di Carlo Cappellari
Un’altra escursione nel centro storico di Mestre: nel “buco” comparso da anni al posto dell’ospedale Umberto I.
Il buco di Alì
Carissima Compagnia Gongolante,
anche questa settimana rimaniamo urbani per raccontare e documentare il più grosso buco del centro di Mestre. È stato il vecchio castello di Mestre, è stato un monastero dei frati veneziani di San Salvador, è stato l’Ospedale Umberto I, adesso è solo il buco del “signor Alì”.
Il “sig. Alì” si chiama in realtà Francesco Canella, titolare della catena di supermercati Alì, abbreviazione per “alimentari”, diffusa in Veneto ed Emilia con un fatturato annuale di oltre un miliardo di euro. L’anno scorso ha ricevuto una laurea ad honorem all’Università di Padova, in “italian food and wine” e, quindi adesso si può chiamare dott. Canella o anche dott. miliardo visto il fatturato.
Che ci farà il dott. Canella del buco che ha da poco acquistato all’asta del fallimento della precedente proprietà? In una intervista pubblicata sul Gazzettino del 6 maggio 2019, la stessa da cui ho ricavato i dati precedenti, Canella rivendicava anche l’attenzione per l’ambiente come costante, da sempre, delle sue politiche aziendali: “Siamo stati i primi a piantare alberi per difendere l’ambiente, 10.614 alberi piantati in tutti i territori dove siamo presenti”. Io sono fiducioso, ma l’improvvisa attività di macchine operatrici, lo scorso dicembre, mi ha fatto sorgere qualche apprensione e la curiosità di “andare a vedere”, cosa naturale per ogni iscritt* all’associazione storiAmestre che ce l’ha per motto.
Mi sono rivolto, quindi, a un amico che abita nella zona, il quale mi ha tranquillizzato dicendomi che si era trattato di una operazione di maquillage natalizio dell’area, gradita anche dagli abitanti di via Fabio Filzi , che finalmente possono guardare fuori dalle finestre verso nord senza vedere boscaglie inestricabili all’assalto dei pochi padiglioni rimasti dell’ex ospedale.
L’amico si è offerto di farmi da guida in una escursione nel “buco”, fornendomi prima di tutto due cartine che aiutano a orizzontarsi tra quello che ancora c’è da vedere dell’ex ospedale Umberto I°. Entrambe provengono da uno studio promosso qualche anno fa dal comitato cittadino Mestre Second Life, di cui la mia guida faceva parte, insieme allo IUAV di Venezia.
Siamo partiti dall’ingresso di via Circonvallazione imboccando via Antonio da Mestre con il bellissimo e insidiosissimo (per le radici affioranti) filare di bagolari; forse chi li ha piantati non sapeva che il nomignolo del bagolaro è “spaccasassi”.
Al di là del muro di cinta provvisorio si estende l’area rimasta vuota dopo l’abbattimento, nel 2009, delle parti più recenti dell’ospedale, costruite a partire dagli anni Sessanta e non vincolate come edificio storico; sullo sfondo si vede il condominio Donatello con sotto il lato ovest del padiglione costruito nel 1915, intitolato a Cesare Cecchini a ringraziamento di un lascito di 100.000 lire per la sua realizzazione (così leggo nell’articolo di Claudio Pasqual, L’ospedale Umberto I di Mestre, 1906-2008, pubblicato anni fa su questo sito).
Sulla sinistra c’è il primo edificio ospedaliero, realizzato nel 1906, intitolato al defunto prof. Tullio Pozzan, medico primario alla fondazione dell’ospedale. Il lato nord dell’area è delimitato dalle tramezze in alluminio che separano l’area adibita attualmente a parcheggio dal resto del complesso.
Sull’altro lato di via Antonio da Mestre c’è un altro pezzo di ospedale, nato come dispensario antitubercolare negli anni Trenta, che poi ha chiuso la sua “carriera” come sede del Centro Unico Prenotazioni (CUP). L’ex CUP è stato occupato nel 2018 dai ragazzi del “LOCO” (Laboratorio, Occupato, Contemporaneo) e, dopo un paio di sgomberi, murato.
A sinistra sul padiglione Cecchini si apriva, fino agli anni Sessanta, anche il vecchio ingresso che era una meraviglia con le due slanciate colonnine simildoriche.
Anche il lato est del padiglione Cecchini risulta sommariamente liberato dalle successive costruzioni non vincolate mentre il suo lato sud si affaccia su un parchetto, ultima propaggine di una bella area verde sopravvissuta, che è pubblico e aperto con anche un’accogliente tettoia apprezzata, mi dice la mia guida, dal piccolo spaccio della zona .
Via Antonio da Mestre abbraccia da tre lati il palazzo Donatello sotto il quale vi è la vecchia cabina della Cellina (13) e una relativamente recente costruzione probabilmente adibita a laboratori.
Dopo i laboratori c’è il parcheggio per accedere al quale si passa davanti al padiglione Rina De Zottis in Facchin, l’ultimo del nucleo storico dell’ospedale, completato negli anni Trenta, e da ultimo reparto di oncologia.
Il retro del padiglione De Zottis guarda il Marzenego, che anche la mia guida chiama “Oselin” (Osellino). Il passaggio fra parcheggio e padiglione De Zottis è allietato sulla sinistra dal parco pettinatissimo dai fedeli della parrocchia ortodossa rumena della Natività della Santissima Madre di Dio.
Dopo la chiesa c’è a sinistra quel che resta della Casa delle Suore e sulla destra il Marzenego con il ponte costruito dai frati veneziani di San Salvador per collegare il monastero con via Torre Belfredo, dall’altra parte del fiume, da cui si dipartono le strade per Castelfranco e Treviso. Ne abbiamo già parlato in occasione dell’escursione lungo il Marzenego urbano.
Tutto il resto è parcheggio.
La settimana scorsa abbiamo visto i due rami del Marzenego, questa settimana abbiamo visto il buco che l’ex ospedale ha lasciato nel mezzo. Se posso, avrei un suggerimento per il dott. Canella: festeggiare i suoi novant’anni, che cadranno negli ultimi giorni del 2020, piantando nel buco 386 alberi che con i 10.614 già messi in terra farebbero 11.000 tondi tondi.
Basi grandi
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