di Piero Brunello
Dopo l’intervento del dicembre scorso, Piero Brunello torna sul referendum per la divisione del Comune di Venezia. Recuperando gli appunti presi ascoltando una relazione di Simon Parker su esperienze di decentramento amministrativo a Londra e a Bologna tenuta nella sala dell’allora Consiglio di Quartiere di Zelarino nel 1990, invita a rimettere al centro della discussione i temi del decentramento, dell’autonomia e del funzionamento dei servizi, a fronte delle effettive politiche dell’amministrazione comunale di Venezia, che ha esautorato le municipalità e cancellato i luoghi pubblici. Una “città possibile” si dovrebbe costruire a partire da queste basi.
L’ultimo referendum per la divisione o meno del Comune di Venezia nei due Comuni di Venezia e di Mestre è stato un’altra occasione persa, e non perché il quesito fosse inutile come è sembrato a molti astensionisti (come è noto la grande maggioranza degli elettori), ma perché si è discusso molto poco di servizi, decentramento e autonomia, ovvero del quadro istituzionale che consente o meno la partecipazione dei cittadini e il controllo sulle decisioni politiche: e tutto ciò dopo che sono state esautorate le municipalità e cancellati i luoghi pubblici. Discorsi simbolici a volontà (metafore basate sulla coppia, sulla famiglia, sulla maternità accettata o rifiutata, sulla contrapposizione città-campagna); discussioni su come promuovere livelli di democrazia nei processi decisionali, molto poco.
Pensando a questa situazione, ho recuperato degli appunti che avevo preso ascoltando una relazione tenuta da Simon Parker il 2 maggio 1990 al Consiglio di Quartiere di Zelarino, dal titolo L’esperienza del decentramento amministrativo a Londra e Bologna dagli anni ’70 a oggi: analisi comparata. Grazie a Paul Ginsborg avevo conosciuto Simon a Cambridge, dove faceva un dottorato in Scienze Politiche e Sociali, e i suoi studi sulle esperienze di decentramento nelle grandi città (ricordo le letture che mi aveva consigliato sulla Scandinavia) mi erano sembrati molto utili per il caso di Mestre. Quando invitai Simon a parlarci delle sue ricerche, storiAmestre era costituita ufficialmente da un paio d’anni, erano appena usciti gli Atti del convegno Centri e periferie. Mestre Venezia Quartieri, e di lì a pochi giorni si sarebbero svolte le elezioni per il rinnovo del Consiglio Comunale. Il tema affrontato da Simon Parker ci sembrava perciò un modo per riflettere su come assicurare la partecipazione democratica in una città, come Mestre, che, eccezione nel panorama italiano, contava oltre duecentomila abitanti senza essere non solo un capoluogo di provincia ma nemmeno un Comune autonomo. La città metropolitana non esisteva ancora, e le esperienze di Londra e di Bologna proponevano soluzioni, anche pratiche, di buona amministrazione.
Discussioni di altri tempi: assemblee di municipalità che si riuniscono una volta al mese per raccogliere lamentele e proteste, Consigli di quartiere dotati di budget, Consigli di quartiere basati su caseggiati o piccolo gruppi di strade, servizi sociali e culturali gestiti a livello di Municipalità e/o di Quartiere…
Discussioni di trent’anni fa possono forse essere di aiuto a immaginare una città possibile, riportando l’attenzione sul ruolo della partecipazione diretta e la verifica continua sugli eletti.
Appunti di Piero Brunello dalla conferenza di Simon Parker, L’esperienza del decentramento amministrativo a Londra e Bologna dagli anni ‘70 a oggi: analisi comparata, Zelarino 2 maggio 1990
1. Il maggiore esempio di decentramento attuato dal Partito laburista è a Islington. Islington si trova nel nord di Londra, con 180.000 abitanti, ha una popolazione multietnica. Vi abitano alcune delle più ricche e delle più povere famiglie della città. Circa meta delle case sono del Comune: qui abitano i più poveri: qui mancano opportunità, aree per giochi e svaghi, le case sono in cattivo stato.
