di Claudio Pasqual
Il nostro amico e socio Claudio Pasqual passa in rassegna le ventitré nuove intitolazioni di vie, piazze, rotonde, ponti, spazi pubblici deliberate dal Comune di Venezia tra il 2015 e il 2020, periodo che coincide con il primo mandato del sindaco Luigi Brugnaro. Uomini e donne, memorie extralocali e locali, esponenti della politica e del volontariato, dello sport e della vita religiosa, imprenditori e vittime. Con una riflessione sulle possibili motivazioni della giunta e una nota sull’intitolazione di una rotonda a Norma Cossetto.
…toponomastica, una nobile tradizione, e spiace
vederla ridotta a strumento di propaganda faziosa…
(Alberto Cavaglion, Decontaminare le memorie, Add, Torino 2021, p. 124)
A Luisa e Mario
1. Il geografo Giuseppe Muti, intervistato una volta sull’argomento, ha risposto che “denominare una strada è un’espressione di potere, che perpetua nel paesaggio urbano la memoria di personaggi, date ed eventi giudicati (da chi?) meritevoli di onorificenza pubblica, e produce luoghi della memoria controllando l’infrastruttura simbolica della società”. Diversamente che in passato, nella nostra epoca i nomi delle vie pertengono integralmente alla memoria culturale, comunicano valori, sono veicolo di ideologie – e per questo la loro scelta è spesso fonte di controversie –, sono uno dei modi in cui una comunità – o, più propriamente, la parte che vi esercita il potere – immagina e rappresenta sé stessa. Per questo il peso dell’odonomastica, termine con cui si indica la denominazione di vie e altre aree di circolazione e spazi pubblici (dal greco odòs, strada), non va sottostimato.
L’ambito amministrativo-istituzionale che ho preso in considerazione è il Comune di Venezia, la mia città; le intitolazioni stradali prese in esame sono quelle deliberate dal 2015 al 2020 dalla prima giunta guidata dal sindaco Luigi Brugnaro, a capo di una lista civica – la “lista fucsia” – in coalizione con Forza Italia, la Lega e, dal gennaio 2019, Fratelli d’Italia (nel 2020 Brugnaro ha rivinto le elezioni, sempre con i medesimi partiti, ma non mi occuperò qui delle intitolazioni della seconda giunta del sindaco imprenditore).
2. In cinque anni, le nuove intitolazioni sono state ventitré. Ventuno hanno riguardato persone – ma i nomi sono ventidue, per via di una dedica a una coppia di fratelli –, soltanto due un oggetto – il Ponte dei Zogatoli (“giocattoli”) a Venezia – e un atto giuridico – la Riviera diritti dei bambini, sul fiume Marzenego in centro a Mestre, in memoria della Convenzione ONU del 1989 sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza.
Di queste ventitré intitolazioni, soltanto due consistono in un cambiamento di nome: il ponte di San Giovanni Grisostomo, diventato dei Zogatoli, e il ponte Longo di Murano, ora Lino Toffolo. Un santo del IV secolo, una misura lineare: due sostituzioni senza eccessivi problemi. Chi contesterebbe un’intitolazione, al posto della seconda, all’amato cabarettista e attore muranese? E l’altro ponte, non lo chiamavano già tutti con quel nomignolo i veneziani, per via dello storico negozio che vendeva balocchi lì accanto?
3. La Venezia insulare è cristallizzata nella sua forma; in terraferma invece, anche se in misura minore e più lentamente che in passato, il tessuto urbano ha modo di espandersi, di modificarsi, di assistere alla creazione di nuove infrastrutture. Così, la giunta delibera appena tre volte per Venezia e Murano. Per inciso, piuttosto che l’apertura di nuove strade, in terraferma è la proliferazione di rotonde stradali e la decisione di attribuire loro un nome che spiegano in ampia parte il numero delle intitolazioni: undici su ventitré, dunque quasi la metà, sono le rotatorie; solamente tre le vie; il resto sono piazze, ponti, parchi, riviere. Eclatante il caso della contestata Vallenari bis, ultimata nel 2017 nella periferia est di Mestre e poi intitolata a Tina Anselmi, lungo il cui percorso si succedono ben otto rotonde in appena due chilometri.
