Da due interviste a un musicista operaio
Pubblichiamo brani tratti da due interviste realizzate, nel 2008, da Maria Luciana Granzotto e Claudio Pasqual a un musicista operaio che ha lavorato dal 1991 al 2013 nell’area del Petrolchimico di Marghera, alla 3V CPM, che oggi porta il nome 3V Sigma. È la fabbrica andata a fuoco il 15 maggio 2020. Con un pensiero ai dati sull’inquinamento dell’aria, sul terreno e in laguna, il nostro sostegno ai lavoratori che da anni sono mobilitati per la sicurezza in fabbrica, e la nostra solidarietà ai due operai feriti nell’esplosione.
Ci sono andato apposta in fabbrica, non per necessità
Da ragazzino sentivo parlare i fratelli più grandi degli operai, che bisogna aiutarli, essere solidali. Sono entrato in fabbrica a una età avanzata, avevo 29 anni, e avevo un’idea…, poi essendo un musicista… All’epoca mi ricordo c’era un grande cantante napoletano che lavorava a Pomigliano d’Arco e il fatto che questo cantante famoso, almeno a me sembrava famoso anche se magari non lo era, fosse anche un operaio era qualcosa di eroico per me. Era Carlo D’Angiò. Era un’idea quasi romantica del mestiere, ci sono andato apposta in fabbrica, non per necessità. Per una questione estetica, mi sembrava bello, non avevo un diploma tecnico, purtroppo, ho un diploma di liceo artistico. Avevo una visione romantica anche perché negli anni ’70… la classe operaia esisteva, non era un mito.
All’epoca la classe operaia era una realtà, una realtà sociale forte, presente nel paese. Oggi la classe operaia non esiste proprio più, nessuno si presenta “Sono operaio”, si inventerà qualcosa, sono operatore chimico… Cambierà il nome pur di non apparire un operaio.
All’epoca andare in un posto così appariva interessante e poi anche per la musica, nel mio caso, nel senso che è la musica che proviene dai rumori… lo trovo interessante. Mi occupo di musica contemporanea, molto moderna, perciò anche se faccio musica tonale, anche leggera, è prettamente molto, molto moderna. Andare in fabbrica è il punto estremo in cui il suono si trasforma in rumore. Ho fatto questa cazzata, sono andato lì. Era il ’91. Ho scoperto che la cosa che più mi affascinava in realtà non esisteva dentro la fabbrica: a) la classe operaia non esisteva; b) la classe operaia non era neanche di sinistra.
La fabbrica è il nemico?
È chiaro che la fabbrica è una cosa scomoda, soprattutto in un ambiente bellissimo. Se non avete visto Bagnoli non sapete quando una cosa brutta, brutta, brutta è in un ambiente paradisiaco. Nel nostro caso il nostro sito è quasi elegante, noi abbiamo la laguna, è piena di luci mentre lì è piena di polvere, di carbone. È una realtà scomoda soprattutto per chi ci lavora perché io sono ambientalista, biologico, ecologico, e lavoro in un posto che è il perfetto contrario. Dobbiamo ammettere che qualsiasi cosa che c’è sopra a questo tavolo proviene dalle fabbriche dove lavoriamo noi. Nella nostra area si produce quasi il fabbisogno di tutto quello che abbiamo nelle nostre case, di questo abbiamo una scarsa coscienza, non sappiamo quanto abbiamo bisogno di fabbriche chimiche. Oppure dobbiamo essere in grado di decidere “io non ne ho bisogno” così però rifiuto quello che c’è sopra a questo tavolo.
È da anni che noi soffriamo nell’essere additati come gli inquinatori del paese, per certi versi se noi ci astraiamo da questa cosa… non possiamo definire la fabbrica esteticamente bella, non può essere bella! Non è certo la basilica di San Marco, non è palazzo Ducale, è una fabbrica.
