di Claudio Zanlorenzi
Nell’ottobre 2019, il nostro amico e socio Claudio Zanlorenzi, insieme a quattro amici, ha raggiunto Pola a piedi, partendo da Prebenico, al confine tra Italia e Slovenia. Ispirati da un libretto di Paolo Rumiz, la comitiva ha seguito un itinerario autonomo, in sette tappe per un totale circa 130 chilometri. Rientrato a casa, Claudio ha steso il resoconto che pubblichiamo con alcune foto e un postscriptum.
L’idea di fare qualche giorno in viaggio a piedi ce l’avevo da tempo. Poi, un segno: E. mi regala un libretto di Paolo Rumiz, La strada degli ulivi. A piedi da Trieste a Capo Promontore.
Letto d’un fiato, la decisione era presa. Le indicazioni topografiche parevano abbastanza precise, l’Istria la conosco abbastanza bene, ho cartine dettagliate della regione. Si può fare. Rumiz poi era tranciante: “Se volete trovare scuse per non partire ne troverete una infinità. Partite e basta. L’Istria non è l’Africa”. Allora vado. Da solo. Poi in realtà da solo dove vado? Sono finito fisicamente. E se mi faccio male? E poi non è meglio in compagnia?
Allora parlo in giro dell’idea. Le reazioni: 1) bello, vengo, ma facciamo il prossimo anno; 2) bello, ci penso; 3) bello, ma non dovevamo andare a fare il sentiero di Dante da Ravenna a Firenze?; 4) bello, a che ora partiamo domani?
Poi G., dopo qualche ora da quando avevo parlato della proposta a sua moglie, era già sulle cartine a studiare il percorso. Insieme buttiamo giù le tappe. Scopriamo che la strada degli ulivi non esiste, è solamente il percorso che ha scelto Rumiz per arrivare a Pola da Trieste. Lui stesso scrive “fatevi voi il vostro percorso”. E così noi facciamo. Abbiamo la possibilità di aprire una via nuova, la nostra via Trieste-Pola.
A questo proposito vanno dette due cose. La prima è che, a luglio, dalla mia amica che lavora nell’Ufficio turistico di Grisignana, bellissimo paesino istriano vicino a Buie, si sono presentati due giovani a chiedere informazioni per la visita del paese. Facevano parte di una cooperativa di giovani che volevano portare a piedi i turisti in Istria. Insomma il turismo a piedi avrà un futuro e noi non siamo i soli ad avere avuto questa idea. Seconda cosa il percorso fai da te è perfetto perché evita i soliti, bellissimi sentieri di santi, madonne, e processioni varie di cui l’Italia è piena dopo l’Anno Santo.
G., oltre alle cartine che già avevo, scarica da internet mappe dettagliatissime. Vuoi per scelta, vuoi per analfabetismo informatico, decidiamo di orientarci senza gps o tracciati satellitari. Solo carta. Il percorso viene definito meglio tappa dopo tappa. Si pensa a 100 chilometri. Alla fine saranno 130, e scopriremo che le mappe dettagliatissime, quando sei sul campo, servono fino a un certo punto. Quando quattro sentieri arrivano nello stesso luogo e sei in mezzo a una pietraia, ti affidi al sole e alla morfologia del terreno, persino alla auscultazione dei rombi delle macchine in lontananza (quando ci sono). Ho imparato che guardando l’orizzonte in cerca di luoghi su piantine che fai fatica a orientare, ti aiutano moltissimo i cipressi. In Istria i cipressi indicano quasi sempre un paese o una chiesa, e anche la più piccola chiesetta è sempre segnata.
Il gruppo
Alla fine tutti vengono. Siamo in cinque. Quattro pensionati e uno no. G., ingegnere ex libraio, G.Z. l’unico che contribuisce al prodotto interno lordo del nostro paese lavorando in soprintendenza, G.B., ex bancario, M. e io, già insegnanti.
A casa mia primo e unico incontro preparatorio. Il vangelo è sempre Rumiz: tassativo avere al massimo sei chili di bagaglio, alcuni etti di semi secchi da mangiare in viaggio, vestiario leggerissimo, e poi pomate, cerotti per le vesciche e scarpe comode. Alla fine nessuno di noi avrà meno di dieci-dodici chili di bagaglio, anche chi si porta indumenti di seta.
Giuriamo di fare allenamento tutti i giorni, manca più di un mese: abbiamo deciso di partire lunedì 7 ottobre. Ma io qualche giorno prima di fissare la data avevo sbattuto e fratturato il dito piccolo del piede quindi per i venti giorni seguenti sono bloccato.
Non conosco l’esperienza degli altri, non so come vivono la preparazione. Io con paura di non farcela, di farmi male lungo il percorso con la mia caviglia debole, con la cartilagine ai ginocchi che non c’è più. Alla fine farò Campocroce-Zelarino in una mattinata, 20 chilometri circa, e poi Campocroce-Pianiga, 10 chilometri. Dopo quest’ultima uscita, vesciche alle caviglie. Vendono dei cerotti fenomenali che eliminano il problema.
