di Davide Zotto
Riceviamo e pubblichiamo una nuova lettura sulla prima guerra mondiale del nostro amico Davide Zotto.
Il revival del centenario della prima guerra mondiale mi ha dato finalmente lo spunto per comprare e leggere un libro che avevo visto citato in varie occasioni e che mi aveva colpito per il titolo particolare. È un famoso libro di memorie della grande guerra: il Diario di un imboscato di Attilio Frescura (1881-1943). Durante la guerra Frescura fu tenente ufficiale di comando, un ruolo che gli permise di trascorrere il periodo bellico nelle seconde linee. Non visse sulla propria pelle la trincea, ma vide – e nel diario raccontò – i feriti che tornavano dalla trincea e dagli “osservatòri” poté esaminare gli effetti devastanti del fuoco di interdizione. Un giorno un generale, saputo del suo incarico presso il comando, lo definì un “imboscato”, da cui il titolo del diario. Nella prefazione alla prima edizione, uscita nel 1919, stampata dalla tipografia Galla di Vicenza, Frescura sottolinea come «Il combattente abbia sempre qualcuno che è “imboscato” rispetto a sé». E per mantenere questa posizione di privilegio un “imboscato” deve eseguire le direttive superiori: il giudice deve comminare la fucilazione e il censore non può esimersi dal denunciare.
Quando uscì, il libro suscitò forti polemiche e le 2500 copie furono presto esaurite. Le due successive edizioni del 1920 e 1921 (pubblicate da altri editori) vennero purgate della vis polemica dell’autore, in particolare quella contro i giornalisti e la loro retorica militaresca. Solo nel 1930 venne edita (dall’editore Cappelli di Bologna) una nuova edizione, integrale a detta dell’autore, a “uso dei bibliofili”, ma poi ristampata ancora nel 1934. Fu questa l’edizione che Ugo Mursia ripubblicò nel 1981, su suggerimento di Mario Rigoni Stern, che firmò l’introduzione. Rigoni Stern caldeggiò la pubblicazione perché aveva letto il Diario di un imboscato da ragazzo, nonostante la proibizione paterna, e ne era rimasto colpito. Nella sua introduzione sottolinea come il testo fosse citato dagli storici, ma ormai sconosciuto al lettore comune. Per sottolineare il valore della testimonianza di Frescura, Rigoni Stern riprendeva il giudizio espresso da Mario Isnenghi nel suo I vinti di Caporetto, uscito nel 1967: “[Frescura] Ha parlato a favore della guerra ma il suo Diario di un imboscato è uno dei più puntigliosi nel documentare gli elementi di dissenso ed estraneità, che fanno dei soldati, rispetto a chi comanda e vuole la guerra, quasi gli abitanti di un altro pianeta”.
La ricerca della battuta e dell’ironia è costante nella scrittura del diario. Nonostante sia stato all’origine un interventista, Frescura non affronta la guerra con spirito eroico, è conscio della propria paura di morire: è proprio per salvare la pelle – dice – che ha imparato anche “le pratiche d’ufficio”.
La “pelle” è maestra d’ogni mestiere, di Attilio Frescura
1 marzo [1916]
È arrivata una brigata che ha in distribuzione una sola coperta. Qui fa un freddo cane e la coperta non basta.
Si sono chieste coperte all’ufficio di sanità, che ne ha in dotazione seimila; ma l’ufficio di sanità le ha negate: «debbono servire per gli eventuali malati».
Ed ha ragione. È scritto.
I soldati prendano il freddo e una brava polmonite. Si ammalino, insomma. Allora l’ufficio di sanità darà le coperte ai malati.
E poi dicono che la burocrazia non è logica!
Ci può essere, è vero, un piccolo dubbio: le coperte sono fatte per i malati o si debbono fare i malati per le coperte?
