di Francesca Trivellato
A distanza di alcuni mesi, riprendiamo un commento che la nostra amica Francesca Trivellato, storica che vive e lavora negli Stati Uniti, ha pubblicato in inglese all’inizio dell’estate scorsa, per discutere con un pubblico di Oltreoceano alcuni motivi iconografici utilizzati in quei mesi in Italia nelle campagne di comunicazione relative al Covid. A distanza di tempo, superato il picco dell’enfasi retorica, quelle immagini restano un documento dell’esperienza collettiva della pandemia e un attestato della persistenza di alcuni elementi nel discorso pubblico italiano riguardo al genere, alla condizione femminile, ai rapporti tra i sessi, alla famiglia.
Sulla scia della Peste Nera del 1348-50, emerse un nuovo motivo iconografico che avrebbe attraversato tutto il XV secolo: la danza macabra. Serviva a comunicare a chi lo guardava – per la maggior parte analfabeti e analfabete – che la peste uccideva senza riguardi per nessuno: la morte si prendeva allo stesso modo regine, vescovi e contadini. Salvo che il messaggio non era più vero di quanto non lo sia ora: la danza medievale era propaganda.
Alcuni dei più notevoli affreschi che raffigurano quel motivo oggi si possono ammirare a Clusone, non lontano dall’epicentro bergamasco del Covid. In Italia, come ovunque nel mondo, la pandemia in corso ha esacerbato le disuguaglianze che già esistevano: di classe, di genere e di razza. La cultura visuale alla base della comunicazione ufficiale del governo non ha fatto che alimentare questa tendenza.
Nel marzo 2020, mentre gli ospedali e i reparti di terapia intensiva dell’Italia del Nord erano travolti, un’immagine creata dall’illustratore Franco Rivolli divenne virale. Rappresenta una dottoressa, alata come un angelo (“Angels” è il titolo del lavoro) che tiene in braccio la penisola italiana, così come si sorregge un corpo ferito.
In un Paese in cui la cultura pubblica resta profondamente cattolica, è impossibile non cogliere un riferimento anche al motivo della Pietà – la Vergine Maria che tiene in grembo il corpo morto di Cristo –, in particolare quella scolpita da Michelangelo.
Sia le autorità sanitarie pubbliche che alcune organizzazioni cattoliche ripresero subito l’immagine di Rivolli per pubblicizzare i loro sforzi nella lotta contro il virus.
Due mesi dopo, al termine del lockdown completo, quando il governo italiano cominciò a pianificare la graduale riapertura, ecco che sulla scena si imposero di nuovo consolidati stereotipi di genere e concetti normativi della famiglia.
Un decreto della Presidenza del consiglio stabiliva che a partire dal 4 maggio 2020 le persone avrebbero potuto di nuovo incontrarsi tra loro, ma entro certi limiti: solo con i “congiunti” residenti nella stessa regione. Alla domanda su che cosa intendeva esattamente il governo con il termine “congiunti”, i suoi rappresentanti risposero: “i coniugi, i partner conviventi, i partner delle unioni civili, le persone che sono legate da uno stabile legame affettivo, nonché i parenti fino al sesto grado (come, per esempio, i figli dei cugini tra loro) e gli affini fino al quarto grado (come, per esempio, i cugini del coniuge)”. La formula iniziale del decreto mostrava fin troppo chiaramente a qual punto il governo considerasse la famiglia il pilastro della società e della vita quotidiana: il termine “congiunti” era stato ritenuto talmente evidente da essere stato scelto malgrado non trovi alcun riscontro nel Codice civile italiano, in cui si usano solo i termini “parenti”, per indicare i legami di sangue, e “affini”, per indicare le parentele acquisite. In seguito, l’interpretazione insolitamente estensiva di chi potesse essere incluso nella definizione di “congiunti” offerta a delucidazione, da un lato non faceva che attestare l’incompetenza dei burocrati che avevano steso il testo di chiarimento, dall’altro comportava un’implicita ammissione che chiunque è libero di scegliere con chi creare i propri legami affettivi stabili definendo così, se lo desidera, la propria famiglia.
