di Piero Brunello
Dopo il suo intervento di fine agosto, Piero Brunello torna sul documento deliberato dal Consiglio regionale veneto nel luglio 2020, 2030: La strategia regionale per lo sviluppo sostenibile. Per tradurre e decostruire alcuni dei termini e dei discorsi diventati d’uso corrente e irriflesso, Brunello si aiuta con un libro recente di Marco D’Eramo.
Pensavo di non dover più tornare sul documento della Regione Veneto 2030: la strategia regionale per lo sviluppo sostenibile, a meno di non dover rispondere a obiezioni alla lettura che ne avevo proposto, quando mi capita di vedere la mail con cui la Confindustria Veneto invita a partecipare a una giornata promossa il 24 settembre da Reti per la sostenibilità delle imprese nel Territorio Veneto “negli splendidi spazi dell’M9 Museo del ‘900 di Mestre (Ve), un esempio virtuoso di recupero urbano in chiave sostenibile a 360 gradi”. Ora, quando sento parlare di sostenibilità a 360 gradi mi prende un boresso (ridarella ndr) che non riesco proprio a star serio. Ma appena mi sono ricomposto, mi sono chiesto: dove ho già letto qualcosa del genere? Controllo il documento della Regione Veneto, e vedo che una delle 6 macroaree in cui esplicare “la strategia regionale” ha per titolo: “Per l’innovazione a 360 gradi”. Si capisce allora che il convegno all’M9, come si precisa nell’invito della Confindustria Veneto che ho ricevuto per mail, sia finanziato dalla Regione Veneto (ma con un certo numero di collaborazioni tra cui l’Università Ca’ Foscari).
1. Riaperto il documento, resto incuriosito dalla macroarea numero 4, che ha come titolo “Per un territorio attrattivo: tutelare e valorizzare l’ecosistema socio-ambientale”, anche perché non sapevo (lo apprendo dalla premessa) che su questa strada il Veneto è già a buon punto, grazie alle Olimpiadi invernali 2026 e all’inserimento nel Patrimonio Unesco delle Colline del Prosecco, che “sono due grandi opportunità di sviluppo per la regione”.
Mi soffermo sullo schema, pensato come tabella per foglio Excel. Ciascuna delle linee di intervento individua al suo interno più “piani/programmi, azioni”, ciascuno dei quali riguarda un “Goal Agenda 2030” (per esempio “Acqua” o “Città sostenibili”), il quale “goal” è rivolto a una “Area SNSvS” (il “pianeta”, per esempio, oppure “Persone”), che si associa a sua volta a un “Obiettivo strategico nazionale SNSvS” (ricordo che SNSvS sta per “Strategia Nazionale per lo Sviluppo Sostenibile”). Vi invito a leggere la tabella, e ad apprezzare le soluzioni ingegnose via via adottate.
Di una soluzione particolarmente estrosa ho già parlato: Obiettivo strategico nazionale SNSvS? “Diffondere stili di vita sani e rafforzare i sistemi di prevenzione”. Goal Agenda 2030? “Città sostenibili”. Piano/programma/azione? “Campionati mondiali sci alpino 2021”.
Ma vorrei qui fare un altro esempio. Poco più sotto, all’interno della stessa macroarea, c’è un Obiettivo nazionale che si chiama «Favorire il ruolo dei migranti come “attori dello sviluppo”». Nella corrispondente tabella “Piano/Programma/Azione” troviamo “Veneti nel Mondo”, indicati anche come “Partnership” sotto la voce “Goal Agenda 2030”. Non ho trovato all’interno del documento nessun altro accenno o spiegazione, perciò io capisco così: chi sono i migranti? I veneti emigrati nel mondo. Chi favorisce il ruolo dei migranti come “attori dello sviluppo? Le associazioni “Veneti nel mondo”.
2. Quello che mi colpisce di più è che tre delle sei “linee di intervento” si prendono a cuore il “patrimonio”: “Sviluppare e tutelare l’heritage regionale, il patrimonio culturale e ambientale e paesaggistico”; “Valorizzare il patrimonio e l’economia della montagna”; “Valorizzare il patrimonio e l’economia della laguna e dei litorali”.
