di Aldino Bondesan (a cura di Maria Giovanna Lazzarin)
Presentiamo una sintesi degli interventi tenuti da Aldino Bondesan, ricercatore all’università di Padova, il 3 ottobre 2009 e il 20 febbraio 2010, rispettivamente al primo seminario e al convegno conclusivo del laboratorio “Acque alte a Mestre e dintorni”, a cura di Giovanna Lazzarin.
Le alluvioni che interessano Mestre e dintorni sono un po’ particolari. Non sono come le alluvioni dei grandi fiumi, non come la rotta del Po come nel Polesine, quelle dell’area di Mestre sono invece collegate a problemi in primo luogo infrastrutturali: all’insufficienza delle reti di scolo e delle reti fognarie, all’estesa urbanizzazione e alla conseguente impermeabilizzazione delle superfici, cui non è seguita un’adeguata ristrutturazione delle reti stesse. Questo è un dato di fatto che va e andrà affrontato. Tuttavia il contesto geomorfologico e idrogeologico enfatizza le conseguenze delle precipitazioni estreme che abbiamo avuto e condiziona la gestione del territorio. Per questo è importante conoscere i fattori geologici che influenzano la gestione degli allagamenti.
1. La formazione della pianura veneta
Noi ci troviamo nella pianura veneto-friulana, che ha delle caratteristiche geomorfologiche diverse dalla pianura padana, perché i rilievi alpini e prealpini sono molto vicini all’arco costiero, quindi tutti i processi si sviluppano in un tratto di pianura molto stretto. Per spiegare la formazione della pianura veneta bisogna risalire all’Ultimo Massimo Glaciale, cioè a un periodo, tra 30.000 e 17.000 anni fa, in cui il mare Adriatico si trova in una posizione arretrata – circa 120 m. più in basso di oggi – perché l’acqua è immobilizzata nelle grandi calotte glaciali. In questa fase vi è una grande disponibilità di acqua, perché i ghiacciai sono continuamente soggetti ad accumulo e a fusione; vi è una grande disponibilità anche di sedimenti, perché il ghiacciaio ha una potenza enorme, in grado di divorare montagne. Questi sedimenti quindi abbandonano i rilievi e vengono trasportati e sedimentati in pianura, cioè allo sbocco dei ghiacciai, veicolati da abbondanti acque di fusione; i principali fiumi alpini, quando arrivano in pianura, tendono ad distribuire i propri sedimenti formando dei grandi ventagli (conoide o megafan) e questo avviene per rotte successive: i corsi d’acqua tendono a cambiare di volta in volta il proprio percorso andando ad occupare le aree più depresse dove non c’è stata sedimentazione.
Questi spostamenti vengono a formare parti di pianura che hanno la forma di una sezione di cono: sono scarsamente visibili a occhio nudo, perché si parla di pendenze di qualche unità per mille. Per un osservatore a terra, la pianura è piatta. In realtà, se studiamo l’altimetria della pianura con una carta tecnica regionale, abbiamo la possibilità di apprezzare questi minimi dislivelli e di ricostruire queste grandi forme. Ciascun corso d’acqua alpino, ciascun ghiacciaio che sbocca in pianura forma il proprio conoide e la pianura si può immaginare costituita da un collage di questi conoidi o “megafan”: il megafan del Tagliamento, del Piave di Nervesa, distinto da quello di Montebelluna che è più antico e il grande megafan di Bassano o del Brenta che è quello che ci interessa più da vicino, perché di fatto larga parte della laguna di Venezia e tutto l’entroterra veneziano sono stati generati dal fiume Brenta. Questa porzione di pianura cessa di formarsi circa 16.500 anni fa, è una sorta di pianura “fossile”. Dopo non vi sono più fiumi importanti che depositano e ne modellano la morfologia; dopo sulla superficie scorrono solamente i fiumi minori: il Lusore, lo Zero, il Dese, il Marzenego, il Sile.
Le principali direttrici di deflusso tardo-pleistoceniche del Brenta, nell’area compresa tra Sile e Naviglio Brenta.
2. La bassa e l’alta pianura
C’è una distinzione importante tra alta e bassa pianura, che ha conseguenze dirette sugli allagamenti di Mestre. Quando i fiumi in alta pianura escono dalle valli alpine, formano un alveo a canali intrecciati: letti molto larghi, ghiaiosi, formati da tanti canali che s’incrociano; questo perché l’acqua e i sedimenti sono incanalati all’interno della valle alpina, poi nel momento in cui si allargano in pianura perdono energia. Il paragone che si fa spesso è quello del tubo che usiamo per innaffiare: se ci metto il dito davanti diminuisco la sezione e avrò lo spruzzo che arriva lontano. Se tolgo il dito, allargo la sezione e c’è subito una caduta di energia. Così il fiume all’interno della valle alpina ha molta energia e porta fuori i sedimenti; quando esce dalla valle la sezione aumenta, perde energia e perciò abbandona i sedimenti più grossolani, ghiaie e ciottoli.
