di Carlo Cappellari
Il 2 giugno a Caroman. Ricordo di una gita che quest’anno non è stato possibile fare.
Carissima Compagnia Gongolante,
da un paio d’anni, il ponte del 2 giugno, lo passo a Caroman, intrufolato come accompagnatore nel gruppo di biodanza frequentato da mia moglie. Non vi spiego cos’è la biodanza, ma sappiate che è un modo piacevolissimo di assembrarsi, perciò quest’anno è vietata e, quindi, a Caroman non ci andrò.
Caroman è un’isola deserta, ma a Caroman prima o poi ci finiscono tutti perché, come dice il detto, “Tutti i canali portano a Caroman”.
Da quando è stato costruita la diga verso il mare l’isola cresce, tanto che, in un secolo, è diventata cinque volte più grande.
Si arriva a Caroman in battello da Chioggia e, da Pellestrina, anche in bicicletta, percorrendo la “radice” dei Murazzi, o a piedi camminando sulla loro sommità. (Come si sa i Murazzi sono la diga in pietra d’Istria che divide la laguna dal mare, costruita dalla Serenissima nella seconda metà del Settecento e risistemata nel corso del Novecento.)
La prima costruzione che si incontra a Caroman, una volta scesi dal traghetto, è un chiosco bar palafitta. Legato a uno dei pali di ormeggio del pontile c’è una sanpierota che si chiama “Mafalda 2”, acquistata usata nel 1994 da una cordata di cui io ero il tesoriere, per lire 1.200.000 (attuali 600 euri) mediante la vendita di carati del valore di lire 50.000 (ora 25 euri) o frazioni di detta somma. Come si sa, per dividere il rischio del naufragio delle barche con cui viaggiavano le loro merci, i veneziani acquistavano uno o più dei 24 carati in cui era virtualmente divisa la nave la cui perdita così non rischiava di mandare “a remengo” (in fallimento) l’attività commerciale.
“Mafalda 2” è stata pacificamente usucapita da Sergio, il titolare del chiosco (ora lo gestisce la figlia), che l’ha curata e accudita in questi anni e ce la mette a disposizione se vogliamo “fare un giro”.
Se vi incamminate verso sud entrate nell’isola, mentre, se vi incamminate verso nord, dopo un paio di chilometri, sarete a Pellestrina.
All’inizio dell’isola che corrisponde alla fine dei Murazzi c’è l’accesso secondario alla strutture dell’ex Opera Rachitici del Comune di Padova, struttura attualmente gestita da privati, e subito dopo la banchina si ferma davanti a dei rudimentali sbarramenti che vorrebbero evitare l’accesso a bici e moto.
L’isola è, infatti, Riserva naturale e oasi gestita dalla LIPU in quanto, oltre ad altre 190 specie di uccelli, vi nidificano il fratino e il fraticello, piccoli di taglia ma tenuti in grande considerazione dagli ornitologi che fanno di tutto perché continuino a nidificare nell’isola.
Oltrepassati gli sbarramenti, dopo 150 metri, potete imboccare a sinistra il primo accesso al mare e, fatti altri 110 metri, potete salire sulla destra fino alla sommità della più alta duna di Caroman dalla cui sommità, a 17 metri, potrete ammirare un vista di tutta l’isola di Pellestrina che non dimenticherete più. (Non ve la documento perché, caso straordinario per me, non ho mai fatto una foto da lì sopra.)
Se invece arrivate al mare vedrete il paradiso delle bevarasse (vongole) e i soliti fricchettoni che hanno dormito in spiaggia per vedere l’alba e pisolano ancora ignari, o magari ben allenati all’effetto che avrà sulla pelle del loro viso il mix di aria, luce, acqua e salsedine a cui si stanno incoscientemente esponendo.
Se non prendete il primo accesso al mare proseguite per qualche altro metro finché non vedrete sulla vostra sinistra un piccolo bunker: questo, quando la calura si fa insopportabile, è il posto giusto per fare la pennichella pomeridiana, all’asciutto e all’ombra di alte piante.