Una settimana prima della partenza G. va a Trieste, controlla gli orari dell’autobus, dove si trova la fermata, si fa portare fino a Prebenico, il punto di partenza e per due ore percorre il sentiero che dobbiamo fare. Meglio essere sicuri e non avere sorprese in partenza che ci potrebbero stroncare. Infine la questione è sempre: chi potrebbe non farcela?
Prenotiamo le prime tre notti. E se non ci arriviamo a Pola?
Alla fine arriva il giorno della partenza.
7 ottobre 2019 Trieste-Gračišče (Slovenia)
Il treno è partito da Mestre alle 6,45 e arrivato puntuale. A Trieste abbiamo tempo per una colazione in un bar vicino alla stazione prima di prendere un bus che anche lui spacca il minuto. Le nuvole lasciano spazio a un po’ di cielo. Scendiamo a Prebenico, zaini in spalla. Siamo saliti di quota, in basso vediamo la città di Trieste, il porto, il mare. Il paese è un borgo di case di pietra, carino, non c’è nessuno in giro. Passano tre ragazzi in bicicletta con il casco in testa. Ci fanno una foto.
Alle ore 10,20 si parte. Il sentiero è segnato e numerato ma non si capisce verso dove va. Faccio caso all’abbigliamento che abbiamo. Io sono vestito da insegnante di ginnastica in pensione, G. con scarpe e tenuta da camminata in montagna, cosa che – scopro – fa abitualmente; G.Z e G.B. hanno tenuta casual sportiva, mentre M. ha un elegante dressage che ho chiamato stile Vittadello (per chi lo ricorda era il negozio di abbigliamento simil elegante degli anni Settanta a Mestre).
L’inizio è in discesa in mezzo a un bosco, a tratti disagevole per il fondo sassoso e cedevole, ma ben evidente e si arriva al paese di Osp. Qui le case in pietra hanno l’orto con alberi da frutta, fiori e animali da cortile. Scopriamo che la stagione è ancora piena di ortaggi. Vediamo i primi caprioli. Il percorso si fa ondulato verso Crni Kal. Prima di Katinara, in corrispondenza del passaggio sotto l’autostrada, lo svincolo ha sconvolto l’assetto dei sentieri, ma riusciamo ad arrivare al ristorante Kraski Rob (“Ciglione Carsico”) alle ore 12. Non è ancora aperto e aspettiamo davanti alla porta. Il livello di prezzo è medio-alto, di buona qualità, ha camere. Sosta di un’ora e mezza poi ripartiamo.
La strada è subito ripida e la birra taglia le gambe a qualcuno. Il bosco che attraversiamo è attrezzato con aree di sosta, dà l’idea sia una meta frequentata dalle uscite fuori porta dei triestini. G. ha già assunto il comando del plotone gestendo il percorso tra vari attraversamenti della linea ferrata e lungo il bellissimo sentiero sul fianco del costone – ciglione carsico appunto – con viste affascinanti.
A un certo punto si apre una visione splendida: da una parte un muro di roccia con sulla sommità delle fortificazioni e dei paesini, sul fondo prati a pascolo con del bestiame e dall’altra boschi e in lontananza il mare.
Ho la sensazione di essere finalmente in pensione, di essere in una dimensione di libertà.
Incontriamo un villaggio con sagome in legno di contadini al lavoro lungo le vie, belle case in pietra, campanili a cipolla, archi d’ingresso in cortili e orti.
Si arriva a Hrastovlje per una tappa. Sono le 17 circa. Io sono cotto. Quando mi tolgo lo zaino ho la sensazione di svenire, sono stordito, la testa gira dal troppo ossigeno. Non c’è un bar o una fontana.
C’è una bella chiesa affrescata, l’ho già vista un paio di volte – è una meta da non perdere se si capita nei paraggi –, è circondata da mura di pietra grigia come fosse un piccolo castello e si staglia sullo sfondo della vegetazione. Non possiamo visitarla e sarà all’orizzonte per un paio di ore, ma ancora non lo sapevamo. Un contadino ci indica la direzione per Gracisce. Il sentiero comincia bene tra vigneti, alberi da frutta, case di contadini.
Poi la stradina si fa sentiero, sempre più piccolo, e sale sempre di più. Si va verso il colle di Lačna (m 450), dove si deve scavallare per arrivare dove qualcuno ci darà da dormire. Penso: sarà breve. Non finiva mai: il sentiero diventa un ghiaione dove per salire ti dovevi attaccare alle frasche, non vedevi la fine e quando prendevi fiato davi uno sguardo alla chiesetta di Hrastovlje. Io arranco in coda, e penso che l’importante è non farsi male – qua non mi recupera nessuno.
Il sentierino poi si riduce a travicelli sottili, anche con pezzi sospesi nel vuoto. Arrivare in cima ci prende un’ora. Trovo una panca e quasi svengo.
