di Lucio Sponza
Il nostro socio e amico Lucio Sponza ha organizzato la visione di un ciclo di film inglesi presso l’Ateneo Veneto di Venezia (appuntamento il sabato mattina). Gli abbiamo chiesto di presentarcene il programma. Ecco che cosa ci ha risposto.
In febbraio ho cominciato a presentare una serie di film inglesi all’Ateneo Veneto di Venezia, dei matinée (orario 9,30-11,30) nell’ambito del programma di Incontri di lingua e cultura inglesi 2019. Sono nove pellicole risalenti al primo quindicennio del secondo dopoguerra, che mi interessano particolarmente: hanno una narrativa semplice (queste proiezioni sono anche strumento di osservazioni linguistiche), ma allo stesso tempo ricca di significati, non ultimi quelli che mettono in rilievo pregi e difetti degli inglesi e più in generale dei britannici.
In quegli anni avvenne la faticosa trasformazione della Gran Bretagna da potenza mondiale, sia pure in declino almeno dalla fine della Grande guerra, a paese alla ricerca di una sua identità anche, e soprattutto, sul terreno della vita civile e dei rapporti individuali.
David Kynaston ha pubblicato tre volumi, di circa 800 pagine l’uno, per indagare la storia sociale quasi quotidiana dei suoi connazionali fra il 1945 e il 19621. Il primo è intitolato: Austerity Britain – 1945-51; il secondo: Family Britain – 1951-57; il terzo: Modernity Britain – 1957-62. I nove film scelti riflettono in qualche modo questa divisione cronologico-tematica e si possono dividere in tre gruppi.
Il primo, di quattro, consiste di storie che illustrano vicende familiari con al centro la donna (madre, moglie, figlia, amante) – benché tutti i registi siano uomini.
Anche nel secondo gruppo, di due soli film, le figure femminili sono centrali, ma lo sfondo è fantastico/misterioso.
I tre film del terzo gruppo sono fra le più note commedie, in cui la satira prende di mira il rapporto tra gli individui e il ‘sistema’, e quello tra le classi sociali.
Gli stessi critici inglesi individuano come caratteristiche della loro “stirpe”, messe in risalto dalla cinematografia nazionale: senso del dovere, autocontrollo, eccentricità, ‘understatement’ e ‘humour’. Tutti questi ingredienti, dove più e dove meno, sono presenti in questi nove film.
Ecco i nomi dei registi, i titoli (fra parentesi quadra le versioni usate dalla distribuzione italiana, che sono a volte bizzarre, se non fuorvianti) e l’anno di produzione:
1. David Lean, This Happy Breed [La famiglia Gibbon] (1944)
2. David Lean, Brief Encounter [Breve incontro] (1945)
3. J.L. Thompson, Woman in a Dressing Gown [L’adultero] (1957)
4. Tony Richardson, A Taste of Honey [Sapore di miele] (1961)
5. M. Powell & E. Pressburger, A Matter of Life and Death [Scala al paradiso] (1946)
6. Guy Hamilton, An Inspector Calls [mai distribuito in Italia; una traduzione potrebbe essere La visita di un ispettore] (1954)
7. Alexander Mackendrick, Whisky Galore! [Whisky a volontà] (1949)
8. Henry Cornelius, Passport to Pimlico [Passaporto per Pimlico] (1949)
9. John & Roy Boulting, I’m All Right Jack [Nudi alla meta] (1959)
1. This Happy Breed è tratto da un’opera teatrale di Noël Coward, famoso commediografo degli anni ’20 e ’30, che collaborò a questa sceneggiatura. Racconta le vicende di una famiglia piccolo-borghese che vive in una classica casetta bifamiliare alla periferia di Londra, in cui la struttura, gli arredamenti, i mobili e gli oggetti quotidiani sono meticolosamente rappresentati. Tutto si svolge fra il 1919 e il 1939; dunque tra il primo dopoguerra e l’immediato secondo anteguerra, in modo che il ricordo ancora vivo e glorioso della Grande Guerra fermenta e prepara lo stato d’animo per la prova successiva. Vivono assieme tre generazioni: marito e moglie con i loro tre figli (due femmine e un maschio), con la madre di lei e la sorella di lui – vedova di guerra e senza figli. Sullo sfondo, e per cenni, sfilano i fatti nazionali e internazionali che caratterizzano quel ventennio. Sono forti i vincoli affettivi, ma non mancano le discordie, i dolori (il figlio muore con la giovane sposa in un incidente stradale), gli allontanamenti e le riappacificazioni – con al centro la padrona di casa, che è forte anche, e soprattutto, nei momenti di debolezza e di incertezza del marito. È il ruolo della brava Celia Johnson.
