di Alain, a cura di Giacomo Corazzol
Nuovo appuntamento con il filosofo francese Alain letto e tradotto da Giacomo Corazzol.
Volontà e azione, di Alain
Nessuno può volere senza fare. Con questo non intendo solo che l’esecuzione deve seguire il volere, cosa che è già una discreta massima da praticare; intendo che l’esecuzione deve precedere il volere. In che modo? Niente di più semplice e agevole a comprendersi se si considera l’uomo tutto intero, l’uomo nella situazione dell’uomo, l’uomo qual è, quale è cresciuto. Che l’uomo agisca prima di volere lo si vede bene dall’infanzia. L’uomo naviga nell’universo dal momento in cui vi è gettato; e sempre vi ci si trova gettato, e mai in nessun modo può ritirarsene. L’azione reale è dunque sempre cominciata. Tutto il volere deve applicarsi a questo punto, quello in cui l’uomo si salva grazie ai movimenti dell’istinto. L’arte della navigazione, una delle più ammirevoli, fornisce sempre buoni paragoni all’arte di vivere. Si sa che il timone non può agire se la barca non riceve un impulso, vuoi del vento, vuoi dei remi; si può dire perfino che finché lo scafo non abbia raggiunto una certa velocità rispetto all’acqua, il timone è una cosa morta.
Applichiamo, perché le idee migliori si perdono nel progetto. Non si può governare un progetto. Si crede di farlo; si ritocca ciò che ancora non ha navigato; si vuol finire prima di aver cominciato. Lo spirito amministrativo, tante volte deriso, è lo spirito assai prudente che non lancia mai la barca; eppure è un’ottima barca. E spesso i politici passano il loro tempo a concepire una costituzione che dovrebbe essere priva di difetti. Ciò equivale a governare dei pensieri. È fare un piano per la pace perpetua. Quando voglio pensare al grande fautore di pace, quando cerco di spiegarmi l’efficace impulso che egli esercitava mediante la sua presenza, devo concludere che in queste cose egli era navigatore, vale a dire che, invece di affaticarsi contro ostacoli solamente possibili, egli esercitava la propria volontà solo contro l’ostacolo presente, sempre imprevedibile. Negoziava, così credo, prima di sapere dove stesse andando; ed è solo quando sentiva di stare andando là dove non voleva andare che trovava, in questa resistenza in movimento, l’occasione di volere secondo l’idea. Come chi fa una zattera: ha un’idea sulla base di un pezzo di legno e un pezzo di corda.
L’intelligenza condanna e condannerà questo modo di agire. Ma bisogna pensare che l’intelligenza condanna ogni maniera di agire; occorre sapere che l’intelligenza è fatalista, e bisogna armarsi ed equipaggiarsi contro questa idea mortale. Riunisco assieme dei capitali; faccio costruire un grande magazzino in cui raduno tutte le perfezioni note; ma devo dirmi anche che, se non ho previsto ogni cosa, questa grande impresa colerà a picco a causa delle sue stesse perfezioni. Laddove i commercianti che si installano in un chiosco provvisorio, che si stendono e si organizzano nella corrente umana, che tendono le loro reti là dove si forma il mulinello, alla maniera dei pescatori, questi commercianti non possono rovinarsi del tutto; si rovinano qui e si arricchiscono un metro più in là. È così che si sono formate le grandi ditte. So bene che di tutto ciò ci si fa beffe, che si dice il contrario e che si ride dell’imprenditore che fa correre le carriole, i secchi, gli argani, quando esistono delle potenti pale meccaniche capaci di rimuovere in un sol boccone il contenuto di dieci carriole. Ora, questi calcoli non sono bell’e pronti; ciò che se ne intuisce spaventa e consiglia già un ritorno al metodo selvaggio. Quello che voglio notare ora è che coloro che concepiscono prima di eseguire portano in loro lo spirito fatalista, lo spirito del giocatore, sempre diviso tra un grande successo e un grande fallimento. Di questo la guerra ha fornito più di un esempio. È che, nello stato attuale dei costumi, la guerra è progetto prima di essere azione.
La perfezione dell’azione si trova nel salvataggio. Perché? Perché allora l’intero progetto è fornito dall’evento. Dove salvare? Salvare chi? Le risposte si trovano nell’esperienza; e il primo sforzo per avvicinarsi al centro dell’azione orienta già la volontà. Di fatto non c’è azione più rapida, più impegnata, più impetuosa e con più fede del salvataggio. Lo spirito allora stabilisce il progetto nel momento stesso in cui lo realizza. È allora che si comprende che lo spirito è nel mondo.
Dove sta dunque la scuola dell’uomo? La troverete nell’Emilio. Rousseau immaginava che il suo Emilio fosse catturato in mare e venduto come schiavo; ed è su questa base che lo giudicava. “Reggerà? Si renderà prezioso agli occhi del maestro? Sarà lui quello che si affranca? Sarà lui quello che evade? Sarà un uomo?”. Grande idea; ancor oggi nuova; sempre nuova. L’uomo libero non è membro di una vasta impresa per la libertà; è un uomo che sa volere, agire, osare, alle frontiere stesse del proprio corpo. E la somma di tanti uomini liberi darà sempre una nazione libera. Ma lo spirito deve essere manuale: l’intera questione sta qui.
17 aprile 1932
[Alain, Minerve ou de la sagesse, La Table Ronde, Paris 2001 (prima ed. Paul Hartmann, Paris 1939), pp. 258-260; traduzione di Giacomo Corazzol]