di Antonio Di Maggio
Riceviamo e pubblichiamo una lettera del nostro amico Antonio Di Maggio che comincia con una coincidenza e con una poesia del 1882 dedicata alla tradizione veneziana di regalare un bocciolo di rosa a una donna per il 25 aprile, giorno di san Marco. E la Liberazione?
Venezia, 22 aprile 2017
Cara redazione,
anche nel 1882, come quest’anno, il 23 aprile cadeva di domenica. Guardate che poema si poteva leggere quel giorno sul Barababao “Zornal umoristico co caricature el vien fora tute le domeneghe”:
Da i più lontani secoli / Veciona xe l’usanza / A la novizza el bocolo / Darghe in sta circostanza, //
E xe sicome un simbolo / Del più costante amor, / In sta zornada dàrghelo / Proprio de vero cuor. //
Tuti, chi grando o picolo / ancuo ghe lo presenta, / Acciò che la morosa / possa restar contenta. //
E chi ga la fortuna, / De averlo grosso e belo, / Pol dir d’aver tocà / Le nuvole del cielo. //
Xe vero che in zornada / I afari xe cativi, / Ma chi voleu d’un bocolo / che sia in sto zorno privi? //
Sì, tuti, assìcurevelo / Ancuo lo tira fora; / Ch’el sia pur grando o picolo / Gnissun ghe varda sora. //
Beata quela tosa / Che ancuo lo gavarà, / E che de gusto in estasi / La se lo nasarà. //
E duro per el manego / Disendo: o benedeto / La se lo puserà / Sul verginal so peto. //
Da bravi zovenoti, / Mostreve generosi, / A la novizza el bocolo / Porteghe premurosi. //
E s’el ve costa caro / Do volte no pensé… // Compréghelo, donéghelo… / L’è picolo, ma el ghè. //
Da brave zovenote / No ste vardarghe sora, / Ciapélo come el capita / Se no, el ve scampa fora. //
O benedeto bòcolo / Ti possi ben trovar, / Una che assai pulito / Te sapia conservar. //
Viva San Marco e i bòcoli / Da i sposi regalai, / I grossi, i curti e i longhi / Da i spini ben curai. //
Beata la novizza / che ancùo lo gavarà, / Beato el so moroso / Che ghe lo donarà.
Ho ripescato la trascrizione da vecchi appunti per ricerche su Venezia alla fine dell’Ottocento, e non ho potuto resistere al richiamo della coincidenza tra le date.
Anche quest’anno è arrivato il tempo di bòcoli. Solo glorie del nostro vecio leon? Macché, riti mediterranei: per san Giorgio (Sant Jordi), il 23 aprile, a Barcellona si fa la stessa cosa, l’uomo regala un bocciolo di rosa alla donna, con in più un libro (a Venezia niente libro, se lo tiene stretto il leone). Il contorno di storie è più o meno lo stesso: medioevo, crociate, draghi, figliole da salvare o da far innamorare, sangue che schizza dappertutto soprattutto sulle rose, l’uomo più o meno in posa da eroe o martire.
Da quando sto a Venezia, celebro anch’io questo rito: che capiti il giorno della Liberazione mi è sempre parso una bella coincidenza, di quelle fatte apposta per essere inventate. Questo è il fiore per la bella e per il partigiano, da mettere nei vostri cannoni. In passato san Marco ha benedetto la rivoluzione del Quarantotto, l’annessione al regno d’Italia, il regime fascista e dal 1945 festeggia la Liberazione dopo l’occupazione nazifascista.
Avevo aperto il Barababao dopo aver letto sulla Nuova Venezia che la Giunta comunale di Venezia celebrerà il 25 aprile “Festa di San Marco” con musica di Vivaldi e la consegna di premi alle “eccellenze veneziane e metropolitane” a Palazzo Ducale. Per Giovanni Giusto, “Consigliere delegato alla Tutela delle Tradizioni”, si fa per “portare avanti una tradizione e cioè quella di festeggiare San Marco nella sua Piazza”. Premurandosi peraltro di evitare quei fraintendimenti avvenuti nella stessa occasione nel 2016: siamo veneziani, non venetisti, grosso modo dal V secolo d.C. ci chiudiamo in isola solo per difenderci dai barbari che “calano”.
Ho controllato i programmi ufficiali. Ci saranno due cerimoniali paralleli in piazza San Marco. Per la Liberazione si svolgono alla mattina e alla sera, per la precisione alle 9,30 si tiene un “Alzabandiera e onori resi dal Picchetto Militare Interforze” e alle 18,50 è prevista la “Cerimonia dell’Ammainabandiera e Onori resi dal Picchetto Militare Interforze”. Come sapete, da tempo i riti ufficiali del 25 aprile sono assegnati all’esercito che spesso trova inappropriato, se non proprio sovversivo, intonare Bella ciao.
Dalle 17, in Palazzo Ducale la “Festa di San Marco” su iniziativa dell’amministrazione comunale di Venezia, con la consegna dei premi, alla presenza dei sindaci di Venezia e dei comuni della “Città Metropolitana di Venezia”, e delle “maggiori autorità cittadine”; prima la musica (Vivaldi, secondo la Nuova, forse per accontentare quei venetisti che lo scorso anno avevano fischiato la musica di Giuseppe Verdi?). Entrata libera? No, solo su invito.
San Marco e la Liberazione si sono, in altre parole, spartiti lo spazio e il tempo cittadino. Oggi la compresenza dei due simboli è mal sopportata non tanto per la pressione di movimenti che si dicono rappresentanti dei Dogi e del Maggior Consiglio, ma per opera di una Giunta comunale che contrappone la festa del patrono della città a quella della Liberazione. La novità, e il suo significato politico, non è sfuggita al Secolo d’Italia online per esempio.
Tra i diversi risvolti m’interessa guardare al significato e all’uso della “tradizione”. Per la Liberazione niente balli popolari, ma picchetti militari. Per San Marco concerto nella piazza, Vivaldi, autorità schierate, tra il solenne e il lindo.
La poesia del 1882, firmata con lo pseudonimo Abagigi, ricorda che c’è stato un tempo in cui sulla tradizione si poteva scherzare (riprendendo l’aria di Dulcamara dell’Elisir d’amore); certo, è scritta da un uomo e i doppi sensi del lungo bocciolo sono quelli della goliardia, ma la donna è pur sempre quella intraprendente delle commedie di Goldoni e delle barcarole, e in ogni caso è un esempio di tradizione che mi piace portare all’attenzione anche al signor Consigliere Delegato alla Tutela delle Tradizioni, se alla tutela proprio ci teniamo.
Cordiali saluti
Antonio Di Maggio
PS Per chi volesse vedere l’originale: Abagigi, El bocolo a la novizza nel zorno de San Marco, “Barababao. Zornal umoristico co caricature el vien fora tute le domeneghe”, II, n. 16, 23 aprile 1882.