La discesa verso Gračišče è facile. Il paese si rivela un borgo contadino con scorci di antiche case in pietra, con archi, con bassorilievi e il verso delle galline annuncia che siamo arrivati. Qualche bambino gioca per strada, ci vedono ma ci ignorano. Si sente odore di stalla. Sono le 18,00. Noi dormiamo fuori paese lungo una strada asfaltata, vicino a un distributore.
Attendendo il figlio della titolare delle camere acquistiamo ottima frutta da una signora anziana con bancarella davanti al supermercato chiuso. Io tento di convincerla a prepararci un pasto (“anche una frittata!”). Rifiutato. La giornata è stata complessivamente faticosa. Io sono finito, stravolto. Anche gli altri però non mi sembravano freschissimi. Alla pompa OMV, minimarket aperto 7,40-20,00, prendiamo similpanini e bibite. “Cena” in camera. Siamo in quattro in una camera. Prendo due aspirine per i dolori alle ginocchia e ai muscoli di gambe e spalle. M. fa altrettanto. Io dormo subito dicono. A me è parso di no. Immagini si accavallano alla sensazione di fatica. Penso ma chi me l’ha fatto fare?!
8 ottobre 2019 Gračišče-Oprtalj (Portole)
Si era deciso alle otto partenza tutti i giorni. Sveglia presto e usciamo per andare al piccolo supermercato che ieri sera era chiuso. Kefir e succo di mela bio per G. Noi prendiamo panini e io compro aceto di mele scambiandolo per succo. Nell’aria c’è odore di mosto. Chi ci ospita da qualche parte sta facendo il vino.
Vasellina ai piedi per evitare vesciche e si va. Partenza 8,20. M. comincia la giornata con un abbigliamento più da Indiana Jones. Oggi nessun problema con le carte topografiche, il percorso è tutto su asfalto, con pendii ripetuti, ma non rilevanti, vigne, fichi, frutteti, funghi. Tanti funghi. Questa è una annata eccezionale per i funghi.
Facciamo sosta alle 10,30 in un bar nei pressi di Brezovica, caffè e cornetti discreti con tavolino sotto il sole. C’è, mi pare, una specie di consorzio agrario davanti a noi con viavai di carri trainati da trattori. Dentro alcune persone si sono fatte tre birre mentre eravamo lì, con le solite sigarette e un’aria da Jugoslavia più che da Slovenia. Sembrano aspettare, ma non si capisce cosa, in un bar lungo la strada.
Procediamo di buon passo, passiamo il confine sloveno-croato con bonarie battute delle guardie, incredule dei nostri propositi. È una frontiera secondaria, due guardie sedute sulla sedia, mezza sbarra abbassata, tempi balcanici. Documenti da controllare, sorrisino sotto i baffi: “ma dove vanno questi?”. Noi invece orgogliosi petto in fuori anche se cotti. Per noi è una formalità divertita ma sappiamo che per altri è un muro.
Andiamo. Altra breve sosta con spuntino a Krastici, paese con poche case abbandonate: molte sono recuperate e c’è un’aria da villeggiatura. Cominciano a vedersi case con piscina, una costante nel seguito del viaggio.
Raggiungiamo Portole alle 13,30, con splendida vista del paese dalla strada. Ai lati vigneti in abbandono a destra e a sinistra. Strano perché in Croazia stanno piantando vigneti ovunque in questi anni. Ma un incontro ci spiegherà il perché.
Portole è abbarbicata sulla cima di una collina da cui si vedono i boschi istro-sloveni da una parte e l’Istria croata del vino e dell’olio dall’altra. È l’inizio di quella che chiamano la Nuova Toscana, non devastata dal turismo balneare della costa, con grandi territori pochissimo abitati fuori dalle strade più battute. È anche l’Istria italofona. Qui raramente sei in difficoltà, quasi tutti parlano italiano anche se magari sono croati. Il centro storico del paese ci accoglie con un lungo viale di cipressi, la loggia col leone di San Marco, le mura e la porta di ingresso e il nucleo storico delle case moltissime abbandonate e pericolanti, altre restaurate ma chiaramente doppie case o B&B di lusso con piscina, un negozio di vino e formaggi aperti solo d’estate.
Il nostro arrivo in paese è accolto sulla strada con il sorriso cordiale di Sandro mentre sta servendo i suoi clienti. È il cuoco. Ci fa sedere sul belvedere della sua Konoba davanti a una birra.
In realtà io e G. avevamo prenotato la cena da lui una settimana prima e ci aveva detto che ci aspettava. Chiaramente pensava che non ce l’avremmo fatta.
Ci alloggiano tutti in due appartamenti in centro storico, struttura restaurata e adattata impeccabilmente, nuova. Bellissima con soppalchi su più livelli, libri d’arte, tutti i confort. La “sede” centrale, dove c’è la reception e si farà la colazione è un villino liberty a un centinaio di metri dagli appartamenti. È in un’area panoramica da dove si vede tutto il confine tra Slovenia e Croazia. Dire bellissimo è poco. Ha inoltre idromassaggio, sauna finlandese, piscina, che sfruttiamo per rimetterci a nuovo. L’acqua della piscina che si trova all’aperto è ghiacciata e mortale, però non posso evitare di buttarmi per alcuni secondi, non mi capiterà mai più.