Ci salite sopra dal lato sud e vi trovate in una piazzola circondata da spessi muretti su cui potete stendervi e al risveglio piluccare le more più dolci che avrete mai assaggiato in vita vostra.
Se non è un pomeriggio estivo potete proseguire avendo sulla vostra destra quello che resta della “Colonia delle suore” di Caroman, su cui potete leggere sul sito di storiAmestre un reportage di Giannarosa Vivian.
Continuando sul sentiero principale arriverete al secondo accesso al mare e, se lo imboccate, passerete fra i bunker spesso usati come bagni di fortuna e di cui, quindi, è sconsigliata la visita ravvicinata.
Trent’anni fa, appena passata la “Colonia delle suore” si scendeva a destra in un prato di margherite che portava all’ingresso di Forte Barbarigo realizzato ai primi dell’Ottocento a completamento della difesa della bocca di porto di Chioggia. Adesso ci si fa largo fra la fitta vegetazione fino a intercettare un viottolo che porta davanti all’ingresso del forte ancora circondato da un bellissimo fossato.
Ritornati sul sentiero principale, duecento metri più avanti, arrivate alla fine dell’isola dove sono in corso i lavori per il Mose, e di fronte a voi c’è Chioggia.
Al di là del canale della bocca di porto c’è forte San Felice che sorge sul trecentesco sito del forte della Lupa ed è stato più volte rimaneggiato e rinforzato nei secoli seguenti, sopratutto tra i secoli XVI e XVII.
Arrivati qui non si può proseguire perché verso la laguna vi sono depositi di materiali del cantiere del Mose, mentre verso il mare c’è proprio il Mose a cui è proibito l’accesso ai non addetti ai lavori.
Non resta che ritornare sui nostri passi e arrivati alla postazione LIPU nei pressi dello sbarramento all’inizio dell’isola verificare che, come nel regno messianico di Isaia “il leopardo si sdraierà accanto al capretto” (Isaia 11,6), anche a Caroman il gatto se ne sta sdraiato accanto ai cuccioli di nutria, peraltro sotto l’occhio vigile di mamma nutria.
È l’ora di andarsi a sedere al chiosco dove più di un creativo si è sbizzarrito a realizzare opere d’arte affascinanti quanto effimere come il molo tastiera o a istoriare le pareti, come Giorgio Foresto che inizia i suoi versi con le parole “A noi ci basta l’acqua…”.
A noi gongolanti, invece, piace farci preparare uno spritz che amiamo sorseggiare davanti al quotidianamente rinnovato spettacolo del tramonto sulla laguna sud.
Basi grandi
Carletto da Camisan diventato venexian metropolitan
Nota. Sulla grafia del toponimo, va precisato che la versione Caroman – adottata qui – era in uso fino agli anni Sessanta del Novecento; solo da allora (e già nel Censimento del 1961, Istituto centrale di statistica, Roma 1965, p. 23), è comparsa e si è via via affermata la grafia “Ca’ Roman”.
Su Forte Barbarigo e Forte San Felice vedi Mauro Scroccaro, I Forti di Venezia: i luoghi del sistema difensivo veneziano, Mattioli 1885, Fidenza 2015, pp. 84-85.
L’autore dei versi “A noi ci basta l’acqua” è Giorgio De Gasperi (Giorgio Foresto): nacque a Milano nel 1927; studiò all’Accademia di Brera; nel dopoguerra collaborò come illustratore alla Domenica del Corriere e alla Illustrazione italiana, e in seguito al Reader’s Digest e a Epoca; nel 1970 lasciò Milano e si trasferì a Pellestrina con la pittrice bavarese Marlene Sturz, dapprima in una casa in rovina a Caroman e poi nel sestiere Vianelli a Pellestrina (in un appartamento ma per lunghi periodi in una palafitta sulla laguna); morì a Venezia nel 2012. Su di lui vedi Giorgio Foresto. Le opere segrete di Giorgio De Gasperi, a cura di Giovanni Scarpa, Il Leggio, Sottomarina-Venezia 2015 , con riproduzioni di alcuni dei suoi dipinti.