di Piero Brunello
Pubblichiamo l’intervento tenuto da Piero Brunello in occasione della presentazione del Quaderno di sAm numero 9, «L’onore e la legge» di Lucio Sponza, che ha avuto luogo il 14 novembre 2009. Sperando che sia di buon auspicio per la pubblicazione dell’undicesimo Quaderno.
1. Senza entrare nel merito del fatto di cronaca, un episodio tragico, mi soffermerò su due aspetti della vicenda, per mettere in evidenza i simboli e i modelli di comportamento che implicano. Il primo: una donna – una ragazza di diciannove anni – uccide il suo fidanzato con un pugnale. Il secondo: la donna viene processata e assolta per infermità mentale, e di lei poi non si sa più niente. Una donna che uccide un uomo con un coltello. Era frequente? Direi di no. Lombroso scrive un libro sulla donna delinquente proprio per spiegare perché, pur essendo la donna a uno stadio inferiore dell’evoluzione, compare molto meno dell’uomo nelle statistiche criminali.
2. Le cose possono essere raccontate solo se c’è una trama (esempio Ulisse) e forse addirittura le cose si fanno solo perché c’è un modello, uno schema, una trama, insomma se si sa (prima) come fare e come (poi) raccontarlo. In altre parole, anche per compiere un’azione bisogna avere uno schema sottomano, sapere un po’ che nome darle, come andrà a finire eccetera.
Nel nostro caso, quale cornice narrativa e simbolica è disponibile per una donna che uccide l’amante a coltellate?
3. Ho consultato parecchi libri di storia delle donne, ma sono tutti sulla donna vittima. Mario Praz, nel suo libro sulla letteratura romantica diventato classico, ha scritto che dal romanticismo in poi la violenza contro la donna è estetizzata, che c’è una estetizzazione della violenza contro la donna: donna in catene in un sotterraneo buio, meglio se murata viva con uno scheletro vicino oppure con un bambino che morirà di fame e di sete prima di lei; donna a seno nudo frustata da uno schiavo nero o da un aristocratico perverso; donna seminuda legata a un cavallo da corsa; donna morta galleggiante nel fiume a mo’ di Ofelia; donna oltraggiata nell’onore svenuta con il corpetto che lascia intravvedere il bianco seno sotto l’ampia veste, eccetera eccetera.
Se si prende il libro di Catherine Clement L’opera lirica, o La disfatta delle donne, la donna che nell’opera se la cava meglio di tutte muore di tisi. Le altre salgono sul rogo come Norma, vengono pugnalate da un tagliagole come Gilda, si buttano da Castel Sant’Angelo come Tosca, si avvelenano con un liquido venefico che conservano per prudenza in un anello come Leonora, eccetera eccetera.
Insomma niente donne killer: o meglio sono poco studiate, poco osservate. Se ci sono, sono mostri: donne vampiro, donne fatali, donne che tramano. Ancora Praz ci ricorda che nella prima metà dell’Ottocento “la funzione della fiamma che attira e brucia, è esercitata dall’uomo fatale (l’eroe byronico)”, mentre nella seconda parte del secolo “dalla donna fatale”: risultato, “la farfalla destinata al sacrificio è nel primo caso la donna, nel secondo l’uomo” (p. 181). Nel secondo caso, tipico della fine dell’Ottocento, Praz si riferisce alla mantide religiosa, alla donna bella e inattingibile, fredda, che concede le sue grazie a un maschio, di solito più giovane di lei, per poi ucciderlo, annientarlo, perderlo.
4. Fin qui, niente sembrerebbe offrire una cornice culturale alla vicenda raccontata nel quaderno di Lucio Sponza. Ma ho insistito con l’opera lirica, e mi sono venuti in mente almeno tre casi che possono aiutarci: tre casi famosi.