Scopriamo che i due responsabili non sono della zona, uno viene dalla Dalmazia e la compagnia per cui lavora sta aprendo un albergo anche a Grisignana, altro paese qui vicino. L’idea che mi faccio è che si sia già puntato al turismo nell’interno dopo avere saccheggiato le coste.
Si va a passeggio in paese e G.Z. attacca bottone con un anziano. Si parla, anzi parla moltissimo lui. È un nativo del posto, un po’ triste un po’ arrabbiato, che sostiene di essere l’unico e ultimo abitante originario di Portole, e ci racconta dei campi e delle vigne che ha coltivato e che ha venduto, quando i tempi sono cambiati e, al posto della zappa e del solo solfato di rame, si sono cominciati a usare i diserbanti chimici. Tutto in dialetto istroveneto. Erano suoi i vigneti abbandonati che abbiamo incontrato all’inizio del paese. Poi i figli hanno trovato lavoro e non aiutavano più nei campi e ha lasciato. Aveva anche una rivendita di vino e grappa in casa.
A cena si va da Sandro, ottima zuppa di porcini veri e profumati e “solita” campana. La campana per chi non lo sa è un modo di cucinare che hanno da queste parti: un contenitore di ghisa viene riempito con carne mista e verdure, chiuso e coperto di braci viene lasciato per ore a cuocere. Meraviglioso.
Alla fine dolce di ricotta (noci, miele, gelato di vaniglia, buccia di limone). La grappa viene offerta. Penso che la giornata è andata niente male. Abbiamo camminato il giusto, ci siamo conosciuti un po’ di più, siamo in un bel posto.
9 ottobre 2019 Oprtalj-Tinjan
Mi sveglio bene e vado fare due passi in paese, devo sentire come vanno le ginocchia. Sono doloranti. Strade vuote, palazzi pericolanti e case sventrate assieme a case tirate su di lusso. Chissà cosa vede l’anziano di ieri là dove io vedo questo: case abitate, persone, storie, relazioni, giochi, amori. Mi faccio l’idea che sia uno fuori luogo, fuori contesto, proprio lui che dice di essere l’ultimo abitante veramente di Portole centro storico.
Non sono solo: spuntano tre donne cinesi che in continuazione si fanno selfie. Difficile evitarle, il centro storico sono tre stradine e qualche vicolo. Hanno una tecnica collaudata: una allunga il braccino con la macchina fotografica sulla prolunga e le tre, rapide scattano e si inchinano, creando una scaletta di sorrisi.
Scendiamo tutti sotto casa e attacchiamo bottone con due signore tedesche fuori a fumare. Loro hanno la piscinetta in giardino. Sono arrivate da poco e faranno dei giri nei dintorni aspettando la prossima domenica la festa delle castagne. Naturalmente ci facciamo grossi quando diciamo loro che noi, a piedi, andiamo a Pola. Oh, meraviglia, stupore, e poi le abbiamo salutate facendo come fosse niente. Andiamo verso la sala da pranzo con l’orgoglio a mille.
La colazione è a buffet, ricchissimo, dolce e salato, caldo e freddo, con una signora che cucina davanti a noi. Dobbiamo scendere dalla vetta di Portole verso la valle del fiume Mirna e prendere poi per la salita di Montona. La discesa verso la Mirna è su strada secondaria ripida, ma facile per l’asfaltatura in corso. Il paesaggio è agricolo con orti bellissimi: radicchio, cappucci, verze, insalate. La strada che sale a Motovun è un po’ trafficata, sono cinque chilometri a tornanti ed è poco piacevole. Si va lentamente, è pericolosa e c’è una pioggia fine e insistente.
Si passa sotto il centro storico e si fa una sosta in un bar prima della scollinata. Smette di piovere e prendiamo una facile deviazione che resta in quota con bella vista su Kaldir e le macchine finalmente spariscono. Appena pensato questo arriva una colonna di otto nove camper francesi. Dove andranno su questa stradina che porta verso le colline e il nulla? Qualche mela squisita colta sugli alberi a bordo strada ci rallegra. Poi un intrico di strade, di nuove asfaltature, di indicazioni approssimative o assenti, e ci perdiamo. Chiediamo informazioni a un nativo che non parla italiano, ma le cui indicazioni crediamo di capire sulla mappa. Non è così, e finiamo con il fare molta strada in più fino a Novaki Motovunski. Lo zaino pesa tremendamente. Facciamo pausa verso l’una sui gradini davanti alla chiesa. Nessuno in giro, si sentono galline, paese agricolo.
