di Alain, a cura di Giacomo Corazzol
Nuovo appuntamento con il filosofo francese Alain letto e tradotto da Giacomo Corazzol.
La vera fede, di Alain
Finiremo per capire che cos’è la Fede, il che porrà termine alle dispute teologiche. Sono i lavori dell’illustre Kant a rischiarare la via. Le sue opere, però, spaventano il lettore, e non senza buoni motivi. Inoltre quanti le leggono, per mestiere o per vocazione, badano più a confutarlo che a comprenderlo, per risarcirsi della fatica con qualche piccola vittoria.
La sua idea maestra, a mio avviso, è questa. Ci sono due ordini di cose: quelle che sono e quelle che saranno perché le vorremo. Simbolo delle cose che sono è il cielo stellato sopra di noi. Non si può inventare ciò che è: bisogna constatarlo; non bisogna volere, ma inchinarsi; non bisogna entrare in disputa con il vasto mondo, ma con se stessi. Non bisogna, per esempio, discutere puerilmente sulla realtà delle cose esteriori, perché al di là di quella non vi è nessun’altra realtà. Stabilirvisi, descriverla e misurarla con precisione, servirsi delle idee per mettere ordine nell’esperienza, non per rimpiazzarla. Non chiedersi se Dio esiste, in quanto equivale a chiedersi se il mondo è buono o cattivo. Non è né buono né cattivo: esiste. Dunque, per quanto riguarda questo ordine di cose, non credere, ma sapere. Contemplare la necessità, senza speranza né disperazione, senza bugie né grandi né piccole – questa è la Saggezza teorica. Quelli che dicono che la Giustizia esiste sono dei bugiardi o, più spesso, degli spiriti deboli che tentano di credere, laddove si tratta soltanto di conoscere.
La giustizia non esiste affatto: la giustizia appartiene a quell’ordine di cose che bisogna fare appunto perché non sono. La giustizia sarà se la facciamo. Ecco il problema degli uomini.
Ma, in merito a quest’ordine di cose, non iniziate a calibrare i vostri microscopi e i vostri telescopi. La giustizia non si scopre: essa non è; essa sarà se la volete. A questo chi non sa far altro che constatare e contemplare risponde: «Sì che la vorrei. Ma come potrà mai essere se non è già? Il nostro mondo non manifesta se non ciò che già conteneva: è per questo che cerco la giustizia, invece di volerla». Così però si confondono gli ordini. Non so se la giustizia sarà, perché ciò che ancora non è non è oggetto di sapere; ma devo volerlo: è questo il mio mestiere d’uomo. E come volere senza credere? Sarebbe far finta di volere, dicendosi tuttavia nel profondo: «Il mio volere non cambierà nulla della situazione». Perbacco, se è così che volete, allora avrete vinto: la giustizia non sarà. Devo credere che essa sarà. Ecco l’oggetto della religione sgomberato infine da ogni suppellettile teologica.
Si vede dunque che non si sono sbagliati gli uomini quando hanno affermato che bisogna credere e che credere è il più alto dovere umano. Solo che la loro preoccupazione è stata credere a qualcosa che è invece che all’oggetto proprio della fede, ovvero a ciò che non è ma che dovrebbe essere e che, per mezzo della volontà, sarà. In conclusione, dunque, credere significa credere nella propria volontà. Alla sua maniera Auguste Comte esprimeva lo stesso concetto allorché diceva che non c’è che un solo Dio, l’Umanità, e una sola Provvidenza, la ragionevole volontà degli uomini.
2 dicembre 1912
Alain, Propos, II, texte établi, présenté et annoté par Samuel S. De Sacy, Gallimard, Paris 1970, pp. 279-280 [n. 198], trad. di Giacomo Corazzol; il titolo è redazionale.
È stata omessa l’ultima frase (“Barrès ne trouvera point la vraie parole au sujet des églises, parce qu’il ne croit point”), contenente un’allusione polemica alla campagna che lo scrittore e uomo politico nazionalista e antidreyfusardo Maurice Barrès aveva lanciato, sin dal 1910, per tutelare gli edifici religiosi (cattolici) dalle conseguenze della legge del 1905 sulla separazione dello Stato e delle Chiese.