Tutta l’alta pianura è formata da ghiaie e ciottoli più o meno sabbiosi. Quando l’energia decresce, il fiume è in grado di trasportare solo i sedimenti fini, finché comincia a sedimentare anche questi e in bassa pianura – come a Mestre dove noi ci troviamo – abbiamo sostanzialmente limi e argille, cioè sedimenti poco permeabili o impermeabili. Possiamo trovare anche sabbie, ma queste sono concentrate lungo i percorsi fluviali. Se noi dobbiamo cercare l’acqua nel sottosuolo, ad esempio per costruire un pozzo, in alta pianura dovremo andare a una profondità sufficiente per intercettare l’acquifero (il corpo geologico in grado di trattenere l’acqua), in bassa pianura dovremo attraversare gli strati impermeabili per raggiungere quelli permeabili, che saranno sabbiosi.
Nell’alta pianura abbiamo un’unica falda freatica, cioè dell’acqua che occupa i vuoti tra ghiaie e ciottoli nel sottosuolo (dunque non un fiume sotterraneo, come si immagina, ma una sorta di spugna che contiene acqua al suo interno); nella bassa pianura avremo un sistema multifalda, cioè diverse falde acquifere ospitate in ciascun strato sabbioso o ghiaioso del sottosuolo, alternate a sedimenti fini impermeabili. Questa distinzione è la chiave dell’idrogeologia della pianura.
3. La fascia delle risorgive
Tra l’alta e la bassa pianura c’è una sorta di setto impermeabile, un punto di troppo pieno, una soglia oltre la quale l’acqua viene in superficie e comincia a scorrere all’esterno. È la nota fascia delle risorgive, che dal Carso arriva fino in Piemonte e marca il limite tra alta e bassa pianura. In corrispondenza di questa fascia abbiamo la venuta a giorno delle acque sotterranee, si forma il reticolo di corsi d’acqua di risorgiva. A monte della fascia delle risorgive i terreni sono permeabili, l’acqua tende a infiltrarsi nel sottosuolo;a valle della fascia delle risorgive le acque sotterranee vengono a giorno, i terreni sono sostanzialmente impermeabili o poco permeabili e i fiumi di risorgiva scorrono in superficie per arrivare al mare; sono i corsi d’acqua che ci interessano più da vicino: Lusore, Musone, Marzenego, Dese, Zero, Sile.
4. I depositi marini
Però siamo vicini al mare e abbiamo delle lagune, quindi non c’è, nella genesi della pianura, solo l’apporto da monte, dobbiamo considerare anche l’apporto da mare, cioè l’influenza che la variazione del livello del mare ha nella formazione di sedimenti. Prima abbiamo visto che il mare all’incirca 20.000 anni fa si trovava 120 metri più basso dell’attuale. Con la deglaciazione – circa 18.000 anni fa – si rende disponibile acqua non più allo stato solido, sotto forma di ghiaccio, ma acqua libera, quindi i mari tendono a risalire e attorno a 6.000 anni fa il mare raggiunge quasi la posizione attuale e comincia a formare delle spiagge, a depositare delle sabbie.
Se, ad esempio, andiamo a condurre una perforazione al Lido, troviamo 15-20 metri di sabbie sotto i litorali, sono le sabbie depositate negli ultimi 5-6.000 anni. In posizione arretrata, come accade oggi, esistevano le lagune, dove abbiamo avuto deposizione di sedimenti palustri o lagunari, di acqua dolce o salmastra. Questa è la situazione nella quale ci troviamo oggi. Vuol dire che gli attuali insediamenti si trovano al di sopra della vecchia pianura pleistocenica, che è composta da sedimenti fini impermeabili, salvo la presenza di sabbie in corrispondenza dei principali assi fluviali, da sedimenti palustri o lagunari oppure da depositi costieri.
5. Il caranto
La pianura nella terraferma veneziana si disattiva 16.500 anni fa. Questo vuol dire che per 10.000 anni su questa pianura fossile han potuto agire i processi esogeni, le piogge, il sole, e si è formato un suolo indurito, quello che a Venezia prende il nome di caranto. Il caranto costituisce il suolo che si è formato sulla vecchia superficie pleistocenica. A Venezia il caranto è importante perché si forma in corrispondenza dei sedimenti fini: qui si depositano dei carbonati di calcio, si forma una superficie dura e impermeabile. Il caranto non si è formato dappertutto, perché dove c’è sabbia non si forma il caranto; però dove si forma abbiamo una sorta di pavimento che è esposto, se andiamo a monte, oppure è sepolto – a Mestre, a Marghera si trova a 1-5 metri di profondità, al Lido fino a 10-15 metri – e costituisce un livello impermeabile che, dal punto di vista idrogeologico, isola le acque superficiali dalle acque che si trovano nelle falde acquifere del sottosuolo. Questo setto impermeabile è abbastanza importante.