Per un po’ seguiamo il percorso programmato fino a Skropeti – una via crucis di chilometri in mezzo ai campi –, poi ci inoltriamo in una zona boscosa con tratti di coltivato e, a uno degli incroci sbagliamo ancora e ci troviamo nei pressi di Muntrilj. Siamo fuori strada. Così, torniamo sul percorso indicato da Rumiz e facciamo, per arrivare fino a Tinjan, la nostra meta giornaliera, almeno sei chilometri in più. Siamo stanchissimi. I proprietari della casa ci vedono arrivare stravolti: ci aspettano in strada, meno male, ci hanno evitato la ricerca. Siamo arrivati verso le 18,00, dieci ore con lo zaino in spalla. Sono gentilissimi e la signora “Nives” (“nome croato troppo difficile”) è simpatica e ciarliera. Lei parla italiano, il marito non si capisce perché parla solo lei. L’appartamento è nuovo e ben attrezzato, ci fanno trovare pane fresco, yogurt, latte, burro, succhi, formaggio, salame, uova… Tutto per 55 euro!
Andiamo a cena al Vijulin, unilocale, di staff giovane, pulitino e scolastico. Buoni i primi, scelta limitata e molto estetizzante, con i soliti piattoni e il cibo sperduto.
10 ottobre 2019 Tinjan-Svetvincenat (“Sanvincenta”)
Facciamo una colazione abbondante in camera e un giro in paese senza zaini. Tinjan è molto gradevole e ben restaurato. Anche questo centro storico sembra vivere solo d’estate. Si vede che per il turista c’è ricettività e quindi ora che la stagione è morta le case sono chiuse. La vita pare svolgersi ora, come ovunque dove siamo passati, fuori dai centri storici, nelle periferie o nei villaggi, in campagna. Comunque in centro storico non c’è la sensazione di abbandono di Portole. Il paese è famoso per i due prosciuttifici ma nulla lo dà a vedere.
Ci prendiamo un po’ di tempo, visto che la Draga è immersa nella nebbia. La Draga è una valle incassata, già fondo di un fiume ora inesistente nel tratto che faremo. Dal giardinetto panoramico guardiamo verso il basso e si vede solo un muro bianco fatto di nuvole basse.
Partiamo alle 9,30, c’è un po’ di sole che rende piacevole andare. Una strada sterrata larga, un tunnel verde fatto dai rami degli alberi, ci porta verso il fondo valle. Campi sul fondo e boschi sulle pareti della stretta gola e sbagliamo subito sentiero. Si decide di lasciare il dedalo di percorsi dentro la vegetazione e di seguire il fondo valle che sicuramente ci porta verso dove dobbiamo andare. Troveremo una strada. Troviamo alberi monumentali e una mandria di boscarin, i buoi istriani con corna lunghissime e manto bianco. Ci perdiamo ancora ma seguendo l’orientamento decidiamo di andare avanti e percorriamo una piacevole parallela che ci porta a Kringa. Siamo sulla retta via finalmente.
La strada asfaltata ha case da affittare restaurate in stile istriano, villone gigantesche con grande sfoggio di marmo e pietra, qualche rara casa contadina. Alle prime case di Kringa leggiamo a ridosso di un bagolaro gigantesco la vicenda di Jure Grando, contadino tornato venti giorni dopo essere morto a perseguitare i compaesani, per cui gli abitanti rivendicano una primogenitura in tema di vampiri in Europa.
Il paese è tutto su una strada asfaltata che fa una curva davanti ai gradini della chiesa, con il cimitero a ridosso di questa come prima di Napoleone si faceva dappertutto in Europa. È mezzogiorno circa, c’è un alimentari e ci facciamo un panino. Sui gradini della chiesa ci godiamo il paese. A dieci metri sulla sinistra c’è un locale di degustazione prosciutto istriano, chiuso. A venti metri un recinto con alcune pecore e galline. Davanti alla chiesa sulla destra una casa coperta di corna di capriolo e cervi, con carabattole ovunque. Una poltrona sulle scale del primo piano ospita una gallina.
A un certo punto la gallina si mette a passeggiare in mezzo alla strada, ci passa davanti a va a trovare una decina di ragazze e donne che erano appena uscite da una ex scuola, ora laboratorio pieno di macchinari. Anche loro mangiano un panino. La gallina pranza assieme con le briciole che cadono. E poi dicono che la gallina non è un animale intelligente. M. ci dice che ha visto l’interno. È un laboratorio tessile e il marchio era prodotto anche a Mira. Hanno chiuso in Italia e trasferito la produzione in Croazia.
Finiamo lo spuntino e via ancora sul fondo della Draga. Sentieri inesistenti. Decidiamo di tenerci comunque sul fondovalle e così non sbagliamo. Ambiente bellissimo e vista su piccoli borghi abbarbicati sul bordo della Draga. Alla fine si risale, ma, non volendo arriviamo a Kanfanar. Abbiamo deviato, non sapremo mai quando. Prima del paese passa un trenino con due carrozze colorate da graffitari. Sosta lunga al bar e prenotazione delle camere a Bale. Ripartenza per Buric, Marici e quindi Svetvincenat, dove arriviamo alle 17 circa.