1 maggio [1916]
È arrivato il generale Cadorna, che ha visitato il nostro fronte. A tavola, in risposta al brindisi del nostro generale, S. E. il generale Cadorna ha detto che il nostro fronte è, qui, il meno profondo e che l’offensiva austriaca è un «bluff». «Comunque – egli ha concluso – bevo alla salute della bella divisione che saprà morire tutta, sino all’ultimo uomo, piuttosto che cedere un solo palmo di terreno…»
Come Sua Eccellenza concilii la nostra salute con la morte non sono riuscito a capire…
Il generalissimo ha quello speciale sorriso buono che hanno sempre, come una maschera, gli uomini severi.
A tavola egli era sereno, tranquillo; parlava con brio, come un buon camerata.
Egli ha capelli bianchissimi, il viso rosso, in cui il naso si accampa fortemente, segnato da una cicatrice. Un colpo di sciabola, dicono.
Ho notato che ha dei denti lunghissimi, da avvocato.
8 agosto [1916]
Il comando [ad Aiello del Friuli] è ospite di un signore di qui, in una magnifica villa di puro stile secentesco. Stonano, con lo stile, il «tennis» nel parco e, nel salone, certe armature di cavalieri medioevali, false come un nazionalista.
11 settembre [1916]
Dove sono alloggiato una vecchia e due cognate attendono il loro uomini, che sono dall’altra parte.
Mi ha detto una di costoro, che ha imparato il frasario dei soldati, fra cui vive da tanto tempo:
«Manco mal che mio marito xe imboscà!»
«Imboscato? e come?»
«Eh, sì… el sona la tromba al campo de aviazion… »
«Suonava, prima?»
La donna ha avuto un lampo di malizia negli occhi nerissimi. E ha risposto, equivocando ad arte:
«Nol sonava, no, tanto… »
Poi ha ripreso:
«Cosa vuol che el suonassi, che el xe stonà come una campana! Mi non so come el gabi fato a imparar la tromba… »
«E voi suonate le vostre trombe, ché noi suoneremo le nostre campane!»
«Cosa el disi?»
«Che la “pelle”, buona donna, è maestra egregia di ogni mestiere! Figuratevi che io ho imparato le “pratiche d’ufficio”… ».
12 novembre [1916] [Frescura si trova a Torino e passeggiando incontra un mutilato civile che chiede l’elemosina.]
L’amputato mi ha detto:
«Le confesso, signore, che le cose vanno meglio per noi, da che c’è la guerra. Oh, non già che la gente mi scambi per un mutilato di guerra! La gente sa che i mutilati, i deformati, gli sfigurati, le maschere orribili e i pietosi moncherini di uomini che la guerra produce ogni giorno, sono tenuti lontano, per ora. Non circolano. Appariranno dopo. Essi sarebbero, ora, una terribile propaganda contro la guerra. Forse, se apparissero nelle città non ancora abituate alla guerra, una terribile reazione avverrebbe nella folla che urlerebbe: basta! Ma la folla, quella impellicciata che si seccava di sbottonarsi per darci un soldo, o di aprire la borsetta, o aveva un certo pudore di fare la carità in pubblico, quella ha tutta, ora, un figlio, un fratello, un marito alla guerra. Non c’è che il dolore, la superstizione, la contabilità religiosa del “dare” e “avere” con Dio, che rendano pietosi o, almeno, caritatevoli. Tutta questa folla oggi ha nel mio moncherino un ammonimento e un presagio. E come lei, signore, ha compiuto un rapido gesto di scongiuro, essi compiono quello di lasciar cadere nel mio cappello una moneta, che è spesso d’argento.»
22 novembre [1916]
Una intercettazione telefonica ci porta la notizia che è morto l’Imperatore d’Austria Francesco Giuseppe.
Me ne infischio. Perché la guerra non cesserà, né io gli succederò.
26 gennaio [1917]
Passando per Saciletto, nell’alba chiara, una scarica di fucileria mi ha fatto sobbalzare nel veicolo in cui si intirizziva la mia dormiveglia.
