di Michele Nani
Michele Nani ha risposto al nostro invito di intervenire su quanto accaduto a Parigi, proponendoci una breve raccolta di discorsi che si potevano leggere sui giornali dell’8 gennaio 2015.
Il vecchio Hegel riteneva la lettura dei giornali una “realistica benedizione mattutina”. Devo confessare che sempre più spesso mi sottraggo a quel rito: per mancanza di tempo, mi ripeto, giustificandomi; ma senz’altro la mia renitenza deriva dal ricorrente fastidio dinanzi ai luoghi comuni, alla pubblicità, alle strategie mediatiche. Sarà che studiare la storia porta a sprofondare nelle lunghe continuità, sarà che il “sempre-nuovo” rimanda al “sempre-uguale”, ma anche senza scomodare Braudel e Benjamin ci si stanca presto quando ogni evento viene descritto come esemplare o straordinario, dovendo incarnare lo spirito dei tempi o svolte epocali: a quel punto i giornali non servono più a “sapere come regolarsi”, come voleva Hegel. Forse anche per questo, sui recenti fatti parigini, alla Karl Kraus, “non mi viene in mente niente”. Avendo solo pensieri confusi e banali in testa, ho provato a vedere se si tratta di una condizione diffusa e ho sondato la risposta immediata alle stragi parigine delle prime pagine di alcuni fra i più venduti giornali italiani.
I loro titoli dell’8 gennaio 2015 convergono sull’“attacco”: Attacco alla libertà. Di tutti (“Corriere della sera”, CS), Attacco alla libertà (“Quotidiano nazionale”, QN), Attacco al cuore dell’Europa (“La stampa”, ST), Parigi sotto attacco, strage in redazione a Charlie Hebdo (“Il Sole-24 Ore”, SO) – solo “Repubblica” (RE) ricorre a un lessico diverso: Jihad, massacro nel giornale. I commenti e gli editoriali – ma lo stesso vale per la cronaca, qui non presa in esame – rimandano a un doppio registro di lettura, come sempre quando si tratta di comunicazione: documentano il senso comune del ceto mediatico-intellettuale e l’indirizzo politico promosso dalle testate.
1. Un mondo a parte
Gli assassini di Parigi gridavano “Allah è grande”. Per alcuni è un “dato inquietante” che evidenzia il “problema dell’Islam”. Riassumendo: “un insieme di religione, di cultura e storia, riguardante in totale circa un miliardo e mezzo di esseri umani, dove nel complesso […] vigono regole diverse e – questo il punto decisivo – perlopiù incompatibili con quelle che vigono in quasi tutte le altre parti del mondo”. Lo confermano, sempre en bloc, i diritti negati alle donne, la mancata separazione fra civile e religioso, l’assenza di libertà politiche e di stampa. Laggiù diritti e libertà sono letti “come una bestemmia contro l’Onnipotente da pagare con la morte” (Ernesto Galli della Loggia, L’undici settembre europeo, CS). Aveva ragione, scrivono altri sulla stessa falsariga, il cardinale Biffi: sono “meno [integrabili] perché musulmani e refrattari ai nostri valori” (Cesare De Carlo, Scontro di civiltà, QN). Questi “fondamentalisti” senza “volontà di integrarsi” sancirebbero il “canto del cigno” di entrambi i “modelli d’integrazione” europei, il multiculturalismo inglese e l’assimilazionismo francese (Riccardo Brizzi, L’integrazione fallita, QN). Accenti, per così dire, relativisti risuonano anche altrove, se il “terrorismo ci ricorda che i nostri valori più universali sono in realtà semplicemente occidentali” (Ezio Mauro, Il cuore dell’occidente, RE). Specularmente, il terrorismo “rifiuta la ricerca della verità e ricusa l’indipendenza di spirito”: ma “Il terrorismo islamico ancora di più” (Non siamo come loro, è la nostra forza, ST). I fondamentalisti imparano “a dividere il mondo: noi e loro”, con un “criterio identitario” che è una “conchiglia di sicurezza per attraversare tempi torbidi” (Domenico Quirico, Ora la jihad è tornata a casa, ST). Ma direi che non sono gli unici ad averne bisogno.
2. Fantasmi europei
Non tutti han la capacità di sintesi straniante di ridurre l’evento a un lapidario: “Ragazzi bigotti che uccidono vecchi libertini” (Michele Serra, La brigata dei libertini, RE). La minaccia “islamica” viene più spesso letta con categorie novecentesche ed europee, come ‘totalitarismo’: l’Europa rappresenta l’“antitesi” alla “sottomissione” a una “dottrina implacabilmente totalitaria” propugnata dai fondamentalisti (Pierluigi Battista, Quelle voci lasciate sole anche da noi, CS; oppure a un’“ideologia totalitaria e antiumanista”: Sofia Ventura, Democrazia sfregiata, QN); i fondamentalisti sono gli “inferi demoni del nostro passato di lotta contro il pensiero totalitario” (Brizzi, cit.). La “comunità” islamista è una “corrente che unisce la violenza barbara del Medioevo e le raffinatezze sistematiche dei totalitarismi moderni” (Quirico, cit.). La moderna barbarie si sovrappone all’antica: si riassumono dunque due tratti della storia europea in un modello già applicato per l’interpretazione della violenza nazista.