Ho tanti amici che sono della “Associazione degli alberi”, del “bosco di Mestre”, del parco. Questi, quando parliamo, io sono continuamente in imbarazzo perché loro parlano per luoghi comuni e perché effettivamente pensano al bosco, all’albero, io penso invece alla fabbrica come luogo di lavoro e che quindi porta ricchezza al paese, ricchezza importante tra l’altro, non ricchezza con cui ci compriamo la macchina ma nel senso che ci dà da lavorare, produce qualcosa che è importante per il tenore di tutto il paese, non solo per il mio individuale. Partire lancia in resta contro il nemico che è la fabbrica lo trovo una cosa assurda! Assurda quando il problema dell’inquinamento e del futuro dell’ambiente, non solo di Porto Marghera che è un sito piccolo in confronto con tutto il resto, lo trovo abbastanza ridicolo. Abbiamo gravi urgenze, tipo le automobili, come se i carburanti fosse una cosa irrilevante. Abbiamo aerei che partono ogni secondo da New York, abbiamo il cielo che è un traforo… Mi sembra che ci sia, da parte di quelli che hanno una coscienza ambientalista, ci sia poco approfondimento delle problematiche perché effettivamente loro dicono…, è vero che possiamo rinunciare a tutto questo ma significa rinunciare veramente a tutto! Questo mi sembra che nessuno abbia intenzione di farlo.
Il lavoro lo fanno le macchine
La [mia] fabbrica è all’esterno, tutto quello che si produce è all’aperto, tutti quelli che devono lavorare lavorano all’aperto tranne la sala di controllo che opera con i programmi che seguono la produzione. Ci sono dei programmi che seguono lo svolgimento dalla materia prima fino al risultato finale, il prodotto finito. La prima immagine che ti appare quando si entra nella fabbrica chimica è una foresta immensa di tubi, camini, motori, pompe di ogni genere e misura. Non ci sono edifici, non ci sono posti chiusi dove la gente lavora, o la catena di montaggio. In realtà la visione che la gente ha della fabbrica è di un ambiente dove tutti sono in tuta con le chiavi inglesi che aprono e chiudono bulloni. In realtà il lavoro chimico è completamente diverso, è un lavoro di controllo. Il lavoro lo fanno le macchine, i tubi, le linee e le pompe, le colonne, i reattori. Sono chilometri di tubi, tutti molto vicini, quindi è difficile distinguere un tubo dall’altro, dove parte, dove finisce. Il primo impatto è di totale confusione oltre all’aspetto che è addirittura alieno. Non è una cosa familiare a nessuno, in nessun altro posto puoi vedere una concentrazione di elettricità, liquidi, vapori, motori così ravvicinata. Semplicemente per affrontarlo come lavoro dal punto di vista tecnico richiede un lungo apprendistato, nel senso che un operaio appena introdotto nella fabbrica non è subito produttivo, prima di un anno gironzolerà dentro la fabbrica in pieno panico.
La mia fabbrica non è come ci si immagina
Non c’è tanta gente che gira, persone che per dieci anni sono in un posto e non sapranno assolutamente niente di quello che accade a cinque metri di distanza. È molto strano come impatto visivo, ci sono delle persone che camminano, ci sono delle squadre che arrivano e aggiustano il tubo, poi i laboratori dove c’è la gente in camice che fa le analisi, però tutto molto isolato, tutto molto settario. Più ci si alza di livello e di professionalità e più devi gestire anche… Io per esempio faccio l’assistente, ho una squadra e controllo il lavoro attraverso la squadra, quindi devo conoscere il lavoro dalla base fino al mio livello.
Passa un camion, io so se quel camion può passare. Se passa un camion nella mia area lui non ci può essere se prima non è venuto da me.
