di Alain, a cura di Giacomo Corazzol
Nuovo appuntamento con il filosofo francese Alain letto e tradotto da Giacomo Corazzol.
Far dormire i propri pensieri, di Alain
Prima di dormire a nostra volta, dobbiamo far dormire i nostri pensieri. Questo però non va bene, perché voler addormentare un pensiero vuol dire pensare; e pensare vuol dire svegliarsi. Ogni pensiero ci mette in allerta; e questo è naturale in un universo non ha promesso nulla. In ogni situazione l’uomo che veglia calcola velocemente cosa può servire e cosa può nuocere, senza cullarsi nelle illusioni, come si dice così bene. Al contrario, ad addormentarci è la piacevole illusione secondo la quale tutto va per il meglio e non c’è nulla che meriti attenzione. Notate come questo modo di vedere le cose sia un sogno. Si dice: “Voi sognate” a un uomo che non abbia fatto una rivista esatta e, in un certo senso, militare di ciò che ha e di ciò che gli manca. Bisogna dunque sognare prima di dormire; verosimilmente la maggior parte dei sogni si fa prima del sonno.
Si dovrebbe dunque mentire a se stessi dal momento in cui ci si dispone a dormire. Ma, quando si è assediati da pensieri accaniti, non si vuole punto mentire a se stessi. Si vuole esaminare, allo scopo di rassicurarsi. Si vuole risolvere, concludere. Ora, un uomo nel bel mezzo della notte, gli occhi chiusi e le membra immobili, si trova in una brutta situazione per risolvere e concludere. Perché le cose a cui pensa sono lontane da lui; non ha, per pensarvi, che tenui immagini e, soprattutto, parole. Qui c’è da fare grande attenzione. Qualsiasi situazione percepita si chiarisce, per brutta che sia; l’uomo avanza con precauzione, fa il giro, se può, di ogni cosa. Come disse Turenne una sera che si trovava con Retz e altre persone, mentre gli altri, donne e valletti, vedevano degli spettri, che Turenne e Retz stessi credevano di vedere: “Bisogna andare a trovare quei tipi”. Erano dei poveri monaci che approfittavano della notte per farsi un bagno. Quante volte, sospettando potenti nemici e grandi ostacoli, troviamo dei monaci impauriti. Ma bisogna andarci. L’uomo con gli occhi chiusi non vuole andarci; pretende di esplorare nel pensiero; non c’è follia più grande, né una più comune. Tutti gli Alceste di questo mondo si ritirano nel loro studiolo per pensare a Celimene e si fanno allora le idee più false. Qualsiasi pensiero privo di un oggetto presente e percepito è una Celimene1. Bisognerebbe saperlo e non passare in rivista cose assenti. Ma serve del genio per addormentare i pensieri con un pensiero superiore e per dormire prima di una battaglia, come si racconta di Alessandro Magno e di Napoleone.
C’è un metodo migliore. Abbiamo molto più potere sul nostro corpo che sui nostri pensieri. Non che si possa far tacere il corpo quando soffre; possiamo però quasi sempre disporlo come vogliamo. Bisogna dunque sapersi distendere e allungare. Stiracchiamenti e sbadigli, che annunciano il sonno, forniscono qui una specie di modello. Il ragionamento può però assecondare queste lezioni della natura. Bisogna comprendere che cosa vuol dire coricarsi: vuol dire non poter cadere. Ora, spesso accade che la testa, un braccio, una mano restino in piedi, se così si può dire, sostenuti da uno sforzo di cui non ci accorgiamo. Questa posizione sbagliata stanca; in più, se il sonno arriva, la parte del corpo che abbiamo trascurato di coricare cadrà, il che sveglia. È dunque importante che tutto sia disceso al punto più basso; che tutto sia dispiegato, steso, si direbbe quasi riversato. Un sacco di mele gettato a terra assume naturalmente la posizione in cui tutti i lavori della forza di gravità sono già fatti. È la posizione che assumono anche i cani e, soprattutto, i gatti. L’uomo, con la vita da eretto che gli è propria, non si corica facilmente. Suppongo che, in un uomo che si crede coricato e non riesce a dormire, un massaggiatore troverebbe dei nodi, dei punti di resistenza, dei muscoli contratti; solido laddove lo si vorrebbe fluido, quanto può esserlo questo sacco di pelle. Questa felice condizione metterebbe fine a tutti i pensieri. Voi che volete dormire, non rifiutate nulla alla gravità; lasciatevi cadere dolcemente.
19 ottobre 1927
[Alain, Propos, I, texte établi et présenté par Maurice Savin, Gallimard, Paris 1956, pp. 747-748; traduzione di Giacomo Corazzol]
- Riferimento a Il misantropo di Molière, in cui Alceste, che ama Celimene, non riesce a liberarsi dal morso della gelosia. NdT [↩]