di Lucio Sponza
Il nostro amico e socio Lucio Sponza, che a lungo ha lavorato e vissuto in Inghilterra, ci ha mandato la sua lettura di un libro recente della storica Selina Todd dedicato alla “ascesa e caduta della working class”. Con uno sguardo alla crisi sociale e politica attualmente in corso in Gran Bretagna.
1. Gli inglesi sono ossessionati dal concetto e dalla realtà delle classi sociali. La cosa non sorprende se si pensa che buona parte della ricchezza fondiaria, immobiliare e finanziaria è nelle mani della stessa aristocrazia da circa mille anni al vertice dello Stato. Le differenze di classe si manifestano, oltre che negli aspetti materiali e socio-culturali, anche nella lingua. Non è un caso che il “perfetto” inglese sia indicato come “Upper-class English” o addirittura come “Queen’s English”.
La classe, e la classe lavoratrice (working class) in particolare, sono state oggetto di riflessione e di analisi da parte di storici, sociologi, politici e scrittori di questo paese fin dalla metà del XIX secolo. Dato poi che il mondo contadino è diventato del tutto marginale già alla fine di quel secolo, è sulla working class operaia che l’attenzione si è concentrata.
2. Qualche anno fa è uscito un libro innovativo su questo argomento, lo ha scritto Selina Todd, una storica dell’Università di Oxford; è intitolato The People. The Rise and Fall of the Working Class (John Murray, London 2014; seconda ed. 2015). Sono necessarie alcune precisazioni rispetto a quel che dice il titolo. L’arco di tempo considerato è il secolo tra il 1910 e il 2010; l’ambito geografico è la Gran Bretagna (con prevalenza dell’Inghilterra); people è espressione ambigua che non corrisponde esattamente al nostro “popolo” (parola generica e frequentemente strumentalizzata da demagoghi) e vuol dire piuttosto “cittadini” nella accezione francese di citoyens, cioè classe popolare consapevole dei propri diritti e attiva nella realizzazione di riforme progressiste.
Selina Todd presenta la classe come “una relazione definita dalla diversa distribuzione del potere, piuttosto che un modo di vivere e una cultura che non cambia”, e dà voce a molte persone di questa classe sia esaminandone i diari e le memorie scritte per gli anni più lontani, sia intervistandole. In questo caso ne sollecita la percezione della loro appartenenza sociale, chiedendo di qualificarne le caratteristiche. Dato l’ampio arco di tempo preso in considerazione, questo approccio contribuisce a mettere in luce il cambiamento di tale percezione nel contesto dei mutamenti economici, sociali, politici e culturali dei cento anni in questione. È anche necessario aggiungere che Todd dà molto spazio alle donne.
Può sorprendere venire a sapere che se nel 1910 la stragrande maggioranza dei lavoratori e lavoratrici appartenevano alla categoria dei “dipendenti”, lo stesso vale per il 2010 – anche se, ovviamente, la “dipendenza” di allora era molto diversa da quella dei nostri giorni. Non meno sorprendente appare la percentuale dei datori di lavoro, che rappresentavano il 3% degli occupati nel 1910 contro il 4% nel 2010. Sembrerebbe dunque che se in un certo senso tutto è cambiato, non lo sia poi tanto.
3. Il libro è diviso cronologicamente in tre parti, ognuna caratterizzata da una condizione prevalente nella classe lavoratrice: “Servants, 1910-39”, “The People, 1939-68”, “The Dispossessed, 1966[sic]-2010”.
Nel primo periodo il lavoro domestico – svolto principalmente da giovani donne – era ai vertici dell’occupazione nazionale. Le cose cominciarono a cambiare negli anni Venti per la crescente attrazione di lavori alternativi in botteghe, grandi magazzini e uffici; si trattava di lavori subordinati al più basso livello, ma che consentivano in qualche modo di avere maggiore libertà e una certa autonomia. Non solo: come conseguenza di queste diverse possibilità di impiego, in chi rimaneva nel servizio domestico si manifestava un sentimento di indipendenza e anche di ribellione.
L’azione di ribellione più drammatica da parte di gran parte della classe operaia fu lo sciopero generale del 1926. All’origine di questo sciopero ci furono imposizioni salariali e normative più gravose sui minatori, per la rivalutazione della sterlina imposta da Winston Churchill (allora Cancelliere dello Scacchiere, cioè ministro dell’economia). Alla fine lo sciopero fallì, ma mai come in quella circostanza i vertici dello Stato e del mondo economico – oltre che la piccola e media borghesia – temettero di dover affrontare una rivoluzione.