Il paesaggio è notevolmente diverso. Non ci sono più le alte colline da superare e il terreno è più pianeggiante, più aperto, lo sguardo corre di più all’orizzonte. Rimane la vite e l’ulivo, come coltura, ma troviamo ora anche un po’ di mais. La terra non è più rossa. Siamo nell’Istria bianca.
La signora che ci ospita, per farsi perdonare un equivoco della figlia al momento della prenotazione, ci mette a disposizione casa sua: più camere e comodità per 20 euro a testa, e il primo bidet visto in Istria. Facciamo un giro in paese, con il bel castello Morosini ben conservato. Cena al ristorante Al Castello, ottimi primi, secondi così così, due soli dolci in menu, scontati, offerti “liquori” irrilevanti, 900 krune. La giovane cameriera non parla italiano, deve chiamare un’altra persona per le comande.
Altro giro in paese e poi a nanna. La giornata è stata faticosa ma nessuna crisi. Si va con un cliché che funziona: G. con le cartine sempre in mano, conciliaboli quando siamo negli incroci per decidere la direzione. Si parla del più e del meno: poca politica, tanti viaggi e cucina e altre cose che gli uomini si dicono solo quando sono tra uomini. Ognuno acquista un ruolo nel gruppo, chi decidendo, proponendo, facendo la battuta. Non percepisco segni di tensione tra di noi. D’altra parte nessuno si sceglie compagni di viaggio meno che fidati. Ma il rischio c’era dato che non tutti si conoscevano. Ci si gode il paesaggio che a volte è veramente da cartolina.
L’Istria è disabitata nell’interno. È confermato. Pochissime le persone incontrate finora. Anche le stradine asfaltate non hanno traffico. E poi le ore di cammino consentono di stare anche in silenzio, di pensare.
11 ottobre 2019 Svetvincenat-Bale
Al mattino giro in paese e al bar infuso di frutti, acquisti al minimarket, colazione con pane e mortadella, yogurt, krapfen con marmellata, tutto così così, accettabile. Congedo dalla signora e partenza alle 8,30. Subito andiamo su una stradina sterrata fino al piccolo borgo di Raponji. Portoni di garage monocromi, balconi in metallo con sfumature colorate, una poltrona sotto gli ulivi. Nel recinto delle pecore una fila di nove vasche da bagno, bellissime sullo sfondo di un muretto a secco. Facciamo foto.
Davanti alla vasche da bagno c’è anche un prato pieno di mazze da tamburo, tantissime, enormi, che ci ha fatto sospirare: belle e buone. Andiamo avanti e il sentiero si perde. I muretti a secco, mangiati dalla vegetazione ci conducono in fondi chiusi, o in boschetti spinosi e selvaggi impraticabili. Tornare indietro neanche a parlarne. A Raponji bisognava entrare in paese e non prendere il primo sentiero che andava nella direzione di marcia come abbiamo fatto noi. Tentiamo di trovare una possibilità, almeno un sentiero qualunque, un segno umano qualsiasi. Nessun rumore di auto anche facendo silenzio. Ormai depressi e convinti di dover tornare indietro, G.Z., con la sua natura cinghiala, coltivata nelle colline di Pistoia, parte zaino in spalla e sfonda arbusti, rami secchi, rovi, alberelli spinosi, dossi, avvallamenti e trova un sentiero. Sentiero? I segni di un passaggio umano, due righe parallele a terra. Salvi.
Attraversiamo in mezzo alla vegetazione una linea ferrata a un solo binario, facendo ben attenzione.
Poi è tutto un intrico di sentieri, viottoli e stradine non riconoscibili sulle carte. La vegetazione è boscosa, alberi bassi e radi. Cediamo e usiamo il GPS, ma non ne veniamo fuori. La zona è pochissimo abitata e non riusciamo a evidenziare nessun paese. Si comincia a sentire il rumore di auto ma è difficile individuare la direzione. Poi finalmente andiamo a sbattere contro la recinzione dell’autostrada che corre in trincea. A destra e a sinistra un rettilineo invalicabile fino all’orizzonte e sotto auto che sfrecciano. Si decide di andare a destra non avendo la minima idea di dove siamo.
Troviamo con difficoltà un passaggio sotto l’autostrada, più a nord del previsto, e facciamo tappa. Finiamo a Krmed. Proseguiamo lungo strada asfaltata poco frequentata e poi su una statale rettilinea verso Bale. Oramai ci siamo, il paese si vede di fronte a noi sul cocuzzolo di un montirozzo col campanile in vetta.
Su consiglio di una persona a passeggio deviamo per una stradina laterale, e finiamo su ulica/via Grote, passando proprio davanti alla residenza che avevamo prenotato. Siamo fuori paese, a cinquecento metri dal centro, un’area residenziale la chiameremmo da noi: villette di un certo gusto moderno, qualche b\b con piscina. Il nostro si chiama LAV, gestito da una famiglia di macedoni. Arriviamo alle 13.00. La signora, che non parla italiano (e forse neanche croato), ci offre pane e due formaggi squisiti. Chiediamo un piatto di pasta e mangiamo fusi con il tartufo. All’arrivo di una signora più giovane, chiediamo per cena qualcosa di macedone che è in menù.