4. Scorrendo la lista degli odonimi della prima giunta Brugnaro, si nota, come già detto, che sono quasi solo persone. In secondo luogo, il dosaggio tra sfera locale ed extralocale. In elenco figurano undici veneziani e undici non veneziani. “Credo che tutte le intitolazioni che ho sostenuto e promosso abbiano un aspetto che le accomuna, ovvero l’ascolto del territorio – ha detto una volta l’assessora competente Paola Mar per una via dal nome fortemente voluto dai residenti – […] a testimonianza del fatto che la toponomastica ha l’obiettivo di ricordare le persone più importanti e più ‘grandi’ per il territorio, per la comunità di cui fanno parte […], per avere contribuito a far nascere e crescere il senso di comunità”.
Altro aspetto importante: i maschi, le femmine. La presenza delle donne è più che doppia rispetto agli uomini, quindici a sette: il tetto delle “quote rosa” è stato scoperchiato. “Dopo l’intitolazione […] a Chiara Silvia Lubich […] e ad Eunice Kennedy […] – sono parole dell’assessora alla toponomastica – abbiamo deciso di proseguire con il dedicare importanti snodi viabilistici della città a donne che, con la loro vita, le loro azioni, i loro successi e il loro impegno hanno reso lustro a Venezia, all’Italia, all’Europa e al mondo intero. Una toponomastica tutta al femminile per dimostrare che la Città di Venezia riconosce a queste otto donne di essere, ancor oggi, un esempio per le nuove generazioni [il corsivo è mio]”.
Le succitate sono quelle che danno il nome alla Vallenari bis e alle sue rotatorie. “Proseguono le inaugurazioni al femminile – ancora la Mar – in questa nuova arteria di Mestre, intitolata a Tina Anselmi. È un po’ la strada delle donne ‘prime’: la prima a diventare ministro, la prima atleta olimpionica, la prima Premio Nobel, la prima regatante, la prima grande manager. Donne che nei loro rispettivi campi hanno portato il loro ingegno e il loro talento, ma che hanno inoltre aperto ‘la strada’ ad altre donne per potersi affermare anche in settori che per loro sino a quel momento sembravano preclusi”.
L’aggettivo “primo”, declinato al femminile, assume qui una duplice valenza: significa, e lo si dichiara esplicitamente, un inizio in ordine di tempo, ma contestualmente rimanda all’idea di primato, della conquista del vertice, del massimo traguardo. Tina Anselmi (1927-2016), staffetta partigiana nella Resistenza, sindacalista, dirigente della Democrazia Cristiana, è stata ministra del Lavoro nel 1976 e della Sanità nel 1978; è ricordata anche per il rigore e la dirittura dimostrati quale presidentessa della Commissione parlamentare di inchiesta sulla Loggia massonica P2 di Licio Gelli. La scienziata Marie Curie (1867-1934) ha ricevuto il premio Nobel due volte: nel 1903 per la fisica e nel 1911 per la chimica. Ondina Valla (1916-2006), campionessa di atletica leggera, è stata la prima italiana a vincere un’Olimpiade, negli 80 metri ostacoli, a Berlino nel 1936. La chioggiotta Maria Boscola, figlia di poveri ortolani, si affermò come grande regatante veneziana, vincitrice di numerose competizioni fra il 1740 e il 1784. Infine, particolarmente interessante, e meritevole di qualche considerazione dal contenuto forse non del tutto estraneo al background culturale degli amministratori veneziani, è la figura della dirigente industriale Maria Isabella, detta Marisa, Bellisario. Per lunghi anni all’Olivetti, parte della generazione pioniera di specialisti dell’elettronica in Italia, il nome di Marisa Bellisario (1935-1989) nella storia dell’economia nazionale è legato principalmente al risanamento e rilancio (con una forte riduzione del personale però contrattata con i sindacati e gestita, fra i primi casi in Italia, tramite prepensionamenti, ricollocazione e riqualificazione professionale dei lavoratori) della Italtel, società pubblica nel settore delle telecomunicazioni, della quale fu amministratrice delegata dal 1981 al 1988. Iscritta al Partito socialista, nel 1984, Bellisario entrò a far parte della Commissione Nazionale per la parità e le pari opportunità tra uomo e donna, istituita dal governo Craxi, come presidente della sezione per le nuove tecnologie.
