di Alain, a cura di Giacomo Corazzol
Nuovo appuntamento con il filosofo francese Alain letto e tradotto da Giacomo Corazzol.
La Grande Guerra raccontata ai bambini, di Alain
La Grande Guerra raccontata ai bambini. Bel titolo. Ma cosa dovremo trovare sotto questo titolo? Una pia menzogna o la verità nuda e cruda? A questo proposito sento i nostri politici ronzare come vespe. Ne conosco alcuni che addirittura si definiscono “storici” e che, prima ancora di scrivere una sola riga su questo soggetto immenso, si dicono sempre: «Non si tratta di sapere se è vero: si tratta di sapere se farà bene al nostro Paese». È sulla base di questo ragionamento che Dreyfus è stato condannato. Fortunatamente, quando si tratta di cose che hanno visto coi loro occhi, quelle stesse persone partono a testa bassa come arieti dicendo: «Non cambierò una sola parola; e se tutto questo non piace a chi non vede perché non vuole vedere, peggio per lui». Sono queste le visioni contrapposte – spesso compresenti nella stessa persona – in base alle quali i nostri maestri di scuola comporranno il loro racconto. E ancora una volta l’eterno Pilato porrà la domanda: «Che cos’è la verità?». Lo scetticismo è un mezzo elegante per tradire. Sì, nove volte su dieci – avrei detto in passato. Oggi, più istruito nelle astuzie della mente, sempre così servizievole, dico: dieci volte su dieci.
Va da sé che nessuno è in grado di ripercorrere la guerra nei suoi dettagli e di dire: «È andata così». Ma questo significa forse che siamo condannati a non avere altro che dei pamphlets pro o contro la guerra, pro o contro la politica tradizionale? Dare dei pamphlets ai bambini chiamati a formarsi e a esprimere la propria opinione in questo grande processo? Come fare? Ora, il maestro deve sapere che trarrà grandi lumi da un libro di Norton Cru che si intitola Testimoni e che comincia ora a far rumore nel mondo [Témoins: essai d’analyse et de critique des souvenirs de combattants édités en français de 1915 à 1928, pubblicato nel 1929 da Jean Norton Cru, NdT]. Pur avendolo letto con grande attenzione, non voglio tentare di dare in qualche riga un giudizio su quest’opera imponente. Qualcuno vi ha trovato degli errori, e l’atteggiamento di pregiudiziale ostilità nei confronti della guerra nonché la scelta deliberata dell’autore di escluderne qualsiasi notazione che potesse suggerire che in alcuni momenti la guerra sia bella o anche solo sopportabile balzano all’occhio. Qui il fante si erge a giudice degli stati maggiori; le mie stesse passioni trovano in queste pagine alimento di prima scelta. A questo proposito, però, voglio seguire un consiglio che ho spesso dato ad altri: «Esercitatevi a sostenere meglio possibile la tesi dell’avversario». È un metodo potente che ho trovato in Socrate. Si tratta di correggere le memorie di fanti come Pézard o Delvert confrontandole con G.Q.G. di Pierrefeu [G.Q.G Secteur I: trois ans au grand quartier général di Jean de Pierrefeu, pubblicato nel 1920, NdT], il quale tratteggia i pensieri e le passioni del centro direttivo. Grazie a questa lettura non ci si stupirà più del fatto che i capi, ignoranti del fango, della fatica e del reale stato delle cose, telefonassero freddamente: «Recuperare il terreno perduto, costi quel che costi». Sforzandosi, al contrario, di comprendere quel coraggio di un genere differente – un coraggio ostile a qualsiasi forma di pietà – ci si porrà il quesito: «Sarebbe potuto andare altrimenti?». È infatti chiaro che l’esecutore non può essere giudice di cosa può tentare e cosa no. In fin dei conti, questo gioco terribile ha delle regole. È molto importante, inoltre, considerare nel suo insieme e alla stregua di una macchina questo sistema di ferro così palesemente incurante della carne umana, che schiaccia e strazia con la sua punta agente, come fosse materia adibita a tale impiego.
Forse che questi strumenti, consentendoci di delineare il vero volto della guerra, ci assicureranno la pace? Di questo non so nulla. L’uomo è un animale irascibile che a volte si getta nella peggiore sventura anche solo per liberarsi da uno stato di attesa. Dico soltanto che bisogna sapere che cosa si vuole. Ai tempi del famoso Federico [Federico II il Grande, re di Prussia dal 1740 al 1786, NdT], si prendeva un uomo, lo si stordiva con racconti di gloria facile, a cui si aggiungeva una bottiglia di vino, e quello firmava, di certo ignaro dell’impegno che assumeva su di sé. Candido ha vissuto questa amara esperienza dalla A alla Z. Non credo che il metodo del reclutatore sia cambiato di molto. Ognuno deve solo chiedersi se accetta di fare il reclutatore e di ubriacare – letteralmente – la gioventù, così facile da ingannare, al fine di prepararla alla terribile avventura. Se avessi potuto beccare Candido prima che si mettesse a bere, avrei dovuto dipingergli crudemente le marce, la fame, il fango, gli assalti, la verga. O bisogna piuttosto addestrare gli uomini come i cavalli, ai quali si occlude la vista per curarli dalla paura che provano? In questo consiste insegnare il coraggio? Istruire significa ingannare? Quelli che credono a queste cose non osano mai dirlo apertamente. Essi dunque non possono confessare quello che fanno. Possono confessarlo a loro stessi? Ora, è questa timidezza dei poteri – che non mi inganna mai – la nostra sola arma. Se uno queste cose le sa bene, ha già spezzato una maglia della catena; tutto subito si allenta; non ci vuole altro che un po’ di pazienza.
17 maggio 1930
[tratto da Alain, Propos sur l’éducation, suivis de Pédagogie enfantine (1932), édition revue et augmentée par Robert Bourgne, PUF, Paris 1984, pp. 202-205; di questi propos esiste già una traduzione italiana: Alain, Pensieri sull’educazione, traduzione di Mario Petroni (basata sull’edizione PUF, Paris 1963), Armando editore, Roma 1966 (centesimo volume della collezione “I problemi della pedagogia” a cura di Luigi Volpicelli); per quello che presentiamo qui, cfr. il numero LXXXI, pp. 178-180.]