Entro in turno, ho il libro delle consegne, cioè la squadra precedente compila tutte le operazioni effettuate durante le otto ore di lavoro. Il nostro lavoro è continuo, non posso uscire dalla fabbrica se non ricevo il cambio. Leggo e riconosco tutti i numeri, la prima cosa che si impara sono numeri, numeri, numeri. Ricordo cosa è il G24, G32, G42, G47, D22, D21, sono tutte pompe, serbatoi. Io so a memoria tutti i numeri delle condutture ed è la prima cosa che impari perché il linguaggio è quello, un linguaggio di numeri. Io vedo cosa succede, cosa mi hanno lasciato, se il lavoro è stato condotto bene, riconosco attraverso il libro delle consegne e i fogli di marcia che sono dei fogli che vengono compilati ogni due ore, quando vengono fatte le letture a mano. Vengono effettuate delle letture ogni due ore dal quadrista e quelle che noi chiamiamo letture sono i valori di pressione, temperature, portate, livelli di serbatoi e ci danno il polso della situazione, quello che è accaduto, come guardare la cartella sul letto dell’ammalato, la cartella clinica dell’impianto. Ci sono degli strumenti, manometri, termometri, ci sono delle registrazioni che sono effettuate in campo, certe a quadro, cioè il monitor del computer.
Bisogna imparare una serie di nozioni che per chi non ha studiato come me per esempio è un problema. La prima mezz’ora la passo così, leggo questa roba, capisco se tutto va bene o male… con gli operatori si fa il punto, è un lavoro di controllo e io devo essere certo che il prodotto finito sarà di ottima qualità con tutti i parametri richiesti, di risparmio, di recupero di tutte le materie che vengono utilizzate, una volta visto questo.
Mi preme dire che il nostro lavoro è in un certo qual senso specialistico e per certi versi poco impegnativo dal punto di vista manuale. Sono pochi i giovani che vengono a lavorare in fabbrica. Quando abbiamo bisogno di personale passano mesi prima di trovare personale che poi dobbiamo addestrare.
Superman non esiste: la sicurezza è un attimo
Una cosa voglio dire, questo è sempre stato un difetto che hanno avuto gli operai e che continua, sentirsi un po’ superiori alla media dell’umanità, sentirsi già analisti, quell’istinto…, chiamiamolo leggerezza. Mi riferisco ai chimici in particolare. Quando si fa sicurezza si dice: “Ricordati che non sei Superman!” Purtroppo dopo 10 anni che fai la stessa cosa e non è mai successo niente, dici: “E va ben, l’elmetto!” E invece si spacca un tubo dell’acido e ti fa un foro sulla testa! Quindi bisogna star molto attenti e noi cerchiamo di dire di non prendere le cose alla leggera anche se si sa che non succede niente, anche se un aereo non casca su questa fabbrica fate finta che stia succedendo di tutto, sempre. Gli occhiali, i guanti, le scarpe…, è un attimo! Io sono andato sotto un muletto col piede, se non avevo la scarpa antinfortunistica io sarei senza un piede.
Investimenti e deindustrializzazione
Posso raccontare un aneddoto: la nostra fabbrica è composta da tre impianti, un impianto che produce un liquido ad alto rendimento, un impianto che deve produrre moltissimo per guadagnare poco, e il terzo che è stato chiuso, era un impianto molto complesso che produceva un prodotto fondamentale per la nostra area. A un certo punto i cinesi lo hanno fatto anche loro, era uno sbiancante. Lo fanno i cinesi, la fabbrica non viene dismessa ma non si fa più la lavorazione, noi arriviamo fino a un certo punto dopodiché spediamo il liquido ai cinesi. Come spediamo questo liquido? Io penso, lo metteremo in botte, e invece lo spediamo in barili da 200 litri. I barili vanno in container che finiscono in nave e arrivano in Cina. Ma perché in barili quando si può spedire il liquido in autobotte che va in nave? Perché la fabbrica era in mezzo a una foresta, la manodopera è così numerosa che i cinesi tolgono i barili dai container e a mano, fanno rotolare i barili e li portano in fabbrica. Immaginatevi che razza di impegno e di forze mentre noi ci impieghiamo un attimo per fare la stessa cosa! Però a costi zero e monitoraggio zero! Questi barili bisogna scaldarli perché il prodotto è solido, quindi generano sporco, fumo, di un prodotto che è anche riconosciuto sospetto cancerogeno. Quindi noi abbiamo fatto tutte queste operazioni per risparmiare, a noi non piacciono le fabbriche qua, le preferiamo lontano da casa nostra, il prodotto è sospetto cancerogeno.