Nel 1982 il Partito Laburista di Islington propose di suddividere il comune di Islington (o meglio, la municipalità, perché Islington fa parte del comune di Londra) in 24 quartieri. Il progetto fu attuato tra il 1986 e il 1988. In ciascun quartiere c’è una assemblea aperta alla cittadinanza, la quale discute le priorità della spesa, raccoglie le lamentele e le proteste alla presenza dei funzionari che si occupano della salute o della casa.
L’assemblea si riunisce ogni mese. Gli uffici del quartiere distribuiscono in anticipo agli abitanti l’ordine del giorno delle discussioni e rendono pubblico il verbale degli incontri. L’assemblea ha una funzione consultiva. Vi partecipano in genere le associazioni degli inquilini. I verbali delle riunioni sono inviati ai competenti uffici del comune che approvano o respingono le proposte, spiegando il perché hanno approvato o respinto.
2. Tower Hamlets è controllato dal Partito Liberal-Democratico. Ha un’alta popolazione asiatica. Dei 140.000 residenti, 35.000 vengono dal Bangladesh e abitano nelle case più povere del Comune. Accadono episodi di razzismo, ogni giorno vi sono assalti contro la popolazione asiatica.
Nel 1986 i Liberali e i Social-Democratici strapparono Tower Hamlets ai Laburisti. Divisero il comune (anche qui: municipalità) in 7 quartieri, ognuna delle quali di 20.000 abitanti. Tutti gli assessorati centrali furono chiusi (a eccezione della Presidenza) e assegnati a ciascuna di questa area. Ciascuna area fu dotata di uffici e collegata al vecchio centro con una rete di computer. I Consigli di quartiere furono resi autonomi, eletti dai cittadini, avevano i loro budget e il loro staff. Ogni rione consistente in 4-5000 elettori eleggevano i propri rappresentanti che facevano parte sia del Consiglio di quartiere sia del Consiglio della Municipalità. Tuttavia dopo un po’ il Consiglio della Municipalità aveva il compito di votare il budget annuale e stabilire le tasse municipali (oggi abolite dalla poll tax, tassa pro capite).
I Consigli di quartiere aveva responsabilità per tutte quelle questioni che prima erano prerogative della Municipalità (per esempio: costruzione, assegnazione, mantenimento delle case, servizi sociali, parchi e tempo libero, piani ambientali, licenze, ambiente, strade e trasporti, rifiuti, biblioteche, scuole).
I Liberali hanno il controllo di 3 sui 7 consigli di quartiere; il Partito Laburista osteggia il decentramento così avviato. Questo è il maggiore problema. Recentemente i Laburisti hanno attenuato la loro opposizione.
Negli ultimi mesi i Liberali hanno progettato di ridurre i quartieri portandoli a 1000-1500 abitanti. L’idea alla base è che i nuovi consigli di quartiere saranno basati su caseggiati o piccoli gruppi di strade.
3. Nel 1960 Bologna fu divisa in 15 quartieri. Ciascun Consiglio ebbe 20 rappresentanti, i quali inizialmente dovevano risiedere nel quartiere. Inizialmente erano nominati dai partiti in proporzione ai voti ricevuti nel comune. Il Presidente del Consiglio di Quartiere era nominato dal sindaco, quale “Aggiunto del sindaco”.
Nel 1974 i Consigli di Quartiere ebbero il potere di formulare indicazioni per il budget, l’urbanistica, il traffico, le licenze, l’edilizia. Inoltre presentavano progetti per l’istruzione, la salute, i servizi sociali; i progetti venivano discussi dal Consiglio comunale.
Nel 1975 i Consigli di quartiere ebbe veste legale. Nel 1976 ebbero funzioni deliberative. Le prime elezioni dei Consigli di Quartiere a suffragio universale furono nel 1980. Nel 1982 cominciò il trasferimento ai Consigli di Quartiere di alcune attività, quali servizi sociali, scuole, centri sociali, attività culturali. Nel 1985 i Quartieri furono dimezzati: da 18 a 9.