3. Già che ci siamo
Perché non approfittarne per un po’ di politica locale? Innanzi tutto gli autori di Charlie Hebdo erano e sono “lontanissimi dall’ideologismo militaresco della satira nostrana” (Battista, cit.). Per altri, invece, allo spettro opposto del piglio militare, quei “buonisti inguaribili” degli “intellettuali di sinistra”, per i quali “il terrorismo non riflette uno scontro di civiltà” e “non ha nulla a che fare con l’Islam”, alimentano “indulgenza”, “rassegnazione” e perfino “simpatia” per i nemici. Anche per questo la “volontà di distruzione” del nemico è “sottovalutata”, “mentre le navi della nostra marina danno al soccorso dei clandestini la priorità rispetto alle esigenze di sicurezza” (De Carlo, cit.). Come negarsi anche una dose di politica retrospettiva? Come resistere al parallelo infamante? Come non evocare lo spettro del comunismo? Impossibile: i combattenti islamici sarebbero “come i comunisti che parteciparono alla guerra di Spagna. La loro vita, il loro mestiere è la rivoluzione mondiale, bolscevichi verdi, ma questa volta non con la bandiera rossa; con quella nera dell’islam radicale. Al motto proletari di tutto il mondo unitevi si è sostituito ‘non c’è altro dio fuori che dio’” (Quirico, cit.). La stessa cosa, non c’è dubbio.
4. Noi
Il nuovo “11 settembre”, che sia francese/parigino (Bernardo Valli, L’11 settembre della Francia, RE; Cesare Martinetti, Una guerra ai nostri valori, ST) o europeo/nostro (Battista, cit.; Roberto Napoletano, L’anima e la ragione, SO), aprirebbe un’“altra fase”, con l’esplosione di una “guerra civile” che in Francia “covava” nelle periferie e nel dibattito pubblico (Martinetti, cit.). Allora occorre “recuperare questa consapevolezza di ciò che noi siamo. Si chiama Occidente” (Mauro, cit.). Non siamo come loro, è la nostra forza (cit.) è il titolo – che cita Vaclav Havel – dell’editoriale comune dei giornali del progetto “Europa”. Stiamo combattendo una “guerra di civiltà”, ma la nostra azione è contrassegnata da “inerzia verso la Siria” ed “esitazione verso il Califfato” (Adriano Sofri, Quel poliziotto chiamato Ahmed, RE). Non tutto torna, però, nella logica binaria o dualistica. Qualcuno infatti ricorda che gli assassini “sono nati tra noi, noi in fondo li abbiamo portati a essere ciò che sono” e che “assomigliano ai corpi speciali a cui abbiamo affidato la guerra renitente che conduciamo contro lo Stato islamico” (Quirico, cit.).
5. Antidoti?
Libertà di stampa e pluralismo, o forse la strategia di mercato che insegue la diversificazione dei lettori, permettono di trovare anche pensieri più problematici, spesso contraddittori rispetto ai messaggi veicolati a poche colonne di distanza. È “troppo semplicistico dire che si tratta di uno scontro Oriente-Occidente” o di una “guerra di civilizzazione” [recte “civiltà”, che traduce il francese civilisation], quando si tratterebbe invece di una “guerra fra musulmani” che miete fra i non-musulmani “vittime collaterali”; il riferimento al “mondo musulmano moderato” è saggiamente preceduto da un “cosiddetto” (qualcuno ha mai provato a pensare a cosa potrebbe mai significare ‘mondo cattolico moderato’?); le “repressioni cieche” e la “rappresaglia” sono ritenute una “trappola” (Massimo Serafini, Sono killer paramilitari, intervista a Jean François Deguzan, QN). Altri riconoscono, sia pure en passant, lo “scarto evidente” fra “principi” di libertà e “traduzione” politica e quotidiana (Mauro, cit.) o segnalano la complicata situazione dei musulmani in Europa (Tahar Ben Jelloun, L’altro islam è una vittima, RE). Per chiudere, una chiave passibile di letture meno consolanti di quella di chi la propone: “Oggi ciò che noi siamo è ciò di cui moriamo” (Mauro, cit.). Ma cosa siamo? Liberi, democratici, civili? Senz’altro, ma non solo. Siamo tutti Charlie, no? E allora diamo la parola a Charlie Hebdo: che si autodefiniva bête et méchant – che non significa, come qualcuno traduce, “bestiale e cattivo” (Martinetti, cit.), bensì molto più umanamente “stupido e cattivo”.