di Matteo di Lucca
L’imponderabile
Come quei film thriller in cui nei primi fotogrammi viene svelato l’omicidio per poi cominciare un lungo flash-back, anche questa cronaca deve iniziare dalla fine. Sono le 16.50, la partita è ancora sullo 0-0 ed è già un pezzo che l’arbitro ha segnalato i minuti di recupero. Romondini viene servito al limite dell’aria e con le ultime forze rimaste scaglia verso la porta un tiro che non sembra irrefrenabile. Il portiere del Pisa si butta sull’angolino alla sua destra, con la mano aperta tocca la palla che però lo scavalca e va in rete. Apoteosi.
1. Oggi si gioca l’ultima partita di campionato e c’è da seguire la partita nostra e delle altre squadre, e fare di continuo conti in classifica. L’Unione spera ancora in una congiuntura astrale che la porti ai play-off; il Pisa può ancora sperare nella promozione diretta. Tra scontri diretti e classifiche avulse, la situazione intricatissima. Per l’Unione una partita da dentro o fuori.
Io e la Vale decidiamo di partire intorno alle 12.30, in anticipo rispetto al solito visto che lo stadio sembra essere tutto esaurito e si prevede un vero e proprio “esodo” di pisani in laguna. La Vale si presenta con l’abbigliamento portafortuna: pantaloni verde militare, maglietta arancione e sciarpa arancioverde (versione estiva: di maglia, fatta a mano da mia mamma) che le copre la fronte raccogliendole i capelli. Visto che aveva portato bene contro il Sassuolo, decidiamo di andare in stazione a Mestre e andare in treno a Venezia. Parcheggiata la macchina vicino all’entrata della stazione (lato Marghera) corro a fare i biglietti. In stazione sembra tutto tranquillo: si vede solo un tifoso con la maglia dell’Unione che pare molto teso, tanto che saliti sul treno nello stesso scompartimento ci accenna un “Ma voi siete tranquilli?”. Scesi dal treno poi si allontana di buona lena esclamando: “Buon pomeriggio”. Io rispondo “Anche a te” e raggiungiamo l’imbarcadero per prendere il vaporetto verso Sant’Elena.
Anche all’imbarcadero ci sono pochi tifosi dell’Unione mentre ci ritroviamo intorno almeno una ventina di tifosi pisani che chiedono informazioni per raggiungere Sant’Elena. Salgono tutti nel nostro stesso vaporetto e giunti all’imbarcadero di piazzale Roma, colmo di tifosi unionisti, l’equipaggio non fa salire nessuno probabilmente per motivi di ordine pubblico. Immaginatevi le eresie di quelli restati a terra. I “cani sciolti” pisani sono visibilmente alticci e incominciano a farci una serie di domande sulla nostra tifoseria, a dichiarare con sicurezza che vinceranno e andranno dritti in B. Molti portano una maglietta rossa con la croce bianca simbolo di Pisa e con scritto sulla schiena “Per fortuna non sono un livornese”. Alcuni di loro fumano, facendo imbufalire alcune persone sul vaporetto; altri bevono delle bottiglie di birra che una volta finite lanciano in laguna; altri ancora cercano di attaccare bottone le ragazze salite sul vaporetto, direzione Lido per sfruttare la bellissima giornate di sole. Poi tutti insieme intonano un coro della serie “Solo la nebbia / avete solo la nebbia”: peccato che proprio in quel momento stiamo passando davanti a piazza San Marco sotto un sole estivo. Già prima un pisano mi aveva detto con il suo classico accento: “Non sono mai venuto a Venezia, ma mi sembra caruccia”. La Vale parla con loro ma mostra un certo malumore e disgusto soprattutto quando uno di loro cerca di convincerla che l’uomo è superiore alla donna. Il pisano mi guarda perplesso e alla fine esce sconfitto dal duello. Come previsto. A parte questi episodi, il viaggio in vaporetto è tranquillo e giunti a Sant’Elena ci affrettiamo ad entrare allo stadio.