6. I dossi fluviali
Abbiamo detto che la pianura si forma per spostamenti successivi dei corsi d’acqua. Oggi siamo in grado di ricostruire le ultime direttrici del Brenta, un Brenta che nelle sue ultime fasi scorreva e poi si spostava lateralmente costruendo un dosso fluviale, cioè un’area debolmente rilevata: un metro, un metro e mezzo, per una larghezza di 1 o 2 chilometri. Noi non abbiamo la percezione di un rilevato, però questa discontinuità c’è: se io faccio una sezione trasversale al dosso di Scorzè (lungo la direttrice che porta a Martellago-Zelarino) vedo che su una distanza di 1 km e mezzo ho un metro o qualcosa di più di dosso. In un’area dove abbiamo poca pendenza, un dislivello di 1-2 metri comincia a essere significativo, e infatti ha influenzato tutto l’insediamento antico. In Friuli sopra i dossi pleistocenici abbiamo i villaggi neolitici. Se ci spostiamo dietro Venezia, questi dossi tendono a concentrarsi tutti nell’area urbana di Mestre e sono tutti molto antichi, come il dosso Mirano-Spinea, lungo il tracciato che porta a Chirignago e Mestre. Il più giovane ha 16.500 anni. Questo sistema di dossi è in grado di compartimentare la pianura: in una pianura che è molto piatta, questi dossi creano delle discontinuità in grado di contenere dei bacini idraulici sulla superficie. Questo vuol dire che dal punto di vista idrogeologico abbiamo aree chiuse che non consentono lo scorrimento delle acque da una parte e dall’altra.
Naturalmente una barriera molto più importante allo scorrimento delle acque è data dai rilevati artificiali: strade, autostrade, ferrovia, edificato. E di questo bisogna tener conto. Ma anche la situazione geomorfologica è sfavorevole: abbiamo terreni poco permeabili, pendenze molto basse, aree chiuse dai dossi fluviali oppure dai terrapieni viari, quindi sub-bacini chiusi nel territorio.
7. Idrogeologia del sottosuolo
Se, fatte queste premesse geologiche, andiamo velocemente a vedere la stratigrafia del sottosuolo e le implicazioni nell’idrogeologia, la situazione non si presenta così semplice e regolare come si pensava solo fino al 2009, quando il modello idrogeologico di Mestre e Marghera era quello di strati regolari, falde omogenee, come una torta a strati. In realtà questo modello è valido per l’isola di Fusina, dove era stato elaborato, ma se andiamo a vedere la ricostruzione del sottosuolo in un’area più ampia, dal Petrolchimico alla darsena della Pietà, a volte la falda è unica, a volte è doppia, a volte manca. C’è una forte variabilità nel sottosuolo perché c’è una forte variabilità nella formazione della pianura.
Quali sono le influenze di questo substrato geologico e di questa presenza di acque nel sottosuolo nei fenomeni di inondazione e di allagamento? Si presentano tre casi.
A. Terreni impermeabili in superficie, quando abbiamo il caranto in superficie. Quando abbiamo una precipitazione, la prima acqua che scende viene convogliata negli invasi, va a raccogliersi nella rete di scolo o nei bacini di laminazione, nelle aree deputate alla raccolta delle acque superficiali, se ci sono. Ma se quest’acqua non viene smaltita rapidamente dal sistema, perché abbiamo detto che le pendenze sono quel che sono e la rete di bonifica col prelevamento meccanico non è sufficiente a smaltire queste acque, non abbiamo nessuna possibilità di infiltrazione nel sottosuolo e quindi abbiamo la tracimazione dei fossi e l’inondazione.
B. Terreni impermeabili, ma il caranto si trova a 1-5 metri di profondità e sopra possiamo avere dei sedimenti più grossolani, parte dei sedimenti lagunari o sedimenti sabbiosi generati dalle ultime direttrici fluviali del Brenta. È quella che a Marghera – dove questi sedimenti non sono naturali ma sono i riporti artificiali realizzati per le casse di colmata – viene chiamata la falda nel riporto. In questo caso se abbiamo una precipitazione abbondante e l’acqua non viene rapidamente e interamente smaltita, ci sarà una infiltrazione nel sottosuolo. L’acqua va a formare una falda acquifera nel sottosuolo, che sarà poco spessa e via via che tutti i vuoti vengono occupati, si avrà la saturazione e quindi ancora una volta l’inondazione.
