebbe come consegnarsi volontariamente, caldi caldi, nelle mani del nemico. Le banche dunque non vanno presidiate. Vanno vuotate”.
(Luciano Bianciardi, Aprire il fuoco [1969], introduzione di Oreste del Buono, Rizzoli, Milano 1976, pp. 173-174.)