Ma cosa è successo? I cinesi non sono stupidi, quando si fa un vino, si fa il vino. Il cinese è vero che te lo fa quasi gratis, si compra i bar ma poi costa anche a lui, quindi o costa esattamente come prima o non vale niente. I cinesi dopo cinque anni hanno portato il prezzo di quel prodotto allo stesso prezzo di quando lo facevamo noialtri.
Il direttore telefona e dice che dobbiamo rimettere in marcia l’impianto. “Ma se è per terra?” Adesso costa troppo farlo ripartire, una cosa come… molti soldi…, una cifra enorme. Ma se all’epoca si fosse fatto uno sforzo, teniamo duro, teniamo il prezzo al limite, al prezzo di costo, tanto i cinesi non possono andare tanto avanti, dovranno alzare il prezzo! Sarebbe stato un investimento, non una speculazione, oggi si ragiona in termini di speculazione, non in termini di investimento, non si investe sul personale, non si investe sulla cultura, non si investe su niente perché se non hai una resa immediata sei finito! Perciò non produciamo niente, per questo la fabbrica è il motore principale di uno Stato, perché produce merce di scambio e se io non ho prodotto in mano non ho niente, non posso vendere idee, o meglio posso venderle fino a un certo punto. Le grandi città adesso pensano di vendere i musei perché credono che i privati riescano a farli funzionare meglio degli enti pubblici. Fa questa operazione senza sapere o nascondendo, ancora più grave, che qualsiasi fondazione culturale, come la Getty, la Rockfeller, è in rosso da sempre! Chi sono questi imprenditori che chiedono i soldi ai Comuni e pensano di gestire una cosa col bilancio in attivo? Oggi giorno è importante avere il motore che alimenta, il pane che si dà da mangiare alla gente! Non possiamo farlo con qualcosa che è inesistente.
Gerarchie
Mi chiedete delle gerarchie in fabbrica. Ci sono due tipi di gerarchie, una è quella che ci inventiamo noialtri: turnisti, giornalieri, i meccanici meno importanti dei saldatori, per far un esempio il saldatore è come il “faraone”. Arriva con l’elettrodo a sinistra e la pistola a destra, viene seguito da tutta la corte. Arriva sul posto, il meccanico di fiducia del “faraone” prepara tutto prima dell’intervento. Il “faraone” chiede se tutto è a posto, va e lavora. Anche con l’ombrello! Questa è una forma di gerarchia. Il “faraone” salda, si solleva, arriva l’altro meccanico che gratta via la parte, la pulisce, torna e salda un altro punto. In effetti il saldatore si sente più “genio” di uno che rimette a posto il computer e fa ripartire l’impianto.
Questa è la gerarchia completamente immaginaria che abbiamo noialtri. Noi che siamo gli operai ci sentiamo degli eroi, tutti gli altri sono delle “comparse” nel nostro film. Per quanto riguarda la gerarchia reale posso fare una gerarchia minima, perché è una fabbrica proprio piccola. Il più basso di tutti è il rampista, una persona addetta alla rampa di carico e scarico delle autobotte. Per imparare come funziona l’impianto deve fare il rampista, quindi capisce come deve movimentare, accendere le pompe, usare le valvole. Subito dopo, parlo in termine di livelli, di busta paga, c’è l’operatore di impianto. Gli operatori hanno un livello minimo per essere autosufficienti, c’è il magazziniere del magazzino materiali che è più o meno parificato agli operatori. Poi c’è l’impiegata, ne abbiamo una sola, che è parificata al mio livello di impiegato. La manutenzione ha un livello inferiore al mio, ma non c’è più. C’è il capo manutenzione che è un quadro, responsabile degli acquisti. Poi c’è un ufficio che si occupa di modifiche di impianto, un ufficio che si occupa di produzione e il direttore. All’ufficio di modifica impianti generalmente ci sono ingegneri, alla produzione c’è un dottore in chimica, ed è il mio capo diretto. Nel terzo ufficio c’è il direttore e nel caso mio c’è l’amministratore delegato, non il proprietario. Questo dipende dalla proprietà.
