di Alain, a cura di Giacomo Corazzol
Nuovo appuntamento con il filosofo francese Alain letto e tradotto da Giacomo Corazzol.
Il cielo a fette, di Alain
Una cartolina illustrata non ci mette in movimento in quanto non risponde al movimento. Quelle montagne resteranno sempre appiattite e lontane. Le montagne vere hanno anch’esse questo aspetto e non mutano in base ai nostri movimenti finché sono lontane; ma allora i primi piani sono affatto eloquenti e ci trascinano grazie al gioco delle prospettive. Se volete comprendere la potente azione che le cose esercitano sui nostri movimenti, pensate alla potenza d’arresto di un muro che ci si pari dinanzi all’improvviso o a quella di una scala che si apra di fronte ai nostri piedi. Gli eloquenti rilievi comunicano la loro solidità agli altri oggetti, e l’universo si incava a causa del nostro movimento all’indietro. È la violenza di simili movimenti a farci percepire una voragine. È così che l’essere si dispiega di fronte al passeggiatore; è così che la montagna si dischiude.
Nelle loro apparenze sulle prime immutabili e prive di pieghe compaiono altri enigmi: nasce così l’instancabile passione dell’alpinista; per chi l’ha scalata, la montagna non si vede meglio da lontano; al contrario, egli sa meglio degli altri ciò che essa nasconde. Da cui forse deriva il fatto che il montanaro sia il più intraprendente degli uomini. Nel suo podere nella Turenna il mezzadro non vede le cose abbastanza da lontano per desiderare di vederle più da vicino. Al contrario non appena l’orizzonte è lontano, bisogna andare a vedere; bisogna vincere questi aspetti immobili, senza realtà; il deserto vuole essere attraversato. L’architettura si definisce principalmente grazie al movimento che essa imprime al visitatore; essa non esprime altro se non un atteggiamento dell’uomo e una certa disposizione a provare i grandi incontri umani.
Ai vostri piedi il mare è affatto reale. Ciascuna delle onde che si frangono soddisfa lo spirito con la sua breve esistenza; ma la previsione, andando a cercar lontano altre onde dietro a quella, è ben debole di fronte all’apparenza di questo grande specchio tagliato dritto come un muro. Questo orizzonte non ha verità; bisogna dunque partire. Sull’isola di Groix c’è un punto da cui si vede la cintura blu che la serra d’intorno; l’isolano non può restare a casa.
I nostri sogni non ci muovono; e questo perché il minimo movimento fa crollare ogni cosa. Sogno di prendere una piccozza; ma questa mimica muta tutti i miei pensieri; ed ecco che sogno di coltivare il mio giardino. Mentre la cartolina illustrata non viene affatto cambiata dal mio movimento, il sogno cambia troppo. Solo la realtà cambia secondo le leggi della prospettiva. Per vivi che siano i nostri ricordi, non ci dobbiamo mai dare il disturbo di percorrerli; sembra piuttosto di passare da una cartolina illustrata ad un’altra; non è che un insieme di immagini mentali; non abbiamo modo di renderle reali attraverso l’esplorazione.
L’arte dello schermo mi mette questa verità sotto gli occhi. Chiunque può notare che, finché partecipano solo del movimento delle cose, le immagini proiettate sullo schermo sono prive di realtà. Al contrario, la proiezione di cose immobili, montagne, gole, le rive di un lago, non appena esse vengono messe in movimento dal movimento dell’osservatore stesso, assume subito un rilievo e una solidità stupefacenti. È ciò che avviene quando le vedute sono prese da un treno o da un’imbarcazione in movimento. Non so che cosa otterrebbe un passeggiatore che girasse la pellicola camminando; è verosimile che gli spettatori crederebbero subito di essere a passeggio e che i cambiamenti dell’apparenza darebbero rilievo agli oggetti; perché è il tipo di movimento che diamo alle cose tramite il nostro movimento a collocarle al loro posto e a conferir loro solidità. Fino a quando è sufficientemente distante da me perché i miei movimenti non ne mutino l’apparenza, il Panthéon non è che un’immagine piatta; se però vi giro attorno e alzo gli occhi verso l’alto, allora la cupola solleva il cielo. Ed è l’effetto di rendere visibili le fette d’aria, secondo l’espressione di Rodin, è questo effetto ciò che l’immagine fotografica non produce mai.
14 agosto 1923
[Alain, Propos, I, texte établi et présenté par Maurice Savin, Gallimard, Paris, 1956, pp. 518-520 ; traduzione di Giacomo Corazzol; il titolo è redazionale]