Nel 1988 il 25-30% del budget comunale era stato trasferito agli assessorati di quartiere, circa 55 miliardi di lire all’anno. Questo processo di decentramento non ha paragone in Italia.
Dal 1985 piccoli gruppi di operatori sociali lavorano nei 9 quartieri (ciascuno dei quali ha dai 40 ai 50.000 abitanti). Da allora c’è un maggior coordinamento tra l’Assessorato per le politiche sociali e gli operatori delle USL, particolarmente nel campo dell’handicap, della tossicodipendenza, dei servizi agli anziani.
Centri giovanili continuano a esistere autonomamente gestiti, anche se la presenza di impiegati comunali e funzionari è maggiore.
La politica del decentramento in Bologna riguarda soprattutto la questione degli anziani. Bologna ha una delle più numerose e politicamente impegnate popolazioni di anziani in Italia. Più di 85.000 pensionati sono membri della CGIL, cioè il 19% della popolazione (che è di 450.000). L’ossatura del PCI è costituita da gente sopra i 60 anni.
Oggi l’80% dei servizi sociali offerti dal Comune di Bologna è amministrato dal Consiglio di Quartiere. I destinatari sono soprattutto gli anziani. I centri di quartiere impiegano 2500 dei 5000 dipendenti comunali: sono responsabili dei servizi per gli immigrati, dei progetti per i giovani e per le donne, della gestione di 14.000 abitazioni comunali, di 42 scuole materne e di 100 scuole elementari.
A differenza degli anni ’60 e ’70 (quando il Comune voleva avere il maggior controllo possibile sull’offerta di servizi), oggi si sottolinea l’autogestione, cioè l’importanza dei gruppi autogestiti di utenti. Il Comune addestra gli operatori sociali e lascia loro autonomia. Per esempio il Comune collabora con 1000 lavoratori volontari per gli anziani.
Generalmente ogni settimana si riuniscono le commissioni di quartiere: questo favorisce la discussione tra operatori sociali e utenti, e serve a raccogliere le proteste e i suggerimenti dei cittadini. In pratica queste commissioni sono dominate dagli anziani. Il Consiglio di Quartiere mantiene le funzioni deliberative, ma spesso accoglie le proposte delle commissioni. Inoltre ci sono i “Centri anziani”, spesso vicino agli uffici di quartiere. Sono autogestiti. Hanno mensa, bar, club.
I centri giovanili hanno un ruolo secondario. I giovani preferiscono passare il loro tempo a modo loro.
La difficoltà maggiore col decentramento è il fallimento di rendere effettivamente autonomi i quartieri. Sono stati considerati organi consultivi. Ci sono anche gli ostacoli frapposti dal governo centrale dello stato, maggiori che in Inghilterra. Ciascuna deliberazione controversa deve essere approvata dal Consiglio, dalla Giunta e (in caso di non schiacciante maggioranza) dal Comitato Regionale di Controllo. Il risultato è che ci vogliono 18 mesi per l’approvazione. Sono passati due anni perché si decidesse se affidare una ex-scuola a una cooperativa culturale, malgrado la decisione favorevole del CdQ: e ancora la decisione non è stata presa, perché è stato interessato il Comitato Regionale di Controllo.
Marco Fincardi dice
Ciao, buon anno nuovo.
Da un quarto di secolo i quartieri bolognesi sono stati dimezzati, poi anche deprivati di numerose funzioni. Difficile riconoscere la Bologna del 2020 in chi l’ha conosciuta nel 1990 (e già allora molte delle spinte partecipative dal basso erano parecchio affievolite o esaurite). Ciò non toglie che le idee di allora (o meglio ancora quelle partite dalla Bologna degli anni sessanta e settanta) possano risultare stimolanti per programmi odierni.