di Alain, a cura di Giacomo Corazzol
Nuovo appuntamento con il filosofo francese Alain letto e tradotto da Giacomo Corazzol.
La storia vera, di Alain
C’è un solido motivo per pensare che una storia vera, trascritta fedelmente, non possa fare un buon romanzo, ed è che la storia vera non la conosce mai nessuno. Gli attori sono irruenti e fuori di sé; ciascuno di loro, del resto, degli altri non coglie nient’altro se non l’aspetto esteriore e il movimento, e anche quelli solo a spizzichi e bocconi. Di un crimine o di una rissa, uno spettatore vede ancor meno; non ne è avvisato; i drammi reali si preparano sotto l’apparenza della cortesia e delle azioni abituali; l’azione è improvvisa, precipitosa, di fatto invisibile. Un giorno un uomo è caduto dal secondo piano giusto di fronte ai miei piedi. Che cosa ho visto? Allorché contempla il sangue e tutto il resto, uno spettatore pasteggia dunque, in un certo senso, con gli avanzi.
Il fatto che l’arte, in qualunque sua forma, abbia lo scopo di destare, attraverso dei segni, quel genere di emozioni che giunge fino all’orrore e allo stupore non è evidente. La parola scritta è sempre molto lontana dal poter eguagliare la cosa. Bisognerebbe dunque arrivare ai combattimenti tra gladiatori. Ma a questo proposito credo, sulla base dell’esperienza dei soldati, delle infermiere e dei medici, che l’abitudine renda prontamente insensibili a questo tipo di spettacoli. Le passioni sono fatte in maniera tale per cui, forse, vengono meno non appena non debbano più attendere. L’attesa rinnovata sarebbe dunque il vero strumento del tragico. E poiché gli eventi reali ci sorprendono sempre, chi li racconta così come li ha visti finisce ben presto per affaticare il lettore. Vediamo così che gli scrittori che conoscono il proprio mestiere ci distolgono dal considerare i tristi avanzi delle passioni. Citerò tre esempi: La Grande Bretèche e La donna abbandonata di Balzac e l’esecuzione di Julien Sorel ne Il rosso e il nero.
È, questo, un misurare le risorse dell’arte a partire dalla potenza dell’immaginazione, la quale ci trascina dall’emozione all’immagine e niente affatto dall’immagine all’emozione. A questo proposito ci istruisce quanto basta la paura, la quale si nutre di se stessa e rende come presente la cosa temuta, ma grazie alla sola potenza del turbamento corporeo. È il corpo umano, reale e presente, a recare testimonianza del fantasma; e crediamo di aver visto perché siamo sicuri di aver avuto paura. Seguendo lo stesso percorso, i romanzieri si guardano bene dal voler destare le emozioni e i sentimenti per mezzo di una descrizione delle cose; al contrario, è dipingendo i sentimenti e producendo, tramite i loro discorsi, un’ansia e un turbamento misurati che essi giungono a rendere come presenti le cose assenti. Qui non è il cadavere a fare l’emozione; al contrario è l’emozione a fare il cadavere. E come nella paura si crede di aver visto – e tanto meglio quanto minor agio si ha avuto di guardare –, allo stesso modo l’artista ci distoglie dal guardare in faccia la cosa, la quale altrimenti si dissolverebbe come fanno i fantasmi, e ci trascina verso altri pensieri. L’evento reale da cui ha tratto le proprie finzioni si trova dunque trasposto, ciò che non vediamo mai essendo il vero della finzione, e ciò che si è potuto vedere essendo al contrario sapientemente ridotto al ricordo di un’ombra, che è l’ombra di un’ombra.
16 dicembre 1921
[Alain, Propos de littérature, Paul Hartmann, Paris 1942, pp. 148-150 (la precedente edizione del 1934 è disponibile in linea, cliccando qui); Alain, Propos, I, texte établi et présenté par Maurice Savin, Gallimard, Paris 1956, pp. 343-345, sotto il titolo Histoire et roman. Traduzione di Giacomo Corazzol. Il titolo è redazionale.]
NdT. Per una traduzione italiana di La grande bretèche (“La grande bertesca”, si tratta del nome del maniero nobiliare teatro del racconto) e de La femme abandonnée (“La donna abbandonata”), scritti rispettivamente nel 1831 e nel 1832, si veda H. de Balzac, L’albergo rosso, a cura di Bruno Schacherl, Editori Riuniti, Roma 1984, pp. 73-107 (trad. di Clara Sereni) e H. de Balzac, La commedia umana. Racconti e novelle, a cura di Paola Decina Lombardi, 2 voll., Mondadori, Milano 1988, I, pp. 235-277. Su La grande bretèche (e per una diversa traduzione italiana del testo) vedi inoltre Mario Lavagetto, La macchina dell’errore: storia di una lettura, Einaudi, Torino 1996.
Le osservazioni di Alain potranno essere verificate e confrontate utilmente anche con il breve Ricordo di una battaglia di Italo Calvino. Cfr. Italo Calvino, La strada di San Giovanni, Mondadori, Milano 1995, pp. 57-67. (g.c.)