di Piero Brunello
Impressioni ricavate dall’ascolto della presentazione e dalla lettura del libro di Michele Zanetti, Fiume cave valli lagune. Ci fa piacere tornare ancora su questa pubblicazione, sia per l’argomento sia perché è uscita per festeggiare il quarantesimo anno di attività dell’Associazione Naturalistica Sandonatese: ci uniamo agli auguri.
Ho partecipato con molto interesse alla discussione del libro di Michele Zanetti, Fiumi cave valli lagune, organizzata da storiAmestre il 14 novembre, ripensando ai giorni precedenti di pioggia, frane e inondazioni nel Veneto e in molte regioni italiane, e riflettendo su discorsi e commenti sentiti in tv o letti nei giornali a proposito di “bombe d’acqua” e di “effetti del maltempo”.
Le piogge di novembre, largamente prevedibili perché di stagione, anche se molto più intense della media, hanno avuto le conseguenze drammatiche che sappiamo; e davanti a tutto questo gli amministratori locali, dai sindaci ai presidenti di Regione, hanno chiesto la proclamazione dello “stato di calamità naturale”, facendo la voce grossa in nome di un’amministrazione innocente a cui la politica fa mancare i fondi necessari.
D’accordo sull’urgenza d’intervenire nel momento del pericolo. Ma qui si aspetta l’evento atmosferico, come se fosse quella la causa dei disastri, invece di proclamare lo stato di calamità naturale quando il territorio viene distrutto giorno dopo giorno a suon di circolari, varianti e financing project: il problema vero è infatti la gestione quotidiana del territorio, con la caccia sistematica all’ultimo lembo di terreno agricolo e di golena… Piove e si grida all’emergenza, “si fanno ricognizioni”, “si contano i danni”, si dichiara che “lo stato d’allerta è massimo”; soprattutto si spera che torni presto il bel tempo. Ma dopo che le acque sono defluite, è allora che comincia l’emergenza: è allora che si dovrebbero organizzare ricognizioni, è allora che andrebbe proclamato lo stato d’allerta. Finito di piovere, non si torna alla normalità: no, ripiombiamo in quella calamità che è da decenni la gestione del territorio. È allora che si dovrebbe cominciare a calcolare i danni che essa provoca.
Il libro di Michele Zanetti e la discussione, alla quale partecipava tra gli altri Francesco Vallerani autore della prefazione al libro, conferma che è la gestione quotidiana a compromettere l’assetto idraulico del territorio, e a provocare o a rendere più drammatici i disastri causati dal maltempo e da eventi atmosferici che negli ultimi anni diventati più intensi. Nelle sue Brevi considerazioni in premessa Zanetti scrive che il libro nasce dalla “consapevolezza di un’emergenza permanente, anche di carattere culturale e anche su scala locale, riguardante l’acqua” (p. 11). Gli esempi riguardano molti aspetti: l’inquinamento dei fiumi e delle falde; l’uso del diserbo chimico Simazina praticato nei fossi “per almeno due-tre decenni” dai Consorzi di bonifica, e fino a qualche anno fa; la produzione e il consumo di acqua minerale “i cui costi energetici e ambientali risultano molto elevati” (p. 11); gli scarichi agrari, fognari e industriali; la costruzione di “estese massicciate di sponda”, come nel caso del Monticano (p. 107); la canalizzazione rettilinea dei fiumi, per esempio dell’alveo del Piave “per un tratto di alcuni chilometri, in corrispondenza del medio corso fluviale”, con il risultato che “il deflusso delle acque di piena subisce una sensibile accelerazione” che può determinare “lo scavalcamento delle anse fluviali e produrre gravi fenomeni erosivi nel tratto a valle”; l’impermeabilizzazione dei suoli; la “ingessatura” degli alvei (pp. 203-204)…
Non che manchino indicazioni e suggerimenti concreti. Nelle conclusioni Zanetti ricorda a questo proposito il convegno organizzato nel 2010 da storiAmestre, “Acque alte a Mestre e dintorni”, che ha avuto il merito, scrive, di affrontare la tematica “in termini interdisciplinari”, indicando misure da intraprendere: “allargare le fasce golenali”, lasciare a prato i prati esistenti o crearli, convogliare parte del picco di piena nelle cave, “ricostruire ambienti di prateria golenale in aree in cui le stesse aree verdi e in particolare i prati, subiscono una costante contrazione a favore delle aree urbanizzate” (pp. 205-206).
Come ha già fatto capire Carlo Miclet presentando il libro nel sito, l’invito di Zanetti (ma anche del convegno di storiAmestre nel 2010) è di ridurre la scala di osservazione, un po’ come fanno certi studi di storia. Mentre cioè le grandi opere tracciano linee su carte geografiche in cui sono segnate le infrastrutture più rilevanti, la salvaguardia del territorio e del paesaggio ha invece bisogno, come scrive Vallerani, di “considerare con umile attenzione i minimalismi morfologici”, “in netta antitesi con l’inadeguata cultura del gigantismo prometeico delle grandi opere che sembra più occultare la mancanza di capacità innovativa che esprimere la fattiva capacità di risolvere le sempre più vive emergenze ambientali del vivere quotidiano” (p. 8). È questo il senso delle carte topografiche che corredano le schede nel libro. Non tutti sanno disegnarle come Zanetti, ma tutti noi possiamo adottare il punto di vista che esse richiedono.
Giovanna Lazzarin dice
Come ben spiegano Piero Brunello e Carlo Miclet, Michele Zanetti invita a osservare da vicino e a proporre e fare anche piccole azioni di cura dell’ambiente. Ci sono associazioni che adottano tratti di fiume – ho presente “la Salsola” o la pro loco di Martellago per il Marzenego, “la siepe” per il Dese. Fabrizio Zabeo e il comitato allagati di Favaro hanno adottato la fossa Pagana e hanno smosso mari e monti perché fosse sistemata e non fosse più la causa degli allagamenti, Mario Tonello percorre a piedi fiumi, fossi, canali e poi mette nel sito apassitardielenti.it le sue scoperte per restituire la bellezza di quei luoghi. Queste azioni fanno bene alla salute, alla socialità, alla conoscenza e anche allo stato d’animo, aprendo uno spiraglio di speranza in questo reo tempo.
stefano borgarelli dice
Quali le carte politiche da giocare, con le carte (di Zanetti) sul tavolo?…