Per prima, Norma. Norma è una sacerdotessa dei Galli, ama il generale romano Pollione e ha due figli (in gran segreto, perché è una sacerdotessa ed è tenuta al voto di castità). A un certo punto Pollione si innamora di una sacerdotessa più giovane. Norma si arrabbia. Affronta Pollione con un coltello. Canta la celebre aria “In mia mano alfin tu sei”, ma poi lascia cadere il coltello: pensa che è madre, pensa ai figli, e ancora di più pensa alla felicità di Pollione, a cui augura, più o meno, di vivere con la giovane a Roma (basta foreste della Gallia). Qui dunque abbiamo una donna che pensa ad accoltellare l’amante, ma all’ultimo momento cambia idea: pensa piuttosto a sacrificare se stessa. (Alla fine Pollione si riabilita perché lei si autoaccusa davanti ai Galli e sale al rogo, e Pollione la segue.) Non è ancora il nostro caso, ma ci dice che lo schema di lei che accoltella lui è una possibilità.
Seconda figura: Lucia di Lammermoor. Lucia ama segretamente un nemico della sua famiglia, in particolare del fratello. Il fratello pensa al contrario che se Lucia sposa un certo lord, le sorti della famiglia potrebbero avere un gran giovamento. Ma Lucia continua a vedere segretamente l’innamorato: lo vede nel castello del parco, naturalmente al chiaro di luna (il notturno è un topos), nei pressi di una fontana, si scambiano un anello cantando il celebre duetto “Verranno a te sull’aure”. L’amante va alla guerra. Il fratello obbliga Lucia a sposare il lord di cui abbiamo già parlato, facendole leggere una falsa lettera in cui si dice che il suo amante ha un’altra. Lucia cede al fratello. Improvvisamente nella sala dove si svolge il matrimonio torna l’amante, che rimprovera Lucia di infedeltà, e maledice la famiglia di lei. Notte. Uragano spaventoso sulla Scozia, rimbombo di tuoni: l’amante è solo nella torre del castello, sente un galoppo avvicinarsi. È il fratello di lei. Duello all’alba tra i due rivali in amore, vicino a un cimitero. Cambio scena. Ancora festa di nozze al castello, qualcuno in scena annuncia che Lucia, divenuta folle, ha ucciso con la spada il marito appena sposato. Sopravviene Lucia in pieno delirio, ha la veste nuziale macchiata di sangue, riafferma l’amore per l’amante, ricorda gli incontri presso la fontana, ha un parlare sconnesso (cioè delira) e alla fine muore sulla scena. L’amato viene a sapere della cosa e si uccide.
Questo caso ci suggerisce un altro elemento: quando una donna uccide un uomo, in questo caso il marito impostole, a) il marito è un cattivo (nel nostro caso: l’amante è un tenore, cioè un buono, il marito è un baritono, cioè una canaglia) e b) c’è di mezzo un conflitto tra famiglie, o meglio tra due uomini: due uomini si sfidano a duello, e chi ci rimette è la donna la quale, stretta tra essere sorella di uno e amante dell’altro, non regge allo scontro. Può uccidere, tra l’altro con una spada, il marito impostole per ragioni di famiglia, ma diventa folle e muore.
Terzo caso è quello di Tosca. Tosca ama il pittore Cavaradossi. Il capo della polizia pontificia Scarpia fa arrestare Cavaradossi, che parteggia per Napoleone e per la libertà. Scarpia cerca di far sua Tosca. Tosca dice di volersi concedere a lui, ma chiede in cambio la vita di Cavaradossi. Scampia dà ordine che Cavaradossi sia fucilato a salve. Prima di cedere al capo della polizia, Tosca chiede un salvacondotto per lei e per l’amante. Mentre Scarpia sta scrivendo il salvacondotto, Tosca prende un coltello. Scarpia fa per abbracciarla, lei lo uccide (). Tosca prende il salvacondotto, posa un crocefisso sul petto del cadavere di Scarpia e abbandona la stanza. Cambio scena. Sopra castel sant’Angelo. È l’alba. Di lontano canta un pastore. Cavaradossi canta “E lucean le stelle”. Arriva Tosca, mostra a Cavaradossi il salvacondotto e gli dice di fingere e di cadere con arte, fingendosi morto. Arriva il plotone. Voci confuse: l’omicidio di Scarpia è stato scoperto. Vogliono arrestare Tosca ma lei si slancia nel vuoto giù dal Castel Sant’Angelo.