Una delle principali conseguenze dello sciopero generale, scrive Todd, fu che il movimento operaio abbandonò la via rivoluzionaria per seguire quella parlamentare e costituzionale. Un’altra fu la vittimizzazione dei minatori militanti, che vennero licenziati proprio quando stava per arrivare la grande crisi economica mondiale tra la fine degli anni Venti e i primi anni Trenta. La diffusa disoccupazione indebolì ulteriormente il fronte sindacale e operaio, contribuendo ad approfondire il solco fra gli strati popolari e le classi abbienti. Al tempo stesso, però, se a essere maggiormente colpita era la componente maschile dei lavoratori, molte loro figlie entrarono nel mondo del lavoro e talvolta finirono per essere la sola fonte di reddito dell’intera famiglia.
Todd sostiene che ci furono due fondamentali punti di svolta nella vita dei lavoratori nel corso del XX secolo: il primo fu conseguenza della seconda guerra mondiale e costituisce l’argomento centrale della seconda parte di questo libro, il secondo sarebbe avvenuto negli anni di Margaret Thatcher.
Con il governo laburista guidato da Clement Attlee iniziò un lungo periodo di (quasi) piena occupazione e di solido e diffuso welfare state. Anche per questo c’era chi sosteneva che la classe operaia era in via di estinzione, dal momento che tutti miravano a diventare “classe media” – che voleva dire aspirare a una casa decente, all’automibile, alla televisione, ai vari elettrodomestici e magari anche a una piccola vacanza estiva in una località di mare (della Gran Bretagna).
Qualcuno ha definito gli anni Cinquanta “l’età dell’oro della mobilità sociale” in questo paese. Todd offre testimonianze in tal senso, ma spiega anche che la struttura di classe della società britannica non fu scalfita da questo relativo benessere. I governi laburisti del dopoguerra (1945-51) non solo non cercarono di eliminare il settore privato nell’istruzione – che rappresenta la base del consolidamento dei privilegi sociali ed economici –, ma non riuscirono neppure a introdurre un unico sistema di istruzione secondaria pubblica, che finì per dividersi fra “secondary modern school” e “grammar school”. Per accedere a quest’ultima era necessario superare un esame impegnativo (come da noi era l’esame di ammissione prima dell’introduzione della scuola media unica), e solo pochi alunni e alunne della classe lavoratrice superavano la prova. Todd fornisce numerose testimonianze di questo insuccesso e delle conseguenze sullo stato d’animo e sul percorso di vita dei protagonisti e delle loro famiglie.
Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio del decennio successivo la classe operaia fu per la prima volta oggetto di attenzione “operatori culturali” come scrittori e registi cinematografici. Ne ammiravano la (più o meno) consapevole volontà di sfidare le convenzioni e le gerarchie sociali. Si trattava di una sfida lanciata da giovani appartenenti a quella classe e che avevano avuto successo negli studi, arricchendo il panorama culturale del paese con la loro esperienza di vita. Todd chiama questa generazione working-class heroes, e le loro testimonianze sono preziose.
Nella terza e ultima parte del libro l’atmosfera si incupisce. Si incontra il secondo importante punto di svolta del XX secolo: l’avvento al potere di Margaret Thatcher (1979). Tra la fine degli anni Sessanta e la prima metà dei Settanta le relazioni industriali manifestavano uno stato di quasi permanente tensione. La vivacità e il desiderio di autonomia dei giovani che entravano a lavorare nelle fabbriche li trasformavano in militanti decisi a far valere le loro rivendicazioni, anche davanti alle perplessità dei dirigenti sindacali. “Fra il 1965 e il 1975 – scrive Todd – in Gran Bretagna ci furono in media 2885 scioperi all’anno”.
Nel 1977 entrarono in sciopero i dipendenti di una fabbrica londinese di prodotti plastici. Si trattava in gran parte di personale femminile, giovane e di origine indiana. Jayaben Desai, più matura per età delle compagne, ne diventò la portavoce e il simbolo della lotta. Lo sciopero era stato motivato dal rifiuto dei dirigenti di trattare con loro di paghe e di condizioni di lavoro, e di impedire loro l’iscrizione ai sindacati. Fu la prima ribellione di donne e di immigrate, ritenute più remissive, che si estese ai compagni (immigrati e non); durò un anno, ma alla fine fu sconfitta, con la conseguenza di molti licenziamenti. Al governo c’erano i laburisti, ma ancora per poco: arrivò il momento (che durò undici anni) di Margaret Thatcher.
La sua missione era di stimolare la crescita economica ristabilendo “la legge e l’ordine”, sia nel mondo del lavoro che nella società, mirando particolarmente alla sottomissione dei sindacati e del movimento operaio. L’astro appannato di John Mainard Keynes, che era diventato il punto di riferimento socialdemocratico, fu sostituito da quello nascente di Milton Friedman e del neoliberismo monetarista, con conseguenze deflazionistiche. Il conseguente forte aumento della disoccupazione avrebbe forse fatto cadere Margaret Thatcher, se non fosse intervenuta la guerra delle Falklands a ridare prestigio al governo, solleticando il mai sopito spirito nazionalista britannico – a cui aderirono anche i/del tutto condiviso anche dai laburisti.