Paghiamo per camere e pranzo 45 € a testa. C’è un po’ di sole e ci spaparanziamo a bordo piscina. Mi butto in acqua ma è gelata, impraticabile. Rischio un colpo. Siamo affaticati, stanchi del peso dello zaino. Con un numero di chilometri non sempre prevedibile, spesso superiore al previsto. Occorrerebbe programmare tappe di compensazione, di durata non superiore alla mezza giornata. Ma ormai ci siamo, a Pola ci arriveremo.
Infatti prenotiamo con flixbus il ritorno Pola-Mestre. Facciamo un giro in paese, con centro restaurato, molto bello. Tutto ruota attorno al castello, non visitabile perché ora occupato da uffici comunali, e alla chiesa con un giro di strade a spirale che salgono dal basso. Mi convinco che sia questa chiesa il motivo per cui il centro storico sopravvive, e abbia negli anni passati evitato l’esodo completo dei residenti.
Si direbbe il centro più grande visto finora. L’avevo visitato anni fa e decisamente sono stati restaurati parecchi edifici. C’è anche una parvenza di luogo vissuto da residenti. In realtà, come per tutti i centri storici attraversati, anche a Bale la vita e la residenza dei più è nella periferia, con quartieri di case normali, con bar aperti, negozi aperti anche nel pomeriggio – a Portole centro il supermarket apriva per tre ore –, diversi ristoranti e qualcuno di questi sembra meritevole: forse siamo stati frettolosi nel prenotare dove alloggiamo, ma speriamo bene. Alla fermata dell’autobus leggiamo gli orari del servizio Bale-Pula: 25 minuti! Scopriremo che a noi ci vorrà un giorno….
A cena, dopo l’antipasto di grappa, arrivano ottime zucchine infarinate e fritte a rondelle con tre salse e prosciutto crudo tagliato spesso, poi gran piatto di carni miste arrosto, accompagnate da eccellenti fagioli cotti al forno e insalata di pomodori, cetrioli e feta. Il vino è macedone, non male. 15 euro a testa.
Nel locale poca luce, musichetta balcanica ma triste, mobilio di legno pesante, massiccio. Alle pareti sono appesi delle tavole enormi in altorilievo di figure religiose, chiaramente ortodosse, riconosco un san Giorgio. Scritte in cirillico ovunque. Tutto è un richiamo alla nostalgia, a un paese d’origine altro da questo. Penso che anche loro sono fuori luogo. Chissà, scappati da dove e come mai finiti qua. Sarebbe stato bello parlarci assieme, ma solo una persona parla un po’ di italiano. La giornata è andata bene, il passo è stato veloce, la compagnia tiene.
12 ottobre 2019 Bale-Pula
Schiviamo l’offerta di una grappa mattutina e facciamo un’ottima colazione con mortadella, prosciutto, similformaggio, krapfen, cornetti, pane caldo, burro, pomodoro, cetrioli.
Partenza alle 8.20. Il percorso iniziale corrisponde a quello preventivato e deciso sulle mappe ma, al primo dubbio, chiediamo a una famiglia che raccoglie olive (alberi stracarichi quasi dappertutto).
Identificano con certezza un punto sulla carta, che si rivela molto più avanti del vero. Diverse differenze tra le mappe e la situazione sul terreno ci fanno percorrere almeno 3-4 chilometri in più. Attraversiamo uliveti curati come salotti, carichi di frutti, chiusi da muretti a secco ben tenuti.
Scopriremo a un certo punto che stiamo passando dentro un parco nazionale di interesse antropologico\culturale, dedicato alla conservazione delle casite, che sono delle strutture tutte in pietra circolari, tipo trulli ma più piccole. Ne incontriamo moltissimi ma uno in particolare è molto bello.
Per la prima volta vediamo un po’ di movimento in zona, la raccolta delle olive coinvolge nuclei famigliari e conoscenti. G.Z. essendo ulivicoltore butta lì domande che evidentemente si fanno gli ulivicoltori tra loro: come è andata? quanto fanno in percentuale? malattie? Cose così, ma noto che rispondono contenti.
Facciamo brevi pause ogni due ore circa, in mezzo al nulla, dato che non tocchiamo centri abitati, né bar, né caffè o simili. Una persona ci dà indicazioni precise: troverete quello che resta di uno stagno, poi un bosco, poi una casa con zingari. In effetti riconosciamo dalla vegetazione palustre quello che resta di uno stagno. Sono segnati nelle mappe ma non esistono quasi più. Gli stagni vanno curati, puliti, accuditi come un bambino. Se ne facevano carico tutti: contadini e pastori. Così almeno mi raccontava un anziano a Cherso. Il bosco è pieno pieno di funghi meravigliosi, alcuni mai visti, rossi increspati, in mezzo alle pietre dei muretti a secco.