2. Nei pressi dello stadio sembra tutto tranquillo. Ci sono molte più forze dell’ordine del solito, una parte in tenuta antisommossa. Raggiungendo l’ingresso dei distinti, scorgo, attraverso i varchi della curva Sud, che la Nord opposta è già colma di pisani. Entrati nel settore distinti il colpo d’occhio è straordinario e mi ricorda gli anni in cui l’Unione partecipava a campionati più importanti e lo stadio era sempre pieno. Mi accorgo subito che i pisani non occupano solo la curva Nord ma anche il terzo dei distinti più vicino alla curva ospite e molte bandiere nerazzurre sventolano anche in tribuna. Saranno almeno in quattromila. Anche il nostro settore pur mancando ancora mezz’ora al fischio d’inizio è già bello pieno e l’atmosfera è quella delle grandi occasioni. Salendo le gradinate per raggiungere i soliti posti sentiamo un boato impressionante dalla curva pisana: mi giro verso il campo e mi accorgo che la curva pisana sta salutando l’ingresso in campo della sua squadra per il riscaldamento. Tutta la squadra del Pisa va sotto la curva a salutare i tifosi e dalla curva Nord sale un rumore assordante, che ci fa presagire una domenica difficile anche per noi che cantiamo.
Quando i “nostri” scendono in campo il saluto è un po’ più freddo: la curva infatti non si è ancora riempita e nel settore sembrano ancora tutti piuttosto distratti. Si vedono passare molti pisani sotto il settore tranquillamente mescolati con i fioi e con i vecchietti veneziani che solitamente occupano l’altra zona dei distinti. La Vale sbotta: “Ma come! rompono i coglioni per delle magliette con su scritto Ultras e poi mettono diverse tifoserie nella stessa zona dello stadio?”. Il pensiero viene spontaneo, ma il clima è veramente rilassato. Sulle gradinate si nota, già schierato, cordone di polizia che separerà le due tifoserie nel momento in cui ognuno prenderà i propri posti (sarà per la serie: “l’affrontamento simbolico”?).
Leggendo la fanzine autoprodotta da “A sostegno di un ideale” scopro che il gruppo non è gemellato con i pisani, ma le tifoserie si rispettano e portano avanti insieme alcuni progetti come quello del “Futbol rebelde” o la contestazione contro il decreto Amato. Le cose non vanno altrettanto bene, anzi al contrario, tra pisani e i gruppi rimasti in curva Sud; è per questo che i “capi” della curva pisana hanno invitato i propri concittadini a non girare per Venezia con i vessilli pisani.
Man mano che si avvicina l’inizio della partita la tensione incomincia a salire. Mentre il settore rimane ancora in silenzio, dalla curva Sud iniziano una serie di cori contro i pisani (che puntualmente replicano) e si alzano al vento molte bandiere ufficiali del Venezia Calcio gentilmente offerte dalla società per creare una coreografia in curva. Proprio in quel momento il nostro capocoro sale sulla balconata avvisando che saranno distribuiti palloncini arancio-bianco-verdi da gonfiare e sventolare al momento dell’ingresso in campo delle squadre. Il settore è stato diviso con del nastro in tre zone per delimitare i colori. A noi che siamo sulla sinistra del settore capita il verde, ai ragazzi che occupano gli scalini solitamente usati per salire tocca il bianco, mentre a quelli più a destra l’arancione. Tutti si affrettano a gonfiare i palloncini e una volta entrate in campo le squadre tutti li sventolano intonando il classico “Un grido sarà quando le squadre scenderanno in campo…”. Una coreografia riuscitissima e col pregio di essere autoprodotta. Quando la partita sta per iniziare tutti lanciano i palloncini in aria e per un momento il cielo si colora di arancioverde. I palloncini che finiscono in campo costringono l’arbitro a iniziare la partita con qualche minuto di ritardo.
3. Il settore si è riempito più del solito e per tutto il primo tempo il tifo è straordinariamente caldo. Soprattutto nel primo quarto d’ora c’è una vera torcida brasiliana e i cori della curva pisana sono sovrastati, anche se loro sono più numerosi di noi. Io e la Vale cantiamo talmente forte che già ci manca la voce. Si sciorinano i classici cori di quest’anno e dall’eco si capisce come le calli di Sant’Elena risuonano dei nostri canti.
La tensione all’interno del terreno di gioco non produce effetti altrettanto belli: la partita offre poche emozioni. L’Unione gioca meglio e tenta più spesso la via del gol ma non riesce a concretizzare la mole di gioco anche perché solo dopo dieci minuti capitan Collauto è costretto a lasciare il campo dopo un intervento omicida di un difensore toscano (per lui cinque punti di sutura al collo del piede).
