di Carlo Cappellari
Fabrizio Zabeo, socio di storiAmestre e presidente del Comitato alluvionati di Favaro Veneto, mostra e racconta a Carlo Cappellari gli accorgimenti necessari perché Favaro non si trasformi in una piccola Venezia a ogni temporale.
Togliere prima di mettere
Carissima Compagnia Gongolante,
un imprevisto ha fatto naufragare le mie vacanze alla vigilia di Ferragosto, ma mi ha consentito di cogliere l’invito di Fabrizio Zabeo, un altro amico e socio di storiAmestre, nonché presidente del Comitato alluvionati di Favaro Veneto e benemerito della Provincia di Venezia (attestato della Provincia di Venezia).
Giovedì 1° agosto alle 10,45 è piovuto e tutte e tutti, pregustando l’abbassamento della temperatura, abbiamo tirato un sospiro di sollievo. Ma il più grosso l’ha tirato Fabrizio. Vi chiederete perché un allagato abbia benedetto la prima pioggia di agosto: perché è arrivata in tempo per fermare i lavori di asfaltatura di via Cereda dove abita.
Tutto ha avuto inizio nel 1955 quando è stato realizzato il quartiere di Favaro che ha per asse via Marmolada alla fine della quale si diramano verso sinistra le tre vie Passo Cereda, Passo Mauria e Gosaldo.
In questa ripresa aerea, a fianco di dette vie, all’estrema sinistra, si può vedere un’area scoperta denominata all’epoca “le Valleselle”, zona depressa con, nella parte più bassa, una pozza denominata “busa dei Popi” che non arrivava a seccarsi nemmeno in piena estate.
Quell’area è ora per metà parcheggio “del mercato” e per metà parco Monviso, ma tutto il terreno è stato alzato di una settantina di centimetri come è evidente se si guarda l’albero più grande che sorge al centro del parco che ha le radici mezzo metro sotto l’attuale piano campagna.
In poche parole è stato eliminato il bacino di laminazione naturale delle Valleselle e l’acqua che prima vi si depositava non ha più trovato la depressione.
Il 17 settembre 2006 si è verificato un evento metereologico definito “disastroso” che ha visto l’allagamento di 1.800 locali fra cantine, negozi, garage, abitazioni. Per tale evento era stimato un tempo di ritorno di cent’anni, sennonché il 26 settembre 2007 (preciso un anno dopo) si è verificato un evento definito “catastrofico” che ha visto l’allagamento di 6.500 locali con danni per circa 40 milioni di euro.
Per darvi l’idea di come fosse la situazione quel giorno, guardate queste foto dell’albero al centro del parco Monviso e del parcheggio.
Il rialzo del parco e del parcheggio hanno fatto diventare la zona delle tre vie più bassa di una cinquantina di centimetri con la conseguenza di trasformare le strade in rii e gli abitanti in alluvionati una prima volta nel 2006 e una seconda volta nel 2007.
(A proposito, potete rileggete anche la testimonianza di Orietta Vanin pubblicata anni fa su questo sito.)
Gli alluvionati si sono organizzati perché non ci “fosse due senza tre” e l’anno dopo sono state rifatte le fognature; guardando le due foto salta all’occhio la differenza di diametro fra il collettore precedente e quello nuovo.
Tutto risolto, tutto sistemato? Gli abitanti di Favaro possono ascoltare la pioggia che batte sul tetto senza temere di ritrovarsela nel garage? Sì, purché però venga mantenuta efficiente la rete di scolo dei tombini con una “sinergia” e “un lavoro di squadra”, come si ama dire adesso, fra il privato e il pubblico.
Nell’ambito del “Contratto di fiume” è stata lanciata l’iniziativa “adotta un tombino” (in terraferma ce ne sono circa 22.000), per cui i privati si danno da fare per tenere in efficienza le caditoie liberandole da foglie e altri detriti.
La pulizia delle condotte è affidata alla Veritas che ogni sei mesi pulisce i pozzetti delle caditoie e una volta all’anno ripulisce le linee centrali attraverso grossi pozzetti circolari a centro strada.
C’è un altro accorgimento indispensabile: quando le strade devono essere riasfaltate, bisogna che la posa del nuovo manto sia preceduta dalla “scarifica” dell’asfalto vecchio.
Ciò è indispensabile perché altrimenti ogni asfaltatura alza il piano della strada di cinque centimetri e il risultato è che le aree private si ritrovano più basse del piano stradale.
Direte che cinque centimetri non sono niente, ma in realtà sono tantissimo perché equivalgono a un piccolo temporale da cinque minuti che può essere smaltito dai tombini dalla strada se il livello della strada è più basso delle proprietà private; o al contrario riversarsi nelle proprietà private se il livello della strada è più alto. Scarificare è quindi fondamentale e le ditte che provvedono alle riasfaltature dovrebbero saper bene che prima di mettere bisogna togliere. È quello che non stava succedendo giovedì mattina 1° agosto in via Monte Cereda. Perciò Fabrizio, già intenzionato a sdraiarsi davanti alle macchine operatrici che, incuranti dei suoi richiami, procedevano senza esitazioni, ha benedetto la pioggia arrivata miracolosamente alle 10,50 a bloccare i lavori.
Fabrizio non ha perso tempo, si è attaccato al telefono e, la ripresa dei lavori, è iniziata con la scarificazione dell’asfalto vecchio. Tutto è bene quel che finisce bene, anche se gli abitanti delle tre vie, non disdegnano soluzioni personali quali paratoie mobili e fisse facendo assomigliare le vie di Favaro alle calli di Venezia assillata dalle acque alte.
Basi grandi
Carletto da Camisan diventato venexian anzi mestrin