Quando l’assessora Mar parla di “successi”, dunque, è questo che si è inclini a intendere: persone di successo, che abbiano ottenuto, cito dal vocabolario Treccani, “il riconoscimento […] dei propri meriti o l’approvazione del proprio operato da parte di un vasto pubblico”. Dei vincenti, insomma. E questo in generale, donne ma anche uomini. Personaggi di successo negli affari, nel dirigere e far crescere imprese, una fisionomia che corrisponde, sia detto per inciso, al profilo dell’imprenditore Brugnaro. A Bellisario si potrebbe affiancare un funzionario pubblico, Maria Luigia Leitenberger (1921-2009), direttrice della scuola professionale infermieristica e per assistenti sanitari cittadina, dedicazione richiesta dall’ordine professionale veneziano. L’intitolazione a personaggi di successo nello sport – Boscola e Valla – è molto in sintonia con la persona del sindaco, proprietario della società di basket Umana Reyer Venezia. C’è poi il successo nelle scienze e nella tecnica, nelle arti e nello spettacolo. Credo pochi ignorino chi fu Marie Curie o Louis Braille, l’inventore dell’alfabeto per ciechi. Una qualche sorpresa suscita invece l’incontro con una figura “irregolare” e sofferta quale la poetessa Alda Merini (1931-2009), ma a proporre il suo nome per la loro piazzetta messa a nuovo sono stati gli abitanti del rione Pertini riuniti in pubblica assemblea. Il compositore veneziano Gian Francesco Malipiero (1882-1973) per lo slargo accanto al teatro Toniolo è stato voluto dal sindaco stesso: un musicista classico, noto oggi a un pubblico che, mutuando l’espressione dal linguaggio del mercato, potremmo definire “di nicchia”. Lino Toffolo (1934-2016), cabarettista e attore, fuori di Venezia era forse stato dimenticato, ma da noi risultava circondato da grande affetto: a chiedere e ottenere di intitolargli qualcosa nella sua isola sin dall’anno della morte sono stati i cittadini stessi di Murano. Infine, dedicandogli nel 2020 il piccolo parco dietro il Centro culturale Candiani, la giunta ha voluto omaggiare l’impegno profuso per la sua città da Giuseppe Urbani de Gheltof (1899-1982), pittore minore nato a Venezia ma mestrino d’adozione e direttore della locale Scuola d’arte Napoleone Ticozzi. Lo si ricorda anche per aver fondato nel 1950 “L’istituendo Museo per Mestre e le Terre Circonvicine”, progetto mai attuato.
5. Per denominare nuove strade e spazi pubblici si attinge abbondantemente dal mondo religioso-ecclesiastico cattolico e dall’esperienza del volontariato, che potremmo considerare apparentati sul comune terreno dell’attività di “cura della persona” – cura del corpo, cura dell’anima. Essa è tradizionalmente affidata alle donne e infatti sono in prevalenza nomi femminili che incontriamo in questo gruppo di nuove intitolazioni. Vi figurano ben tre suore e un sacerdote. A Chiara Silvia Lubich (1920-2008), trentina, terziaria francescana, fondatrice del Movimento ecclesiale dei Focolari, è stata intitolata una rotonda lungo la via Castellana a Zelarino. Santa Teresa Benedetta della Croce, al secolo Edith Stein (1891-1942), filosofa ebrea convertita al cattolicesimo e monaca carmelitana, fu deportata e morì ad Auschwitz; canonizzata nel 1998, dal 1999 è compatrona d’Europa; a suo nome risulta una delle rotonde femminili su via Anselmi alla Bissuola.
Con Olga Gugelmo e don Ettore Fuin arriviamo ai personaggi locali. Suor Olga della Madre di Dio (1910-1943), della Congregazione delle Figlie della Chiesa – dalla quale è venuta la richiesta di intitolazione –, vicentina, fu giovanissima superiora della Casa di Mestre; serva di Dio (primo gradino nella causa di beatificazione), risulta essere oggetto di particolare venerazione in città – le consorelle la chiamano “santa di Mestre”; sua la rotonda vicino all’Istituto Tecnico Pacinotti in via Caneve.
Don Ettore Fuin (1922-2001) fu il fondatore e primo parroco – anche il mio parroco – della chiesa di Santa Barbara, tra la via Miranese e la Gazzera, officiandovi per trentadue anni, dal 1955 al 1987; il suo ricordo è ancora vivo nella gente del posto, se è vero che a chiedere che gli fosse intitolata la nuova strada tra le vie Mattuglie e Perlan è stata una petizione con 400 firme di residenti.