Il caldo è allucinante e durante l’intervallo, per evitare la disidratazione, cerco di recuperare un po’ di acqua ma al bar c’è una coda infinita. Così dopo aver visto i nuovi gadget estivi dei ragazzi di “A sostegno di un ideale”, risalgo le gradinate mentre le squadre stanno facendo il loro rientro in campo. Quando inizia il secondo tempo il tifo nel settore non si è ancora organizzato e ci vogliono cinque minuti perché riprenda. Sarà il gran caldo, la tensione della partita, il fatto che l’Unione non riesce a sbloccare il risultato, ma il tifo nel secondo tempo è meno intenso rispetto al primo. La Vale è talmente tesa che, per calmarsi, ogni tanto deve sedersi (non ho mai specificato una cosa ovvia: la partita si segue in piedi). Cantando assisto alla partita e anche se il tempo passa inesorabile ho come l’impressione che prima o poi qualcosa accadrà. Le squadre si sono allungate talmente tanto che è un continuo susseguirsi di occasioni da una parte e dall’altra.
Il nostro Rebecca, entrato da poco, dopo aver saltato tre/quattro avversario tenta un tiro improbabile invece di servire Paolino Poggi, liberissimo. Marea di eresie. Pradolin si immola sulla linea di porta respingendo un tiro a colpo sicuro di un attaccante pisano. Ovazione generale. Poggi dopo una bella azione personale calcia di poco a lato. Urlo smorzato in gola. Ormai le speranze sono ridotte al lumicino. Qualcuno nei distinti già esce per non fare coda al vaporetto.
4. Poi l’imponderabile. L’“omicidio” di Romondini e il delirio collettivo. Io mi getto verso la Vale e mi ritrovo con lei sopra disteso su un seggiolino urlando a squarciagola. La Vale abbraccia tutti quelli che stanno accanto a lei. Quando riesco ad alzarmi un ragazzo ci viene incontro e ci abbraccia urlando insieme a noi. Prendo il telefono e chiamo un amico che so che sta soffrendo davanti al televideo (al televideo!). Quando risponde urlo “GOOOOOOOOOOOOOOOOOL” e metto giù. Il delirio è totale tanto che nessuno ha capito che l’arbitro ha fischiato la fine della partita senza nemmeno rimettere la palla al centro del campo.
Quando il settore lo capisce è un’altra indescrivibile gioia. Ma non è ancora finita. Bisogna aspettare i risultati dagli altri campi. Lo speaker prima annuncia i risultati poi non dice più nulla e nessuno capisce perché. Tutti aspettano una reazione dai giocatori che sono rimasti in campo in attesa del verdetto. Poi quando uno di loro alza le mani in cielo in segno di vittoria è un’altra ovazione collettiva. I giocatori si spogliano, lanciano le magliette – chi in curva chi nel settore –, vengono sotto il settore festanti. Partono i cori della vittoria: “Ce lo abbiamo noi / ce lo abbiamo noi / lo squadrone ce lo abbiamo noi”; “Di Costanzo show” con il mister che festeggia sotto il settore visibilmente emozionato; “Un capitano/ c’è solo un capitano” in onore dello sfortunato capitan Collauto. E poi: “Chi non salta è un padovano”. Anche i presidenti della società scendono in campo e vengono sotto il settore a esultare insieme a noi. Dieci minuti bellissimi. Poi una volta usciti i giocatori, mi siedo in disparte e richiamo il mio amico – che mi immagino tramortito dalla mia precedente chiamata – spiegandogli cosa era successo e rassicurandolo sul nostro passaggio ai play-off. Una volta usciti dalla stadio mi affretto a chiamare tutti gli amici padovani possibili e mando un messaggio al “gufatore” ultras padovano per rovinargli la vacanza a Berlino. L’adrenalina è completamente scesa, il caldo si fa sentire, ecco pure la disidratazione all’improvviso: ci accasciamo stremati su una panchina di sant’Elena. Un’emozione incredibile!
Il giorno dopo
Il giorno dopo mi sveglio con il sorriso, vado al lavoro e sfotto il collega padovano, leggo tutte le cronache possibili e l’intervista a mister Di Costanzo che dedica la vittoria e il passaggio ai play-off a Pier e al Bae che meritavano di vivere questa grande emozione. Scopro che alcuni giornalisti padovani urlano allo scandalo sostenendo che la partita era truccata, offro da bere ad alcuni amici. Poi chiamo ancora il mio amico: “Che dire, oggi vivere a Padova è una figata”.