Anche qui, Tosca (una soprano, personaggio femminile buono) uccide il cattivo (il baritono) con un coltello, e lo fa per difendere il suo onore. Poi però muore e anche lei esce di scena.
5. Prima di riprendere questi fili e tirare delle conclusioni, due parole sullo sfondo culturale in cui inserire la vicenda raccontata da Lucio Sponza.
Secondo la scienza di fine Ottocento, che non faceva che legittimare il senso comune, le donne erano sentimento, istinto, altruismo, comportamenti automatici, affettività, fantasia, immaginazione, emotività, impulsività: erano una sorta di fondo oscuro, di sostrato biologico, un insieme di virtù pre-sociali o anti-sociali, perché erano legate alla natura, alla primitività, all’animalità (mestruazione, gravidanza, cicli lunari). Da un lato natura, animalità e primitività; dall’altro lato sentimenti, affetti, ricordi familiari, in altre parole: poesia. Nell’opera lirica quando sta per cantare la donna si sentono gli arpeggi dell’arpa. (Suona il corno? La voce del destino. Tamburi e trombe? Soldati in guerra.)
I diversi saperi – dall’antropologia alla psicologia – declinano questo senso comune in modi diversi. Si pensi alla donna “rea per passione” della criminologia, o alla donna uterina della ginecologia, due figure che suscitano un’ambigua simpatia presso gli scienziati (uomini). Mossa da amore sincero e disinteressato la prima, capace di imprese eroiche ed eccezionali la seconda: ma entrambe sembrano affermare più liberamente il loro sentimento, il loro erotismo, al di là del ruolo loro imposto di essere madri. Ecco un esempio di questa simpatia, nelle parole dello psicologo Lino Ferriani, che nel 1886 scriveva: “tolte le poche energiche che nell’impeto del dolore per il vigliacco abbandono trovano il coraggio criminoso di vendicarsi dell’amante col coltello, col revolver, col vetriolo, tutte le altre scendono più o meno lentamente la scala del vizio, povere candide foglie di magnolia, che il primo contatto ha ingiallite per sempre!”. (Nel passo – che trovo citato nel volume La donna nelle scienze dell”uomo di Valeria P. Babini, Fernanda Minuz, Annamaria Tagliavini – è interessante l’accenno ai diversi tipi di delitto secondo le classi sociali: il vetriolo delle aristocratiche, il revolver delle borghesi, il coltello delle popolane.)
Simpatia ambigua, dicevo: per quanto ammirate dagli scienziati (uomini), le donne sono destinate alla sconfitta: la “rea per passione” subisce la pena dell’abbandono e del tradimento, “l’isterica” rimarrà chiusa nella sua malattia. In altre parole non si sfugge alla norma del femminile. Anzi, la “rea per passione” (ma lo stesso si può dire per la “donna isterica”) conferma il fatto di essere donna, più che di essere deviante. Il suo reato dimostra un eccesso del sentimento, non una deviazione dalla natura femminile. Per questo, anche quando i delitti compiuti da donne sono feroci, spesso le condanne penali, ma anche le richieste dell’accusa, sono miti. Il libro di Cesare Lombroso, La donna delinquente (1893) nasce da un fatto di cronaca: una popolana aveva ucciso l’ex fidanzato con un coltello da cucina (così ci avviciniamo alla storia raccontata da Lucio Sponza) e aveva avuto una condanna leggera: quattro anni di prigione. In altre parole, il delitto commesso da una donna non suscita allarme sociale, bensì incredulità, stupore, sdegno: pone domande alla morale e alla filosofia, non al controllo dell’ordine pubblico. Anche perché – è ancora Lombroso a osservarlo – le donne delinquono nella sfera domestica e privata, e solo raramente nella sfera pubblica. Inoltre, la minore responsabilità penale delle donne è dovuta al fatto che le donne hanno un’inferiore capacità giuridica: nei codici ottocenteschi sono equiparate ai minori e hanno bisogno dell’autorizzazione maritale per amministrare i beni, per esempio. La donna è meno responsabile dunque dell’uomo? Per giuristi e criminologi, sì: il sesso femminile era di per sé una circostanza attenuante.