I nomi legati al volontariato e alle opere di beneficenza provengono dalla storia locale. Sola eccezione è la statunitense Eunice Kennedy Shriver (1921-2009), alla quale è stato dedicato il piccolo parco sorto nell’area di una ex cava su via Don Sturzo a Carpenedo. Sorella del presidente John Fitzgerald, l’appartenenza al clan Kennedy non ne fa tuttavia un personaggio famoso. Non so quanti sappiano che è stata la fondatrice nel 1968 del movimento internazionale Special Olympics, il più diffuso programma al mondo di attività sportive per persone con disabilità intellettive.
I fratelli Pietro e Maria Berna, filantropi, sono gli unici a ricordarci la vecchia Mestre. Pietro, qui nato nel 1840, di professione farmacista, notabile e amministratore locale, dà il nome all’istituto scolastico in via Bissuola – scuola parificata, un tempo anche convitto – da lui fondato; meno noto è per aver donato il terreno sul quale sorse l’ospedale Umberto I di Mestre.
Lyde Posti Cuneo (1920-2007), genovese trapiantata a Mestre, è figura del volontariato locale: dirigente provinciale e regionale dell’Associazione italiana Sclerosi Multipla – che ha chiesto per lei un’intitolazione –, organizzatrice di iniziative culturali, anche scrittrice: il suo nome è stato dato al ponte sull’Osellino che collega le vie Sansovino e Anselmi.
Il pugliese Luigi “Gigi” Russo (1942-2015), stimato ispettore di polizia per trent’anni presso il commissariato di Marghera, si è anche distinto per il suo impegno nel volontariato, come presidente dell’Associazione Sportiva Disabili di Venezia, che organizza attività sportive per non vedenti: gli è stata intitolata una strada in zona Panorama.
Russo è stato un uomo delle istituzioni. Lui e Tina Anselmi sono gli unici personaggi pubblici di questo genere nella lista. Con un sindaco, come Brugnaro stesso si è definito, né di destra né di sinistra, non meraviglia questa indifferenza verso il mondo della politica, per esponenti politici o statisti. Con Anselmi si può fare eccezione, ma per il suo ruolo istituzionale e perché rientra nella categoria delle “prime donne a”: “prima donna Ministro della Repubblica Italiana”, così sta scritto sotto il suo nome sui cartelli stradali che a ogni rotonda scandiscono la via. Che sia stata giovanissima staffetta partigiana durante la lotta di Liberazione, qui si tace. Eppure, nella scheda biografica allegata alla delibera di intitolazione, si menziona la sua partecipazione alla Resistenza.
C’è però molta politica nel “paradigma vittimario”, tanto in voga in questi nostri tempi, al quale anche la giunta veneziana non manca di aderire. I nomi sono quelli di Valeria Solesin (1987-2015) e Norma Cossetto (1920-1943). Ma se sulla prima, morta nell’eccidio del Bataclan di Parigi a opera di terroristi fondamentalisti islamici, si poteva prevedere un’unanime approvazione, altrettanto non ci si sarebbe aspettati con Norma Cossetto, figura legata alla vicenda delle foibe in Istria nel 1943 e 1945, campo di battaglia di una “guerra della memoria” ancora in pieno svolgimento.
Norma Cossetto, considerato il rilievo assunto dalla sua vicenda all’interno di un certo filone memoriale, quello sul “confine orientale” d’Italia, rappresenta un caso interessante di uso pubblico della storia. Fin dall’istituzione nel 2004 della Giornata del ricordo infatti, attorno al suo nome si sono create in Italia accese discussioni e aspre divisioni politiche, sulle quali si veda oltre, nella nota conclusiva.