Questi sono tutti presenti in fabbrica, anche l’amministratore delegato, fa le sue otto ore di giornaliero, perché è un inferiore rispetto agli altri turnisti (risate) nel senso che la produzione non può prescindere dalla nostra presenza, tutti gli altri possono essere assenti. Arriva un controllo, la Spisal, viene a vedere e chiede cosa abbiamo fatto di una cosa, e purtroppo me ne sono occupato io. L’amministratore entra dentro, quello del controllo si avvicina, l’amministratore comincia a spiegare: “Questo è l’ufficio, questo è l’assistente (e mi indica), questo è l’operaio, questo è il monitor del computer.” Ci guardiamo esterrefatti. Lo porta fuori e gli mostra la caldaia che aveva fatto un piccolo danno e non sapeva assolutamente niente! Quello dello Spisal, per contro, sapeva ancora meno! Uno ha raccontato una storia assolutamente inventata, l’altro ha fatto finta di capire, e sono stati contenti tutti e due! Se domani un ente che si occupasse di sicurezza chiamasse Maurizio e gli dicessero: “Vogliamo assumerti per sapere se veramente si stanno comportando correttamente con l’impianto” farebbero un affare! Se mi chiamassero io saprei subito dove andare, andrei subito a vedere i punti delicati e gli farei passare un brutto quarto d’ora.
Vecchi e giovani? In breve, i giovani non hanno nessun tipo di formazione, a parte quella scolastica. Il senso del sociale, della comunità sono ormai astrazioni, mentre, per quanto strano possa sembrare, in un’epoca che è non così distante, la classe operaia era comunque una comunità, che prevedeva delle regole e una formazione. Regole discutibili, atteggiamenti discutibili ma comunque formativi. È la fine di una tradizione, è una cosa che si è persa perché: a) i giovani non vogliono andare a lavorare in fabbrica; b) non sanno neanche che esistono le fabbriche; c) la gente non le vuole più le fabbriche. Stiamo perdendo un bene importante per la società, non solo dal punto di vista economico, ma anche sociale, civile. Io ho vissuto studente, in fabbrica, ho incontrato gli operai “veci”, quelli che hanno fatto il ’68, gli anni ’70, quando io avevo fatto gli anni ’70, quindi ho imparato direttamente dalle persone che di notte stavano attenti ai guardiani che andavano a spiarli e poi li facevano licenziare. Persone che hanno vissuto l’esperienza della fabbrica che ha portato al terrorismo! Queste persone hanno vissuto grandissime vessazioni che oggi, con uno sguardo rivolto al passato, non riusciremmo a capire che ci siano state queste vessazioni e tanto meno che queste vessazioni hanno portato a una violenza inaudita. La classe operaia era ignorante forse anche se era la più colta che avevamo, quindi a un torto subito rispondevano con un’immediata reazione. Quelli che avevano lavorato con me buttavano i sacchi di merda ai guardiani di notte. Questo girava, lo aspettavano e gli buttavano un secchio di merda addosso, merda vera! Un ambiente sì formativo ma anche molto duro e violento!