6. Possiamo ora tirare le fila. La vicenda raccontata da Sponza non riguarda la donna, ma gli uomini, e l’onore di due famiglie, o meglio degli uomini della famiglia. Il fratello di lei e il moroso di lei si affrontano, litigano, si prendono a pugni. Il fratello di lei ha già tentato di uccidere il moroso della sorella con un pugnale comperato a Costantinopoli: un marinèr, quindi. E il moroso non avrebbe offeso lei con l’espressione disonorevole “roba da marinèri”?
Quando va nella casa del moroso, lei ha con sé il pugnale del fratello. Non solo, quando lei uccide il moroso, nella piccola stanzetta dove sono soliti dormire in sei, sono presenti anche i genitori di lei. Quindi lei, vendicando il suo onore, vendica l’onore della famiglia. La famiglia di lei ha ospitato il moroso della figlia in casa, ha comperato la parte di mobili che spetta alla figlia al momento di sposarsi, e lui come ricambia? Perdendo il lavoro e tradendo la promessa: non solo sta con un’altra, ma offende la promessa sposa in strada!
Mi sembra giusto che Sponza e la redazione abbiano inserito la parola “onore” nel titolo. Questo non è un processo per un fatto di gelosia, ma per una questione d’onore. Quando la donna perde il suo onore (ha vissuto con il suo uomo, e poi è tradita, abbandonata, chi la sposerà più adesso?), non è solo lei a rimetterci, ma sono prima di tutti gli uomini della famiglia, fratelli e padri.
La vicenda è un conflitto tra maschi. Nella famiglia di lei ci sono il papà e due figli, e fanno i carpentieri in ferro. Nella famiglia di lui c’è solo un uomo, un papà che fa il sarto, e poi c’è lui, il moroso, che è uno spiantato. La famiglia di lei gli trova il lavoro all’arsenale e lui lo perde; gli trovano il lavoro in una trattoria e anche lì viene mandato via perché fa la cresta sui prezzi.
Con il suo gesto la ragazza vendica quindi l’onore del padre e dei due fratelli; affronta la sua punizione; viene considerata pazza; scompare di scena. Sipario. Applausi.
Bibliografia citata, a cura della redazione:
Valeria P. Babini, Fernanda Minuz, Annamaria Tagliavini, La donna nelle scienze dell’uomo: immagini del femminile nella cultura scientifica italiana di fine secolo, Franco Angeli, Milano 1986.
Catherine Clément, L’opera lirica, o La disfatta delle donne, Marsilio, Venezia 1979 (ed. or. 1979).
Cesare Lombroso, Guglielmo Ferrero, La donna delinquente la prostituta e la donna normale, L. Roux e c., Torino – Roma 1893, poi seguito da varie altre edizioni; la prima ed. è stata riproposta di recente, con prefazione di Mary Gibson e Nicole Hahn Rafter, dall’editore et al., Milano 2009).
Mario Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, prima ed. 1930, poi più volte rivisto e accresciuto fino alla quinta edizione; si trova ancora facilmente in commercio, in edizione BUR Rizzoli (ultima ristampa 2009).