Con il rafforzamento del proprio governo alle elezioni successive (1983), Thatcher si preparò a una battaglia campale contro il “nemico interno” rappresentato dall’ultimo bastione della classe operaia tradizionale: i minatori (il settore minerario era stato nazionalizzato dal governo laburista del primo dopoguerra). Fu annunciata la chiusura di venti miniere, con la perdita di 20mila posti di lavoro. La National Union of Mineworkers dichiarò lo sciopero. Todd non ha dubbi che all’origine della decisione del governo non ci fosse tanto ragioni economiche bensì l’intenzione di colpire duramente il movimento operaio. Furono impiegate grandi forze di polizia, intimidazioni, finanziamenti a minatori che non condividevano la decisione del sindacato, e altre tattiche per dividere il fronte dei lavoratori. Lo sciopero fu sconfitto dopo un anno di scontri (tra il 1984 e il 1985). Una lotta tanto prolungata da parte dei minatori fu possibile grazie al sostegno delle famiglie, con le donne in prima fila accanto ai loro uomini e l’appoggio materiale e morale dei compaesani.
Intanto, sempre a metà degli anni Ottanta e per la prima volta nella sua storia, la Gran Bretagna importava più prodotti industriali di quanti ne esportasse (in valore); il settore terziario avanzato, e in particolare quello finanziario con al centro la City di Londra, dominava l’economia con alti profitti e plasmando una cultura speculativa.
Margaret Thatcher si avviava alla sua terza vittoria elettorale nel 1987, ma tre anni dopo la sua caparbietà nel perseguire misure politiche divisive che minacciavano le sorti del suo stesso partito la spinsero alle dimissioni. Il suo successore, John Major, dichiarò che il suo obiettivo era quello di creare una società senza classi e la sua inattesa vittoria elettorale nel 1992 sembrò dare credito a questa affermazione: i conservatori vinsero anche in numerosi collegi elettorali di tradizione laburista.
D’altra parte, quando ritornarono al potere con Tony Blair (1997), i laburisti avevano fatto propria la parola d’ordine del perseguimento di una “terza via fra il socialismo e il capitalismo”. Ci fu una ripresa dell’economia con espansione dell’occupazione, ma anche con la diffusione del lavoro a tempo parziale, della “flessibilità” e della precarizzazione. “Nel 2010 – scrive Todd – la gente prestava meno importanza alla classe e all’ineguaglianza per dare una spiegazione delle proprie vite/condizioni di vita”. In molti aveva fatto breccia l’opinione che si è fondamentalmente responsabili delle proprie condizioni sociali; venivano esaltate le qualità individuali piuttosto che lo spirito collettivo.
Eppure, in un capitolo conclusivo, aggiunto alla seconda edizione del libro, Selina Todd afferma che la Gran Bretagna non solo rimane una società profondamente divisa in classi, ma anche che – aldilà della percezione che se ne può avere – il divario fra ricchi e poveri si è talmente allargato da ritornare a quello che era all’inizio del XX secolo. La classe non è un’identità ma una relazione di potere ineguale, ripete Todd, e continua a caratterizzare la società odierna. Se l’espressione “classe lavoratrice” può apparire superata, come può esserlo il suo senso di appartenenza tradizionale, è anche più diffusa la consapevolezza della crescente diseguaglianza economico-sociale. Questa consapevolezza rappresenta da un lato un potenziale di cambiamento, e dall’altro insoddisfazione, ansietà per il futuro e avversione a ogni forma di privilegio.
4. The People è uscito in seconda edizione alla vigilia delle consultazioni politiche del 2015, vinte con maggioranza assoluta dai conservatori. Nel loro programma elettorale era stata inserita la promessa di indire un referendum a favore o contro la permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea. Fiducioso dell’esito pro-UE, il confermato primo ministro e capo del partito conservatore, David Cameron, mirava a eliminare una volta per sempre il fascino che il partito sovranista di Nigel Farage esercitava sull’elettorato più conservatore e tradizionale (solo il sistema uninominale britannico ne aveva impedito il successo in termini di seggi parlamentari).
Conosciamo l’esito del referendum (giugno 2016), e la crisi politico-costituzionale che sta mortificando tuttora (settembre 2019) la Gran Bretagna. Probabilmente ne è rimasta inorridita la stessa Selina Todd, anche se le sue ricerche e la sua analisi giungevano alla conclusione che esistono profonde lacerazioni nella società britannica: dal punto di vista geografico (grandi centri urbani contro periferie; nord deindustrializzato ed emarginato contro sud moderno e prospero), generazionale (molti giovani, a favore dell’UE, non sono andati a votare), economico (in termini di reddito e di benessere), socio-culturale (grado di istruzione e di integrazione sociale attraverso il lavoro), e anche proprio di classe – che in non piccola misura fa da sintesi a questa complessità.
Faarah dice
Ottima informazione. Grazie mille. Sto guardando il film a puntate: DOWNTOWN ABBEY su PRIME, e molto di quel che si vede concorda con l'opera dell'autrice.