Per alcuni giorni, colto di sorpresa dalle forti reazioni suscitate dall’inedita spiegazione del termine “congiunti” che esso stesso aveva dato, il governo fu addirittura tentato dall’idea di estenderne il significato anche agli “amici” più prossimi. L’ipotesi tramontò in fretta ma, se analizziamo da vicino tutta questa vicenda, emerge qualcosa di più rilevante: non appena lo Stato cerchi di dare una definizione estensiva e inclusiva di famiglia, che vada oltre gli stretti termini di legge, la gamma di legami sentimentali e sociali che le persone considerano fondamentali per le loro vite sono difficili da delimitare. Non può esserci scarto più grande tra questa realtà e la Pietà di Michelangelo – la madre sofferente che accetta il sacrificio di suo figlio per la salvezza dell’umanità. Allora perché continuare a restare attaccati a una versione secolare di questa immagine emblematica, persino nel bel mezzo di una pandemia che ha messo a soqquadro ogni parvenza di normalità?
Come se il decreto sui “congiunti” non avesse suscitato abbastanza ilarità e controversie, un mese più tardi, il Ministero dell’innovazione tecnologia e della digitalizzazione tenuto da Paola Pisano, che si fregia di un dottorato in economia aziendale, annunciò che era disponibile una nuova app, “Immuni”, per aiutare il tracciamento dei casi di coronavirus sul territorio nazionale. Chi la scaricò i primi giorni di giugno vide il logo di una donna e un uomo affacciati alle finestre di casa: lei con in braccio un neonato, lui davanti al suo portatile.
Anna Paola Concia, ex deputata della Camera e una delle poche donne apertamente omosessuali nella politica italiana, chiese in un tweet che l’immagine fosse rimossa, perché le donne italiane non meritavano di essere ritratte solo come mogli e madri. E l’immagine fu in effetti rimossa. C’è però da domandarsi che cosa fosse passato per la mente di tutte le donne e di tutti gli uomini che l’avevano esaminata prima del suo lancio.
Oggi l’Italia, tra le democrazie avanzate capitaliste, è quella con il più basso tasso di impiego femminile e il più alto gap di genere nei posti di responsabilità manageriale. La violenza domestica contro le donne era frequente anche prima del lockdown della primavera scorsa. Le leggi e gli atteggiamenti nei confronti di persone LGBTQ restano fortemente discriminatori; solo nel 2016, molto più tardi rispetto alla maggior parte degli Stati membri dell’Unione Europea, il parlamento ha riconosciuto le unioni civili (ma non i matrimoni) tra persone dello stesso sesso e comunque senza il diritto all’adozione.
Quando le attività economiche hanno cominciato a riprendere, nel 2020, le inchieste indicavano che un gran numero di donne lavoratrici avrebbe continuato a restare a casa, per prendersi cura dei figli, dal momento che le scuole restavano chiuse, mentre gli uomini sarebbero tornati al lavoro.
Un virus sconosciuto e potenzialmente letale ha costretto milioni di persone a rivedere le loro più strette e intime relazioni. Chi possiamo incontrare di persona? Chi possiamo abbracciare? Chi possiamo solo chiamare o vedere attraverso uno schermo – sempre che disponiamo degli strumenti per farlo? Molti si sono ritrovati isolati e senza sostegni. Altri, tra cui le vittime di abusi domestici (spesso donne e bambini) e adolescenti LGBTQ che vivono sotto lo stesso tetto con genitori omofobi, avrebbero voluto poter scappare dai membri della propria famiglia. Le donne sono state in prima linea: tra coloro che hanno fornito i soccorsi ospedalieri, nel novero dei lavoratori essenziali; le più fortunate tra queste lavoratrici hanno passato lunghi periodi di tempo lontano da casa perché avevano un posto dove riposare al termine dei loro turni, evitando il rischio di contagiare i propri cari.
Che cosa ci vuole ancora per liberare la cultura visuale e il discorso pubblico in Italia da stereotipi di genere e pregiudizi normativi sulla famiglia?
giugno 2020
Nota. L’articolo di Francesca Trivellato è uscito in inglese con il titolo Gender and Covid-19, Italian Style sul blog “Visualizing Climate and Loss” del Joint Center for History and Economics (Harvard University e University of Cambridge), all’indirizzo https://histecon.fas.harvard.edu/climate-loss/gender/index.html. Traduzione e adattamento, a cura della redazione di storiamestre.it, sono state riviste dall’Autrice.