C. Terreni permeabili. Ci sono delle zone, ad esempio l’area centrale di Mestre o l’area di viale San Marco, dove abbiamo fino a 20 metri di sabbie nel sottosuolo, quindi saremmo nella condizione favorevole. Se buttate acqua in un secchiello di sabbia quando siete al mare o su un mucchio di sabbia quando si fa la malta, la sabbia assorbe l’acqua. Ma abbiamo un problema, siamo in bassa pianura e la falda è superficiale, quindi vuol dire che, anche se abbiamo una grande capacità di assorbimento, in realtà questo contenitore è già riempito d’acqua naturalmente, ed è acqua che proviene da monte. Quindi la superficie della falda si comporta come fosse una superficie impermeabile, in pratica dà la possibilità al sistema di assorbire solo la parte eccedente superiore alla falda acquifera e quindi si ripropone il caso precedente: precipitazione, riempimento degli invasi, infiltrazione nel sottosuolo, sia dal sistema di scolo sia dalla superficie, quando questa è disponibile, saturazione della parte insatura e, quando il sistema non è più in grado di assorbire o di convogliare le acque, abbiamo l’inondazione.
Quindi i diversi casi di substrato geologico convergono tutti verso una difficoltà di assorbimento nel sottosuolo.
Concludendo i problemi idraulici dal punto di vista dei fattori geologici sono:
* quote del terreno molto prossime o inferiori al livello del mare: questa è una zona di bonifica vicino alla costa e in molti casi i terreni si trovano anche al di sotto del livello del mare con la difficoltà di portar fuori l’acqua attraverso le idrovore;
* pendenze molto scarse, per cui l’acqua ha difficoltà a defluire superficialmente;
* sedimenti fini poco permeabili, per cui l’acqua, se non la portiamo via, tende a ristagnare; ricordo che a Portogruaro, sarà forse un anno fa, l’acqua rimase forse per un mese lungo l’autostrada, perché non c’era la possibilità di portarla via artificialmente;
* aree chiuse con deflussi difficoltosi, falda freatica superficiale che tra l’altro è in equilibrio con la superficie lagunare ed essendo prossima alla laguna, tende ad oscillare con essa.
Quindi le inondazioni nella nostra area non sono le alluvioni dei grandi fiumi, ma il fatto che siano legate ai fiumi minori o alla rete di scolo non rende il problema meno grave. Il meccanismo però è diverso. I problemi sono prevalentemente infrastrutturali: insufficienza delle reti di scolo e fognarie, difficoltosa gestione dei corsi d’acqua minori, urbanizzazione e impermeabilizzazione delle superfici che hanno accelerato enormemente i processi.
Gli strumenti urbanistici attuali, grazie anche all’attività del Commissario, funzionano abbastanza bene: l’invarianza idraulica, uno dei principi dell’attuale programmazione, è il modo corretto per affrontare la gestione del territorio. Il problema è che in precedenza non è stato fatto, quindi l’attività che si sta facendo ora è una sorta di recupero difficile e ci vorrà del tempo per bilanciare – ammesso che ci si riesca.
Stante questa situazione, il contesto geomorfologico e idrogeologico non fa che enfatizzare le conseguenze delle precipitazioni eccezionali, e non solo: condiziona anche gli interventi di mitigazione che sono attuabili. Se in alta pianura sono in condizione critica, posso fare un bacino di laminazione con la possibilità di infiltrare l’acqua nel sottosuolo, mentre qui devo agire in maniera diversa: posso infatti creare il bacino, ma questo non consentirà l’infiltrazione nel sottosuolo e non posso creare un bacino profondo perché in certe aree, se vado a un metro di profondità, incontro già la falda e quindi è inutile che approfondisca.
GIANCARLO dice
Egr. Signori
ho letto attentamente il Vs. blog.
Sono un esperto di logistica e trasporti da oltre 50 anni e mi sto dedicando alla realizzazione di un grande progetto nel Veneto relativo a tutte le infrastrutture oggi mancanti e facenti parte della complessa rete infrastrutturale sia ferroviaria che fluviale che stradale con relativi centri intermodali anche fluviali nei presi delle foci dei vari fiumi Veneti, tutti.
Sarei interessato sapere se avete fatto anche qualche studio in merito o se avete effettuato studi sulla fattibilità di una rete inter fluviale Veneta.
Ringrazio anticipatamente per eventuali materiali che potreste inviarmi anche info grafiche o altro se da voi fatte, redatte o attuate oltre al presente studio sul vs. blog.
Ringraziandovi anticipatamente, distinti saluti.
F.to Giancarlo Rodegher
Verona