Arriviamo in una radura dove sono disperse carabattole, attrezzi, rifiuti, galline razzolano, e cani robusti si avvicinano. Non si capisce dove andare. Da una abitazione esce una signora, pantaloni alla turca, fazzoletto in testa. Sorride, capisce che non siamo lì per lei e ci indica senza una parola dove si trova la stradina per uscire. Esce anche un bambino. Noi, visti i cani, non ci fermiamo ed è un peccato. Anche questi vivono in mezzo al nulla, di cosa, come ci sono finiti qua? Fuori luogo.
Decidiamo di seguire il sole, alla nostra destra ogni tanto si intravede il mare. Pola è sulla punta non possiamo sbagliare e lasciamo perdere la carta. Allevamenti di api ogni tanto, e chi ci lavora attorno mi sembrano zingari. Mentre scrivo, faccio una breve ricerca su internet: censimento del 2011 zona Dignano cioè a 10 chilometri da Pola circa il 5% è rom e circa il 4% è bosniaco.
La vegetazione cambia, il terreno è ora decisamente appiattito, un leggero saliscendi. Siamo sull’asfalto. Le strade puntano diritte a Pola. La più veloce è troppo trafficata e decidiamo una deviazione per una secondaria. Facciamo l’ultima tappa infastiditi dalle auto dentro un viottolo pieno di rifiuti. In fondo apriamo un cancello e ci riposiamo in una specie di orto con baracca. Siamo stanchi ma si vede l’arrivo. Al primo cartello stradale di Pola io e G.Z. ci facciamo una foto.
Pare finita ma è lunga ancora, Pola è grande e ha una periferia importante. L’ultimo tratto ci vede affiancare chi passeggia per andare in centro, ragazze chiacchierano a braccetto.
Arriviamo davanti all’arena verso le 18 e sentiamo il profumo del mare. L’alloggio, che sulla mappa sembrava molto vicino al centro, dietro l’arena, è invece situato lontano, sulla parte collinare. Ancora camminare. Non c’è di peggio quando pensi sia finita. La mappa della città in nostro possesso è grossolana.
Chiediamo a una giovane signora con cagnolino, italofona (“io abito lì all’angolo!”), che si offre di accompagnarci.
Attraversando un piccolo parco, un giovane signore scambia forse la mia maglietta nera cicloamatoriale con la scritta SenzaFreni per uno slogan viriloide e/o destrorso e ci urla dietro “l’Istria e la Dalmazia sono italiane! Vendute in modo fraudolento ai comunisti!”. Svicoliamo.
La signora dell’alloggio è molto gentile e cordiale, le camere meno che spartane, bagno piccolo – da egiziani antichi, ci si sposta di profilo – e doccia micro, 13 euro a testa. Siamo in città, e questo spiega la cosa. La signora ci consiglia per la cena la Konoba Kažun poco lontana. Vediamo famiglie e qualche italiano. Discreta cena di pesce, qualche incomprensione sugli ordini da parte del personale: il cameriere è giovane e non italofono, come altrove ci era capitato. Paghiamo 30 euro a testa.
Siamo rilassati e contenti di avercela fatta. Conteggi precisi dicono 128-130 chilometri di percorso. Sono felice, ce l’ho fatta, è andato tutto bene, non mi sono rotto niente, il gruppo è stato meraviglioso.
13 ottobre 2019 Pula-Mestre
La sveglia stavolta è più rilassata, la colazione decidiamo di farla in centro a Pola. Il centro storico è vuoto, è domenica e i negozi, tranne qualche bar, sono chiusi. Si vedono i monumenti romani e i palazzi.
Ci si divide in cerca di una brioche che qui non si usa e poi ci si ritrova al mercato coperto della città, pieno di gente.
Via alla stazione degli autobus. Il viaggio di ritorno fa diverse tappe sulla costa dove pur se ottobre ci sono ancora turisti. A Mestre grande ricevimento delle nostre compagne con fischietti e cartelli. Noi facciamo gli indifferenti, ma ci fa piacere.
Campocroce di Mirano, 12 novembre 2019
PS Peccato sto casino del corona virus altrimenti il 20 di aprile si partiva per Trieste-Fiume via isola di Cherso, sempre a piedi. L’Istria è bella.
Nota. Le foto che illustrano il resoconto sono di Gianni Zanlorenzi e Mauro Lazzarini.
Giorgio dice
Grazie per il bel racconto; a fine agosto proverò anch’io con mia moglie a percorrere questo itinerario (più o meno)
rita bressani dice
Grazie del resoconto del viaggio. Chiedo gentilmente se fosse possibile mettersi in contatto con Claudio Zanlorenzi per ulteriori dettagli e suggerimenti sul cammino
Con altri 3 amici intenderemmo percorrere il medesimo percorso a partire dal 28 maggio p.v..
Qui sotto riporto i miei riferimenti qualora fosse possibile contattarvi.
Cordiali saluti