“Non sono secoli, nove anni fa”
Ho visto cambiare la fabbrica da così a così. Avevo il direttore che arrivava alla mattina guardava i fogli di marcia, guardava il quadro e sapeva già cosa era successo! Conosceva l’impianto perfettamente, sapeva esattamente dove si trovava qualsiasi valvola, tubo, macchina che stava lavorando. Se avevi una difficoltà gliela chiedevi e lui te la spiegava! E quando sbagliavi perché gli chiedevi una sciocchezza… Avevo assistito a una domanda di un capo che cercava di risolvere una questione e il suggerimento del direttore è stato “metti in vasi comunicanti i serbatoi”. E questa persona non sapeva il principio dei vasi comunicanti. Il direttore non gli ha detto “prendi due milioni al mese, non fai un cazzo e non sai cosa sono i vasi comunicanti!” Glielo ha spiegato una volta e questo “Non vede dottore che questo vaso è più grande…” E questo con umiltà glielo ha spiegato di nuovo. Questo per me è stata una cosa grandiosa, uno che sa una cosa più di te e non se ne fa un vanto ma la usa per insegnare, per formare le persone, per produrre! A un certo punto questo ha dovuto andare via. Il direttore della fabbrica ha detto “Io non posso più lavorare” perché se ho bisogno di comprare la carta igienica per gli operatori non ho soldi! Se si rompe la tavoletta del water bisogna stare senza! Siamo arrivati a questo punto! Non ce la faceva, è andato in un’altra fabbrica dove sperava che andasse meglio e invece anche lì ha capito che ormai tutto è cambiato. E non era eccezionale! Era una sana persona onesta che lavorava, che veniva al mattino e tornava a casa tardi alla sera!
Intorno al ’98-99…, in quell’anno ho cominciato a vedere…, e non sono secoli, nove anni fa, lì ho visto cambiare le cose. Ho visto arrivare i giovani “cravattoni” con la borsa di pelle che al posto del direttore del personale e dell’amministratore delegato che conosce la fabbrica altrettanto bene del direttore, che conosce le problematiche, che sa quanti uomini gli servono e perché gli servono, sono arrivati questi giovani, 35 anni, “cravattoni” con le scarpe dure e…, dicevano “Qui abbiamo fatti i conti…” “Sì ma qui ci sono problemi di sicurezza!” “Sicurezza? La sicurezza non è un problema…” Gli mancava la cuffia col microfonino.
I “cravattoni” da una parte, dall’altra che non …, io ho visto che si restringevano le risorse progressivamente, mentre prima eravamo una squadra composta da un certo numero di persone, con una sezione di tecnici e meccanici pronti disponibili 24 ore su 24, ad un certo punto mi sono trovato ad aggiustare le cose da solo. Hai presente il sottomarino rosa col reggiseno sulla pompa, stessa cosa…
Io non so quantificare le cifre, quindi… Eravamo al massimo della produzione, con un impianto che viaggiava da dieci anni a ciclo continuo, non si cambia niente, quello deve essere. Deve essere a posto, affilato come una lama di un rasoio, non si deve spostare niente! A un certo punto il direttore ci ha fatto fare una modifica su una colonna, sul prelievo della testa della colonna. Una modifica che è costata una cifra pazzesca e dopo una settimana abbiamo chiuso l’impianto. Una cifra grossa, di migliaia e migliaia di euro. Io non ci potevo credere, non credevo ai miei occhi perché questo impianto che andava avanti da dieci anni cominciava ad avere delle difficoltà perché ci obbligavano a fare delle manovre sbagliate fino a che hanno costruito questo armamentario inutile spendendo un sacco di soldi e dopo una settimana si chiude! Fanno finta di dire “stiamo andando forte” e invece chiudono.
Nota. Questi brani sono tratti da due interviste realizzate nel 2008, nella sede di storiAmestre, in via Ciardi, nel corso di due incontri sulle trasformazioni dell’identità operaia che avevano per titolo “Musicisti al Petrolchimico”. Alla prima intervista (6 marzo), condotta da Maria Luciana Granzotto e Claudio Pasqual, parteciparono con domande parecchi soci e socie; la seconda intervista (6 maggio 2008) fu realizzata solo da Maria Luciana Granzotto e Claudio Pasqual.
La trascrizione di entrambi i testi si deve a Maria Luciana Granzotto, che ricordiamo con affetto.
Il montaggio dei brani dalle due interviste che si presentano qui è a cura della redazione del sito con l’approvazione dall’intervistato.
Chiara dice
Molto interessante, a conferma che la descrizione/cronaca dal basso racconta sempre più cose e a più livelli… vista come è andata (incidente) sarebbe ora da fare la terza intervista.