di Alain, a cura di Giacomo Corazzol
Nuovo appuntamento con il filosofo francese Alain letto e tradotto da Giacomo Corazzol.
Il mio simile, di Alain
L’idea che mi faccio del mio simile è un’idea. Non è poco. Perché sono le differenze ciò che l’idea mi getta in faccia. In base alla sua forma e ai suoi movimenti, in base al suo inimitabile modo di parlare, in base a ciò che ha visto e a ciò che vede, in base a ciò che sa fare, e ancora in base al mondo di segreti che racchiude, che ignoro, so che egli è altro ed estraneo. Ma lo voglio simile a me, il mio simile; lo cerco tale; non mi stanco di bussare alla porta.
Grazie alla geometria lo riconosco come mio simile; e Socrate fece una gran cosa il giorno in cui propose quadrato e diagonale, tracciati sulla sabbia, non ad Alcibiade né a Menone né a un altro di quei brillanti signori, ma a un giovane schiavo incaricato di portare i mantelli. In questo modo Socrate cercava il suo simile, e lo chiamava in questa solitudine degli esseri che è realizzata dalla società. Formava dunque un’altra società, quella dei suoi simili; li invitava, li inseguiva, ma non poteva forzarli; non poteva né lo voleva. Colui che imita perché forzato mi è tanto estraneo quanto una scimmia. Chi imita per piacere non vale di più. Ciò che Socrate si attende è che l’altro sia finalmente se stesso, per governo interiore, e che non creda a nessuno, che non lusinghi nessuno, attento soltanto all’idea universale. A questo punto si riconoscono e si decretano uguali. Appare un’altra società.
Musica e poesia fanno ancora meglio in quanto il corpo in esse è presente. Che lo spirito vi sia tutto presente e che vi ritrovi la sua geometria nel movimento, nel numero, nell’accordo, nella simmetria, è molto. Ma l’altro miracolo sta in questo: che in tutte e due, grazie all’accordo di un gioco animato e della ragione astratta, l’alto e il basso sono riconciliati; ciò crea un grande momento e una riconoscenza più profonda. Non è più l’incontro e l’esperienza dello spirito umano, che già è bello; è l’incontro e l’esperienza della natura umana, vale a dire dell’umanità esistente. Si fa allora sentire l’immensa e invisibile società, così come avviene anche attorno ai monumenti, ai dipinti, ai disegni; ancor più silenziosa in questo museo in cui risuonano dei passi estranei che non sono estranei. Questi grandi testimoni del mio simile mi mettono in società, e subito, con l’uomo che non conosco, con l’artista morto, con il popolo antico che nutriva l’artista. L’umanità esiste.
Non noto alcuna tolleranza nelle arti, e nemmeno nella geometria. Ciò mi libera dalla triste amicizia che vorrebbe dirmi: “Lei è diverso, io sono diverso; sopportiamoci l’un l’altro, perché non possiamo fare di meglio”. Questa indulgenza fa sì che ogni dono vada perduto preventivamente. La grande amicizia, la grande fraternità è più esigente. Goethe ha detto questa cosa ammirevole: “Perdonate a tutti, perfino a coloro che amate”. Motto ammirevole, in quanto non si riesce a seguirlo. Perché se qualcuno si mostra insensibile alle arti, o recalcitrante di fronte alla geometria, non si può consolarsene se non disprezzandolo. Forse è chiedere troppo; ma non si ha il diritto di chiedere di meno. Il più bello è che, anche usando tutta la severità possibile, non si può forzare, perché è la libertà che vogliamo. Ciò che vogliamo è qualcosa che si faccia da sé; eccolo qui il mio simile. Si rifiuta di esserlo, mentre io voglio che lo sia. Ciò che gli getto in faccia, come si getta dell’acqua sul viso di uno che dorme, è la certezza che ho, che se lo vuole sarà mio simile; mio simile e mio modello, sì, con un solo moto dello spirito, o del cuore, o di entrambi. E attendo, secondo la bella immagine di Claudel1, attendo come attendeva Mosè dopo aver colpito la roccia col suo bastone. Attendersi una cosa simile da un poveruomo e anzi perfino da un povero bambino è molto importuno e molto severo. Questo tipo di severità è la sola cosa al mondo che sia buona. La carità non dà, chiede.
18 aprile 1927
[Alain, Propos, I, texte établi et présenté par Maurice Savin, Gallimard, Paris 1956, pp. 703-704; traduzione di Giacomo Corazzol]
- Paul Claudel, poeta, drammaturgo e diplomatico francese (1868-1955). NdT [↩]