Di questi scontri, di queste polemiche non ho trovato però traccia a Venezia: poche e scarne risultano le notizie reperibili in rete. Sappiamo che il nome di Cossetto è stato proposto con una nota del 7 dicembre 2018 dalla vicesindaca leghista Luciana Colle, ma non da dove e come sia provenuto eventualmente il suggerimento. Non risulta che, differentemente che altrove, sia stato presentato un ordine del giorno o mozione e l’argomento sia stato discusso in consiglio comunale. È possibile che la scelta della giovane istriana non abbia suscitato l’attenzione dell’opinione pubblica per le modalità della proposta: confusa in mezzo ad altre sei donne e con una motivazione comune per tutte, “avviare, anche attraverso la toponomastica cittadina, un’opera di valorizzazione delle numerose figure femminili che hanno segnato la storia del nostro Paese”. Nella delibera di Giunta del 4 febbraio 2019 Cossetto è definita, secondo una terminologia che ormai conosciamo, “martire delle foibe”. All’iniziativa della vicesindaca ha plaudito Raffaele Speranzon, esponente di FdI, che ha pubblicato su Facebook un video dell’inaugurazione. Nell’inazione delle forze antifasciste, la destra radicale veneziana ha avuto campo libero nell’opera di santificazione della sua eroina, sottolineandone la natura di simbolo: con la corona d’alloro e la fotografia di Cossetto appese al cartello stradale dal Comitato 10 febbraio, la rotonda è diventata monumento, un altare offerto al suo sacrificio.
Nota su Norma Cossetto e la diffusione del suo nome nell’odonomastica (2004-2021)
Norma Cossetto apparteneva a una famiglia italiana di agiati possidenti terrieri dell’Istria; il padre, fascista della prima ora, era un gerarca locale che aveva ricoperto importanti incarichi pubblici e di partito ed era al momento dei fatti arruolato come ufficiale nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. La giovane aveva ventitré anni quando fu uccisa, nelle settimane comprese fra l’8 settembre 1943 e l’occupazione tedesca dell’Istria ai primi di ottobre. Il suo corpo fu rinvenuto assieme ad altri cadaveri in fondo a una cavità carsica, una foiba, nel dicembre seguente.
“Assassinati solo perché italiani in Istria, Fiume e Dalmazia dai partigiani comunisti di Tito”: questa frase letta su una locandina torinese è un’efficace sintesi dell’interpretazione invariabilmente proposta dalle destre di questo Paese del fenomeno delle foibe, termine con cui si designano le violenze di massa contro militari e civili, in prevalenza ma non solo italiani, verificatesi in quei territori nel 1943 e 1945. Nella narrazione neo e postfascista, la morte violenta dei connazionali in Istria assume i connotati del martirio, per fedeltà alla patria italiana, e di questo sacrificio collettivo subito il neofascismo missino eleva Norma Cossetto a propria bandiera e simbolo speciale, oggetto di memoria e di culto: perché avrebbe rifiutato l’invito ad abiurare i suoi ideali patriottici; e perché donna e per le asserite ma mai acclarate circostanze della morte, per cui la giovane sarebbe stata vittima di stupro e sevizie prima di essere uccisa.
Con l’istituzione nel 2004 della Giornata del ricordo la sua figura esce dal recinto ristretto dei nostalgici del regime ed entra a far parte della memoria pubblica nazionale. Da allora una pluralità di attori, riconducibili in parte agli ambienti della destra, sia postfascista, Alleanza Nazionale e successivamente Fratelli d’Italia (FdI), che dell’estremismo neofascista, come il Comitato 10 Febbraio e CasaPound, in parte al mondo dell’associazionismo dei profughi giuliani, ha portato avanti, anche in collaborazione, un’opera di propaganda riguardo a Cossetto e di pressione sulle istituzioni al fine di ottenere il riconoscimento pubblico della sua figura. È stata messa in campo una pluralità di mezzi mediatici e di linguaggi: da forme più tradizionali di comunicazione politica – come la pubblicistica a stampa e sul web o la manifestazione nazionale “Una Rosa per Norma Cossetto”, organizzata dal 2019 con cadenza annuale dal Comitato 10 Febbraio – al cinema – il film Red Land (Istria Rossa) prodotto da Rai Cinema nel 2018 –, al fumetto – Foiba rossa. Norma Cossetto, storia di un’italiana, della casa editrice neofascista Ferrogallico. Il più alto attestato era arrivato già nel 2005 con l’assegnazione della medaglia d’oro al valor civile da parte del presidente della Repubblica Ciampi. Dell’onorificenza conferita dalla massima carica dello Stato si sono fatti forti i paladini della ragazza istriana, e veniamo finalmente all’aspetto che interessa in questa sede, per ricercarne un riconoscimento istituzionale diffuso, capillare. È partita così una serie di intitolazioni odonomastiche, parallelamente alla creazione di luoghi della memoria dei “martiri delle foibe”, a cominciare probabilmente da Gorizia nel 2009. Nel 2013 a Norma erano intitolate almeno ventiquattro tra vie, piazze, parchi, scuole, aule e biblioteche. Un cambio di passo è accaduto nel biennio appena trascorso, con un fuoco di fila di richieste, delibere, inaugurazioni. Nel 2020, in occasione del centenario della nascita, il Comitato 10 Febbraio ha promosso una campagna nazionale, “Un ricordo per Norma in ogni città”, per la dedicazione di aree pubbliche e monumenti a Cossetto. In otto anni il loro numero triplica: un elenco compilato nel marzo 2021 comprende 79 “città che hanno onorato nella propria toponomastica e memorialistica la giovane studentessa istriana”. Ma il movimento non si è ancora arrestato, altre si sono aggiunte o si aggiungeranno: una navigazione in internet che non ha sicuramente toccato tutti i porti mi ha permesso di individuare altri 40 Comuni dove è stata aperta una pratica intestata a Norma Cossetto.