2. Celia Johnson è anche la protagonista di Brief Encounter, considerato uno dei migliori film inglesi di tutti i tempi, tratto da un altro lavoro teatrale di Noël Coward. Qui abbiamo una famiglia borghese – marito, moglie e due figli adolescenti – che vive in una bella casa di qualche cittadina nel nord dell’Inghilterra: immagine di relativa agiatezza, di coesione e di tranquillità. Il mondo fuori da quelle quattro solide mura non esiste, se non per i viaggi settimanali in treno di Laura (la protagonista) alla città più vicina per fare acquisti e per distrarsi. Ma la distrazione più forte sarà l’innamoramento di un medico, incontrato casualmente alla stazione di quella città. Intensa e reciproca passione. Anche il medico ha famiglia, ma sta per andare a vivere in Sud Africa. Così la vicenda fra i due si conclude con tristezza – e con il ritorno all’ordine e al decoro. In continui flashback Laura riflette sul disagio e sull’umiliazione a dover nascondere la tresca, sui propri contrastanti sentimenti nei confronti del pur amorevole marito – e sulla felicità.
3. In Woman in Dressing Gown si invertono le parti: è il marito ad avere l’amante (il titolo italiano, L’adultero, è banalizzante). La protagonista della storia è la moglie (Amy) – una splendida Yvonne Mitchell: una donna che affoga la frustrazione della vita domestica, segregata in un piccolo appartamento alla periferia asettica di Londra, in una agitata e confusa premura nei confronti del marito e del figlio (sulla soglia di diventare uomo). Il risultato è il continuo precipitare di piccole disavventure domestiche in sistematico caos. Il marito si è innamorato della giovane e bella segretaria dell’azienda in cui entrambi lavorano. Quando lui, a fatica, trova il momento per chiedere ad Amy di concedergli il divorzio, lei supera lo stordimento pensando di affrontare la rivale in casa propria quella sera stessa. Tutto va storto nella preparazione all’incontro, ma di fronte alla giovane Amy combatte con la forza e la lucidità che sembrava avere smarrito – e imparte una lezione sulla differenza tra infatuazione e amore. L’amante non può, o non vuole, capire la differenza, ma la capisce il marito: dopo essere uscito con la giovane donna abbandonando moglie e figlio, riconosce di non poterlo fare – e ritorna da loro, che lo accolgono con serenità. Si ricompone anche qui l’equilibrio familiare.
Tra la fine degli anni ’50 e i primi anni ’60 in Gran Bretagna avviene una mutazione ‘antropologica’ – nel senso usato da Pasolini. I residui di severa e dominante etica ‘vittoriana’ sono spazzati via e si entra nella ‘modernità’ (come suggerisce il titolo del terzo volume di Kynaston) quando si accelera la rapidità del cambiamento sociale e si abbandona ogni velleità post-imperiale; basti ricordare il caso di Suez, nel 1956. Ed è di quello stesso anno l’opera teatrale più emblematica di questo cambiamento: Look Back in Anger, di John Osborne. Nel cinema si parlerà di ‘New Wave’.
4. Tra i film più significativi di questa ‘New Wave’ è A Taste of Honey, tratto dall’omonimo dramma teatrale della giovane scrittrice Shelagh Delaney. I tre film precedenti avevano al centro la donna in una famiglia tradizionale: solido e fiducioso nucleo sociale ma anche luogo metaforico dell’insoddisfazione (sia pure, alla fine, risanata). Con A Taste of Honey si giunge alla catarsi – non senza aprire nuove prospettive di tolleranza e anche (forse) di speranza. Protagonista è Jo, straordinariamente interpretata dall’esordiente Rita Tushingham, che è un’adolescente trascurata dalla madre tanto esuberante quanto zotica, e che non ha conosciuto il padre. Lo sfondo è la periferia di una grigia città industriale del nord (Salford, vicino a Manchester). Nella ricerca di affetto, se non di amore, Jo si accompagna a un marinaio nero che parte senza sapere di averla messa incinta – e senza ritornare. Il bimbo nasce dopo che la madre se ne è andata, mentre Jo ha trovato comprensione e devozione in un giovane omosessuale. Ma, come se il racconto fosse andato troppo oltre i canoni sociali ancora forti, la madre di Jo ritorna a dominare la situazione e il giovane se ne va.