Ho chiesto:
«Dove siamo?»
«A Saciletto. C’è il tribunale di guerra, qui. Hanno fucilato qualcuno. Succede sempre…Il paese, ormai, si chiama “Fuciletto”…»
29 marzo [1917]
C’è una curiosa colonia in questo camposanto di San Pietro d’Isonzo. Ci vivono allegramente alcuni soldati, stuccatori, marmisti, scultori incaricati di sistemare degnamente qualche tomba. Da non si sa quanto tempo essi sistemano tombe, per tutti quei morti di cui qualcuno si occupa. Si sono resi indispensabili «e il lavoro non manca» mi ha detto uno di costoro, un fiorentino che fabbrica dei fieri angeli di cemento.
Di qui, costruendo monumenti carichi di simboli e pesanti di cemento e incidendovi della retorica eroica, questi «imboscati» della morte vedono passare i battaglioni che vanno a preparare il materiale per il loro lavoro.
8 aprile [1917]
Pasqua.
Al vicino paese di Turriaco i bersaglieri l’hanno festeggiata con la risurrezione del postribolo, a cui facevano ressa e che era stato chiuso perché la gazzarra era indegna. Allora gli uomini, abituati all’assalto, hanno travolto i carabinieri, hanno abbattuto le porte, sono entrati. Qualcuna della vestali è svenuta; una di esse è stata portata fuori in trionfo, nuda e sbigottita, «accompagnata da grida sediziose contro le istituzioni, e inneggianti alla fine della guerra».
Qualcuno, stasera, commentava con parole roventi il contegno bestiale di quegli uomini.
I quali hanno il torto di non aver appreso dalla guerra la compostezza squisita e le norme del perfetto gentiluomo che, fra un inchino corretto e un baciamano sapiente, consuma il suo fosforo nel salotto dell’ospite che gli versa il the, a cui ripete delle squisite velate porcherie, o bela tutta la retorica dell’Arcadia sui dividendi insanguinati delle industrie di guerra, o leggiucchia, fra un rutto e l’altro, la prosa sull’economia dei consumi e il «vincere bisogna» dei nazionalisti italiani.
14 novembre [1918]
Pare che andremo ad Adelsberg, il quale in italiano è stato ribattezzato Postumia, per via di un certo lontano console romano Avio Postumio, che è passato di qui. Sarà buffo però:
«Scusi, è questa la strada per Postumia?»
«Questa ze strada per Adelsberg. Postumia mai sentío nominar!»
Nota. Tratto da Attilio Frescura, Diario di un imboscato, prefazione di Mario Rigoni Stern, Mursia, Milano 1999, pp. 50, 54, 113, 122, 157, 161, 173, 186, 187-188, 331. L’edizione Mursia fu preceduta ancora, oltre che da quelle già citate, da quella contenuta in Attilio Frescura, Arturo Stanghellini, Giuseppe Scortecci, Tre romanzi della grande guerra, a cura di Mario Schettini, Longanesi, Milano 1966 (il Diario di un imboscato alle pp. 41-292). Nella sua prefazione Rigoni Stern riprende da Mario Isnenghi, I vinti di Caporetto, Marsilio, Padova 1967 (la cit. a p. 128). (d.z.)
Eva Allenbach dice
Sono un’attrice della compagnia teatrale romana “Isola Teatro” e portiamo in scena lo spettacolo “Friendly Feuer – Una polifonia europea” che tratta il tema dei disertori durante la prima guerra mondiale sul fronte italiano. Andremo in scena il 28, il 29 e il 30 aprile 2016 al Teatro India http://teatrodiroma.net/doc/3692/friendly-feuer e leggendo questo interessante articolo sul libro di Attilio Frescura e il suo libro ” Diario di un imboscato” ho pensato che magari potrebbe interessare altri lettori di questo articolo