Nei consigli comunali, l’argomentazione dei sostenitori della causa di Cossetto – nella massima parte dei casi FdI, ma qualche volta anche Forza Italia (FI) e Lega, spesso sollecitati da circoli e associazioni riconducibili sempre alla galassia dell’estrema destra – riproduce lo schema del paradigma vittimario. Al fine di aggiungere un nuovo tassello alla costruzione di una memoria condivisa, che legittimi il diritto di tutti gli attori politici a stare sulla scena pubblica nazionale, non è tuttavia sufficiente rappresentare genericamente Norma come una “vittima innocente e indifesa della guerra”, al pari di milioni di altre, e il suo ricordo pubblico un monito contro il ritorno della crudeltà e della violenza belliche, come invece proposto da alcuni amministratori nel loro ruolo istituzionale; e debole è rammentarne la figura per una denuncia dei totalitarismi, quando essa è parziale, nominandosi esclusivamente l’ideologia comunista e mai il nazifascismo.
Va diritto al punto il Comitato 10 Febbraio: Cossetto è una vittima speciale, perché “è un’eroina italiana, una donna che ha affrontato il martirio pur di non tradire il proprio amore per la nostra Nazione”. Il presidente Ciampi, conferendole la medaglia, l’ha definita una “luminosa testimonianza di coraggio e di amor patrio”. Norma è morta per l’attaccamento a questo sentimento e principio e valore, che dovrebbe accomunare tutti gli italiani. A corroborare la proposta, attualizzandone le motivazioni, si aggiunge l’argomento della violenza di genere, ritenuto capace di unificare l’opinione pubblica, per cui si arriva retrospettivamente ad applicare alla morte di Cossetto la categoria di femminicidio.
La risposta delle forze politiche della sinistra non è stata univoca né lineare. Nei consigli comunali e in commissione toponomastica la componente riformista rappresentata dal Pd si è ora opposta, ora astenuta, in qualche caso ha votato a favore, e questo sia dall’opposizione sia dov’era maggioranza. Nelle parole di un assessore fiorentino, il superamento delle “divisioni ideologiche del passato” lascia trasparire un’esigenza, speculare a quella della destra postfascista, di legittimazione politica degli eredi del comunismo. La sinistra radicale, e con essa l’Anpi, ha invece esplicitamente riconosciuto la natura di vittima senza colpe personali di Norma Cossetto, ma ha stigmatizzato nei proponenti la totale assenza di contestualizzazione dei fatti, osservando essi un assoluto silenzio sulle responsabilità del fascismo per l’oppressione, le persecuzioni e gli eccidi a danno delle popolazioni croate e slovene prima e durante la guerra, ai quali le violenze del 1943 e 1945 hanno rappresentato una reazione: Cossetto uccisa, dunque, non perché italiana ma perché identificata con il regime fascista in ragione dei suoi legami familiari e personali. L’immancabile, sistematico verdetto di colpevolezza pronunciato contro i “partigiani comunisti”, “slavi” o, sprezzantemente, “titini” sottende quindi una continuità con l’anticomunismo e il nazionalismo delle origini. L’attacco al movimento di liberazione iugoslavo tradisce inoltre il proposito di gettare discredito per via indiretta sulla Resistenza italiana.