Che cosa dobbiamo intendere per “patrimonio”, “patrimonio Unesco”, e “heritage”? Cercherò di capirlo riprendendo le osservazioni di Marco D’Eramo, Il selfie del mondo. Indagine sull’età del turismo, nuova edizione rivista e aggiornata, Feltrinelli, Milano 2019. Una buona definizione potrebbe essere questa: il patrimonio, quando venga certificato dall’Unesco, è quel processo che, mettendo in scena una città, trasforma un tessuto urbano in una monocultura turistica.
Tutto inizia negli anni Settanta del Novecento, quando si costituisce il World Heritage, sulla base dell’idea che “il passato fosse una risorsa da sfruttare economicamente” (p. 100). La parola heritage, che fino ad allora “aveva a che vedere soprattutto con l’eredità, l’autenticazione dei documenti e la tassazione”, da quel momento passò a rappresentare “antichità, radici, identità, appartenenza” (ibidem, qui D’Eramo cita David Lowenthal, The Heritage Crusade and the Spoils of History [1996], Wiking, London 1997, p. 3). L’heritage, in altre parole, può essere definito solo “in termini di mercato” (ivi, p. 101, che cita Gregory J. Ashworth, John E, Tunbridge, The Tourist-Historic City, Behalven Press, London 1990, pp. 24-25). Da notare che quello era il periodo in cui la parola identità cambiò di significato, assumendo quello di “etnicità” (D’Eramo, p. 101).
Alla fine degli anni Settanta, osserva D’Eramo, “dilatano nel discorso pubblico” parole come “identità”, “etnia”, “patrimonio”: e “il patrimonio è ciò che identifica l’identità” (ivi, p. 102). La Gran Bretagna di Margaret Thatcher approvò nel 1981 il National Heritage Art, che trasformava “il patrimonio culturale” in “un Valore di mercato” (ivi, p. 103). E qui interviene l’Unesco che, apponendo un “certificato di garanzia”, permette “all’industria turistica d’incassare il valore di mercato dell’autentico”, come succede per le griffe della moda e per il vino Doc. Non a caso il Centro del patrimonio mondiale dell’Unesco ha ricevuto nel 2008 il premio mondiale del turismo (World Tourism Award), a Londra, nell’ambito del World Travel Market (ivi, p. 104).
Il consumo mercantile del patrimonio rende i siti degli altrettanti parchi a tema, eliminando qualsiasi attività, quelle sì legate alla cultura locale. È sotto gli occhi di tutti che “Il turismo eco-sostenibile sommerge i fragili siti che avrebbe dovuto salvaguardare” (ivi p. 105, che cita ancora Lowenthal, The Heritage cit., pp. 26-27). Quello che fa l’Unesco è consentire “di accettare le devastazioni turistiche in nome del salvataggio” (ivi, p. 104). Si tratta di un’operazione economicamente vantaggiosa: “perché costruire nuove Disneyland quando disponiamo di una caterva di vere città viventi che aspettano (anzi chiedono disperatamente) di diventare Parchi a tema, col semplice mummificarsi, e quindi svuotarsi?” (ivi, p. 105).
D’Eramo definisce “tragico” il fatto che “città, paesi, regioni facciano la coda per farsi imbalsamare”. E continua: “Siamo terrorizzati dalla prospettiva del nostro paese ridotto a un unico immenso museo, in cui dovremmo camminare pagando il biglietto d’ingresso” (ivi, p. 110). Non si tratta di una prospettiva, ma di una cosa che, per limitarci in Veneto, sta avvenendo sotto i nostri occhi, e con un plauso molto ampio e trasversale. Ho scorso le adesioni al documento della Regione, e ho trovato sindacati, associazioni di categoria, ordini professionali, università (Ca’ Foscari, Iuav, Padova), fondazioni. Si tratta di un linguaggio pervasivo: quello che possiamo fare intanto è provare a decostruirlo.
carlo freguglia dice
la visione a 360 gradi esige si pirli. Chi non pirla è condannato a un'ottica < 360°.