L’elemento femminile è ancora centrale nei due film che seguono (non cronologicamente), ma si manifesta in modo indiretto – e in circostanze misteriose e trascendenti.
5. A Matter of Life and Death è una favola che, in un certo senso, capovolge il mito di Orfeo ed Euridice. Qui è l’uomo a morire e a essere salvato dall’amore di lei – dopo un viaggio non agli inferi ma in paradiso. Un particolare significativo: il film è l’unico di questo ciclo a essere quasi del tutto a colori. In bianco e nero sono solo le scene in paradiso; come a dire che la vita reale deve prevalere su quella fantastica, onirica. Siamo quasi alla fine della guerra, quando un pilota inglese ferito (interpretato da David Niven) cerca di rientrare con il suo aereo in fiamme compiendo un atterraggio di fortuna, ma si schianta e muore – o così sembra, così dovrebbe essere. Poco prima aveva preso contatto per radio con un’operatrice militare americana (l’attrice Kim Hunter) di stanza nel sud dell’Inghilterra e la breve, drammatica conversazione compie il miracolo dell’innamoramento e del ritorno alla vita di lui. Quando i poteri dell’aldilà si accorgono di questo ‘errore’ convocano il pilota perché si difenda ed è l’amore di lei che gli assicura il salvacondotto per il ritorno.
6. Unico di questi film a non essere ambientato nella contemporaneità è An Inspector Calls, che non pare sia mai arrivato in Italia. Il racconto, ambientato nella casa lussuosa di un uomo d’affari circondato dalla sua famiglia, è un adattamento del dramma teatrale di J.B. Priestley – scrittore, commediografo e critico di successo. Siamo nel 1912, l’impero britannico è al suo apogeo, ma le sue basi spirituali sono fragili, quasi ad anticipare la tragedia della Grande Guerra. Una festa di famiglia, per il fidanzamento della figlia maggiore, Sheila, è interrotta dall’arrivo a sorpresa di un ispettore (interpretato da un grande Alaistair Sim): deve far luce sul suicidio di una giovane donna. Si scopre a poco a poco che, più o meno direttamete, ogni membro della famiglia ha contribuito al gesto della giovane. Sheila è la prima a rendersene conto, facendo breccia sulle mura di altezzosità e di autocompiacimento degli altri. Ma proprio quando ognuno si rende conto delle proprie colpe, senza accorgersi che l’ispettore nel frattempo è svanito, suona il campanello ed è annunciata la visita… di un (vero) ispettore.
Un elemento fantastico caratterizza anche i tre ultimi film, ma mirando a colpire con la satira gli stereotipi della forte coesione sociale del paese, sia nella identificazione dei cittadini con le istituzioni che nell’armonia di fondo fra le classi sociali.
7. Whisky Galore! racconta una storia improbabile del tempo di guerra, quando una nave con un gran carico di bottiglie di whisky affonda al largo delle isole Ebridi. A nulla servono gli sforzi del capitano della ‘Home Guard’ (servizio di vigilanza eseguito da anziani sotto il comando militare) per assicurare il recupero delle casse: tutti gli abitanti dell’isola più vicina si industriano a sottrarle e a nasconderle. Girato sul posto, è uno dei più famosi film prodotti dalla compagnia cinematografica Ealing (dal nome del quartiere di Londra dove aveva sede). Di tutti i film selezionati per questo ciclo, questo è il solo ambientato e girato in Scozia, in una delle sue isole lontane. Naturalmente i dialoghi sono in un inglese con intonazione scozzese, a eccezione del capitano – e anche questo contribuisce a marcare la notevole differenza fra scozzesi e inglesi, sia pure sotto forma di parodia.