La reazione delle varie destre a queste critiche ha raggiunto toni di forte asprezza polemica; le accuse ricorrenti sono di negazionismo e giustificazionismo, e di voler mantenere, operando distinzioni fra vittime di diverso colore politico, un clima di anacronistiche divisioni e di discordia nel Paese.
Bibliografia e sitografia
Sull’odonomastica uno sguardo storico-antropologico d’insieme in Deirdre Mask, Le vie che orientano. Storia, identità e potere dietro ai nomi delle strade, prefazione di Liza Candidi, trad. di Francesca Pé, Bollati Boringhieri, Torino 2020.
Per l’Italia si veda Sergio Raffaelli, I nomi delle vie, in I luoghi della memoria. Simboli e miti dell’Italia unita, a cura di Mario Isnenghi, Laterza, Roma-Bari 1996, pp. 217-242; Carlo Alberto Mastrelli, La normativa sull’odonomastica e gli stradari, in Odonomastica. Criteri e normative sulle denominazioni stradali, Atti del convegno (Trento 25 settembre 2002), Provincia autonoma, Soprintendenza per i beni librari e archivistici, Trento 2005, pp. 35-51; Attilio Carnabuci, Toponomastica e segnaletica di localizzazione del territorio, “Rivista giuridica della circolazione e dei trasporti”, 2010, 4, disponibile online. La dichiarazione di Giuseppe Muti, docente all’Università degli studi dell’Insubria, è tratta da un’intervista rilasciata a VareseNews disponibile online.
Sulle intitolazioni veneziane si veda, nel sito internet del Comune, la pagina https://www.comune.venezia.it/it/content/nuove-denominazioni, dalla quale si può accedere alla sezione “Delibere di Giunta”. Alla più parte delle delibere è allegata una scheda biografica della persona in oggetto, generalmente tratta, a eccezione di qualche figura locale, da Wikipedia. Ulteriori informazioni sulla vita dei prescelti e sugli iter di intitolazione sono state ricavate tramite una ricerca nominativa nel web, e in prevalenza dai giornali locali, a stampa (La Nuova Venezia, Il Gazzettino, Corriere del Veneto) e online (Metropolitano.it, Veneziatoday.it). Per Bellisario, in particolare, si veda, oltre a Wikipedia, la sua autobiografia, Donna e top manager. La mia storia, Rizzoli, Milano 1987; la scheda biografica nel sito della fondazione che porta il suo nome; la scheda negli “Archivi di impresa” del Ministero della Cultura; la voce omonima nell’Enciclopedia delle donne online.
Sulla vicenda delle foibe e di Norma Cossetto mi limito qui a suggerire, per un primo inquadramento della materia, Raul Pupo, Roberto Spazzali, Foibe, Bruno Mondadori, Milano 2003. Si vedano anche su questo sito le osservazioni di Marta Verginella, “Il perturbante nella storia”. Alcune precisazioni.
L’espressione “guerra della memoria” è dello storico Filippo Focardi, La guerra della memoria. La Resistenza nel dibattito politico italiano dal 1945 a oggi, Laterza, Roma-Bari 2005.
Sulle iniziative di promozione pubblica della figura di Cossetto e sui loro risultati le fonti principali sono il Comitato 10 febbraio e l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia. L’elenco di città del 2013 è in http://www.raffaelezanon.it/iniziative/10-febbraio-da-universita-tributo-a-norma-cossetto.html, tratto da altro elenco in http://arenadipola.it/index.php/90-notizie-ultime/666-elenco-delle-citta-che-hanno-onorato-i-nostri-morti; quello del 2021 in https://abitarearoma.it/a-pomezia-negata-intitolazione-dei-giardini-a-norma-cossetto/. Troppo lungo sarebbe nominare tutti Comuni rintracciati nella mia ricerca e le relative fonti. Posso descrivere il procedimento che ho utilizzato: “Una via per Norma Cossetto” su Google e poi una ricerca sempre sul browser per ciascuna località individuata, a partire dal sito web del Comune per proseguire con la stampa locale e con le pagine di partiti, movimenti politici e associazioni eventualmente intervenuti nel dibattito sull’intitolazione. Si veda per il caso di Firenze la dichiarazione dell’assessore Alessandro Martini.