8. Nel quartiere popolare di Pimlico, a Londra, scoppia una bomba della Luftwaffe rimasta inesplosa; nella cavità così creata viene trovato uno scrigno contenente un documento medievale. La studiosa interpellata (l’impareggiabile Margaret Rutherford) non ha dubbi: quell’area di Pimlico apparteneva al Ducato di Borgogna. Gli abitanti non se lo fanno ripetere e dichiarano la secessione dallo Stato britannico – da cui il titolo del film: Passport to Pimlico. Basta con i razionamenti di guerra (ancora parzialmente in vigore nel 1949), soprattutto quello riguardante la vendita di alcolici; basta con le carte d’identità (erano state introdotte durante la guerra – per la prima volta nella storia britannica – e sarebbero state abolite qualche anno dopo); basta con le tasse da pagare ad autorità ormai esonerate; e così via. Dopo che intorno a quell’area la polizia ha steso una recinzione per tagliare ogni servizio pubblico, gli abitanti della zona circostante soccorrono gli ‘assediati’ lanciando viveri e altro; lanci più consistenti sono effettuati da areoplani (sembra scontato il riferimento a quanto succedeva, proprio mentre si girava il film, con il ‘blocco di Berlino’ da parte dell’Unione Sovietica). Ma l’entusiasmo non dura molto perché quella libertà senza limiti crea spazi per la microcriminalità e per piccole sopraffazioni. Cresce il desiderio di ordine e sicurezza, e alla fine le autorità statali e comunali riprendono il controllo. Una lezione, comunque, è stata imparata anche da loro e la legge viene applicata in forma benigna, mentre lo spirito e l’armonia dei ‘ribelli’ risorge – e anzi si consolida.
9. Ultimo film di questa rassegna è I’m All Right Jack, nel quale la satira si sposta al campo delle relazioni industriali in una fabbrica di armamenti. Stanley Windrush è un giovane di ottima famiglia, ma sprovveduto, che aspira inutilmente a un posto dirigenziale (è interpretato da Ian Carmichael). Viene invece persuaso a entrare in una fabbrica di armamenti come semplice operaio. Fred Kite, il rappresentante sindacale comunista (un formidabile Peter Sellers), all’inizio è sospettoso per lo zelo che dimostra il nuovo operaio, ma alla fine gli offre addirittura di ospitarlo in casa propria. Quando nella fabbrica si vuole valutare l’efficienza dei lavoratori, l’entusiasmo di Stanley lo mette in rotta di collisione con i ‘compagni’. Dietro l’iniziativa c’è la manovra subdola di un’azienda concorrente, la stessa che aveva spinto l’ignaro Stanley a entrare in quella fabbrica. È proclamato lo sciopero, a cui Stanley non aderisce – ed è cacciato via di casa, con il dramma della figlia di Fred che, assecondata dalla madre, entra anche lei in sciopero (dei servizi domestici). In fabbrica è raggiunto un compromesso fra i dirigenti e i lavoratori: una condizione è che Stanley se ne vada. La vicenda è diventata un caso nazionale, e davanti al pubblico in uno studio televisivo Stanley rivela il tentativo di corruzione nei suoi confronti, perché rimanesse in silenzio, e lancia per aria i soldi che gli erano stati offerti: tutti cercano di acchiapparne e ne nasce un gran parapiglia. Nell’ultima scena Stanley è con suo padre in un campo di nudisti, disturbato dall’interesse delle giovani frequentatrici nei suoi confronti.
I’m All Right Jack ebbe un grande successo sia di critica che di pubblico. Lo stesso Daily Mirror, quotidiano vicino al partito Laburista, ebbe parole di apprezzamento. Pare che sia piaciuto molto anche alla regina Elisabetta e al suo Primo Ministro, Harold Macmillan. Qualcuno sembra anzi avergli suggerito che quel film avrebbe contribuito alla vittoria dei conservatori alle elezioni che si sarebbero effettuate nell’autunno di quello stesso 1959.
Neanche l’ombra della ‘New Wave’ in questo film. Tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 – come ho già accennato – si ha un periodo di relativa prosperità anche in Gran Bretagna (curiosamente, l’espressione ‘miracolo economico’ con riferimento all’Italia fu introdotta da un giornale inglese), ma anche di un crescente senso di disorientamento perché dopo aver perso l’impero non era chiaro quale fosse la missione internazionale del Paese. Sin dalla fine della guerra la Gran Bretagna guardava con eguale ma contraddittorio interesse a tre aree geopolitiche in cui svolgere un ruolo importante, se non essenziale: la vocazione post-imperiale, dura a morire, che puntava sul Commonwealth; quella che si estendeva a tutti i Paesi di lingua inglese (compresi dunque gli Stati Uniti) – che era stata cara a Winston Churchill; e quella del fronte europeo. Con grande lentezza e difficoltà sarà quest’ultima a orientare la politica internazionale britannica. Nel 1973 il Regno Unito entrerà nella Comunità Economica Europea, con scarso entusiasmo, e ci rimarrà per oltre quarant’anni. Il resto è storia di questi ultimi anni – e dei prossimi.
- I tre volumi sono usciti presso Bloomsbury, London, rispettivamente nel 2007, nel 2010 e nel 2015. [↩]